lunedì 3 ottobre 2016

Alastair Crooke - La nuova guerra fredda che piace ai falchi di Washington



Il fragile e parziale cessate il fuoco in Siria vacilla ed i suoi retroscena portano a Washington, dove potenti falchi stanno cercando di inasprire la guerra in Siria e la nuova guerra fredda contro la Russia.

Traduzione da Conflicts Forum.

Il fallimento dell'offensiva di agosto ad Aleppo scatenata dai ribelli sostenuti dagli USA e le condizioni del successivo cessate il fuoco -cui qualcuno negli Stati Uniti ha acconsentito molto di malavoglia- sono o non sono una sconfitta politica per gli USA ed una vittoria per la Russia?
In un certo senso, Mosca può (e si ripete può) aver messo all'angolo l'AmeriKKKa sulla questione degli attacchi aerei congiunti contro al Qaeda in Siria, ma si deve d'altra parte essere cauti a pensare che i russi abbiano ottenuto una vittoria. Questo, nonostante il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov e la sua diplomazia abbiano operato con una certa tenacia.
L'accordo sulla Siria del Segretario di Stato John Kerry con Lavrov ha d'altra parte fatto scoppiare a Washington una guerra senza esclusione di colpi. Il "blocco della guerra fredda" di cui fanno parte il Segretario alla Difesa Ash Carter ed il Presidente della Camera Paul Ryan è estremamente irritato.
Il Dipartimento della Difesa è prossimo alla disobbedienza plateale. In teleconferenza con la stampa il Luogotenente Generale Jeffrey Harrigian (capo del Comando Centrale dell'Air Force e comandante della campagna di bombardamenti in Iraq ed in Siria) ha risposto a chi gli chiedeva se l'esercito si sarebbe attenuto ai termini dell'accordo e avrebbe condiviso informazioni con i russi al termine dei sette giorni di cessazione delle ostilità: "Penso che sarebbe prematuro affermare che ci affretteremo a farlo. Non dico né sì né no."
Il Presidente Obama però, e con lui Kerry, intende definire un qualche retaggio per la propria politica estera. Il Presidente sospetta, e probabilmente per validi motivi, che qualunque politica egli lasci sarà ridotta a carta straccia dal suo successore (chiunque sia) appena avrà lasciato la carica.
Insomma, il potere costituito sta lavando i panni sporchi davanti agli occhi di tutti. Non sembra un bello spettacolo: il Dipartimento capeggiato da Carter dovrebbe operare in Siria insieme ai russi, e lui invece accusa la Russia di coltivare la "chiara ambizione" di erodere l'ordine mondiale con le sue campagne militari e telematiche.
Il Presidente della Camera Paul Ryan ha definito il Presidente Putin "un avversario" e "un aggressore" che non condivide gli interessi degli USA. Sta scaldando i motori una campagna mediatica statunitense, sostenuta da forze potenti, che raffigura Putin come un partner impossibile per gli Stati Uniti. 

Solo nei prossimi giorni si vedrà se Obama ha ancora la volontà e la capacità di imporsi per far sì che il cessate il fuoco in Siria porti a qualcosa di concreto. Oltretutto l'accordo non è nato dal nulla. Dietro di esso ci sono il fallimento militare del "piano B" degli USA, che a sua volta era una risposta al fallimento del cessate il fuoco di febbraio, e il fatto che Kerry ha estorto ulteriori concessioni a Damasco: Obama pare si sia detto d'accordo alla separazione tra insorti protetti dagli USA ed appartenenti ad Al Qaeda (l'ex fronte an Nusra, ora chiamato Jabhat Fateh al Sham) e al fatto che entrambi vengano considerati dei bersagli in cambio "di quella che l'amministrazione Obama ha presentato come la messa a terra dell'aviazione siriana per tutto il tempo del cessate il fuoco", scrive Gareth Porter.
Nel mettere in atto questo "piano B" gli USA e i loro alleati del Golfo hanno profuso risorse enormi per rendere vani gli sforzi di Damasco di togliere Aleppo dall'assedio jihadista nella parte a nord est della città. Per le due parti qui (Russia ed USA) la posta in gioco era alta: gli USA volevano che le formazioni islamiche da loro sostenute prendessero Aleppo per poi usare la caduta della città ad opera degli jihadisti per esercitare pressioni politiche tali sulla Russia e sull'Iran da costringerli ad avallare la cacciata di Assad. Insomma, anche il "piano B" riguardava per intero il rovesciamento del governo siriano.
Aleppo è la seconda città del paese ed è stata strategicamente determinante fin dall'inizio del conflitto. La sua perdita avrebbe tolto ogni base all'obiettivo di fondo del governo siriano, che è quello di conservare il grosso della popolazione urbana della Siria entro l'àmbito delle istituzioni statali.
Insomma, l'obiettivo a lungo termine dell'AmeriKKKa sarebbe stato raggiunto in quel modo, e gli abitanti della zona ovest della città caduta in mano ad al Qaeda ne avrebbero pagato un prezzo indescrivibile. Il fatto che il governo siriano riesca invece a riprendere il controllo di tutta Aleppo rappresenta un progresso macroscopico sul piano strategico.
In buona sostanza, gli USA ed i loro alleati del Golfo non sono riusciti nel loro intento ed il loro tanto vantato "piano B" ha fallito. Ed in questo fallimento gli jihadisti hanno sofferto gravi perdite in termini di vite e di equipaggiamenti. Le perdite sono state tali che c'è da dubitare che il Qatar o l'Arabia Saudita riusciranno a mettere in piedi un'altra offensiva di questo livello, nonostante quella scatenata successivamente a Hama.
Nonostante il fallimento del loro "piano B", gli USA non erano pronti a vedere al Qaeda isolata ed aggredita: volevano che rimanesse al sicuro. L'ambiguità degli USA verso gli jihadisti -sono "in guerra contro i terroristi" ma manovrano costantemente in modo da impedire a Siria e Russia di indebolire gli jihadisti- emergeva con chiarezza nella lettera inviata dall'incaricato statunitense dei rapporti con l'opposizione siriana ai gruppi sostenuti dagli Stati Uniti.
Un primo messaggio inviato il 3 settembre, dopo che la maggior parte dell'accordo tra Kerry e Lavrov era già diventato lettera morta, "non presenta alcun riferimento alla necessità che l'opposizione armata prenda le distanze dai suoi alleati di al Qaeda o -men che meno- tronchi i rapporti di collaborazione militare che ha con loro. Quindi, non avevano bisogno di farlo," ha scritto Porter.
Un secondo messaggio inviato secondo ogni apparenza il 10 settembre dispone l'opposto: "I ribelli devono prendere le distanze da Fatah al Sham, ex Fronte an Nusra, ed interrompere ogni rapporto con quella formazione; in caso contrario ci saranno serie conseguenze."
Succederà davvero? L'accordo verrà rispettato? In effetti il conflitto siriano non è che uno dei tre punti essenziali che costituiscono il teatro della nuova guerra fredda. Oltre ad esso c'è la situazione in Ucraina, delicata ed instabile, e da tutt'altra parte la NATO è impegnata a schierare le proprie forze alle frontiere dei Paesi Baltici. Nel caso uno qualunque di questi pilastri venisse (intenzionalmente) frantumato, la delicata struttura politica degli altri finirebbe in frantumi.

Questo ci porta alla complicata questione della demonizzazione della Russia, cui si sta attualmente dedicando il blocco della guerra fredda -di cui fa parte Hillary Clinton- impegnato nella campagna elettorale per le presidenziali statunitensi.
Gregory R. Copley, ha descritto la situazione su Defense & Foreign Affairs affermando che lo establishment statunitense sta "sacrificando relazioni bilaterali di fondamentale importanza per vincere una consultazione elettorale" e che lo sta facendo deliberatamente ed intenzionalmente. Copley aggiunge che "nei cinquant'anni buoni in cui mi sono interessato al governo degli USA non ho mai trovato un simile livello di partigianeria all'interno di un'amministrazione, in cui il presidente in carica considera di fatto il partito dell'opposizione come un nemico dello stato."
La posta in gioco nella demonizzazione della Russia e di Putin va ben al di là della Siria o dell'Ucraina. Si tratta dell'essenza stessa della contesa per il futuro degli USA.
Di questo esiste anche qualche prova pratica. Tre giorni prima che l'artiglieria siriana cominciasse a falciare i ranghi di Ahrar al Sham vicino ad Aleppo, mettendo il 9 settembre la parola fine al "piano B" statunitense (e quattro giorni prima che il messaggio di Ratney agli insorti siriani raccomandasse loro di prendere le distanze da al Qaeda "o da chiunque altro") il Presidente ucraino Petro Poroshenko parlando al parlamento ucraino (la Rada di Kiev) faceva strame degli accordi di Minsk mediati dal Cancelliere tedesco Angela Merkel e dal Presidente francese François Hollande come unica possibile soluzione alla guerra civile in Ucraina.
Poroshenko ha detto (si veda qui e qui) che "inoltre, in un dialogo irto di difficoltà, abbiamo convinto i nostri alleati ed i nostri partner occidentali che qualunque accordo politico deve essere preceduto da evidenti ed innegabili progressi nel campo della sicurezza: un cessate il fuoco sostenibile, il ritiro delle truppe e delle attrezzature russe dai territori occupati, il disarmo dei miliziani e delle loro famiglie ed infine il ripristino del nostro controllo alle nostre frontiere." [corsivo di Conflicts Forum]
In altre parole, Poroshenko ha rovesciato di sua iniziativa i termini dell'accordo, capovolgendone l'ordine; per stravolgere ulteriormente il tutto ha detto ai parlamentari che ogni decisione sarebbe stata "esclusivamente loro" e che nulla sarebbe stato fatto "senza la loro collaborazione", pur sapendo benissimo che il parlamento ucraino in carica non ha mai voluto gli accordi di Minsk.
Anche Kiev sta schierando truppe lungo tutte le frontiere di Donetsk e Lugansk: qui si trova una presentazione grafica dell'escalation militare di Kiev.
La virata di centoottanta gradi operata da Poroshenko costituisce la ripicca ameriKKKana per i progressi russi in Siria? Si intende alzare la tensione per impelagare il Presidente Putin nel pantano ucraino? Non è dato saperlo.
Il vicepresidente statunitense Joe Biden si è vantato in questo modo: "Penso che per un po' tenderò a parlare con il Presidente [Poroshenko] più a lungo di quanto non faccia con mia moglie [risata]... Penso che avranno da pentirsene tutti e due [risata]."
Possibile che Biden non sia stato consultato prima che Poroshenko tenesse il suo annuale discorso alla Rada? Anche questo non è dato saperlo, ma a quarantotto ore di distanza dal discorso di Poroshenko il Segretario alla Difesa Ash Carter si trovava a Londra per ribadire l'impegno in favore della sovranità e dell'integrità territoriale ucraina e firmare una "bozza di accordo bilaterale" con il Ministro della Difesa ucraino.

Quello che comunque non sappiamo è se tutto questo sia una provocazione diretta verso i russi e se sia stato inteso per esserlo. Sarebbe una provocazione anche verso la Francia e la Germania. Nel corso della stessa settimana Poroshenko ha fatto marcia indietro perché "per coincidenza" un nuovo prestito del Fondo Monetario Internazionale aveva preso la strada di Kiev dopo che i Ministri degli Esteri francese e tedesco avevano chiesto che lo spirito di Minsk del "tregua, statuto speciale, elezioni nel Donbass e controllo delle frontiere" venisse rispettato, visto che chi comanda a Donetsk e a Lugansk aveva formulato, senza che venisse richiesta, l'offerta di un cessate il fuoco unilaterale.
Solo che il 16 settembre Poroshenko ha fatto marcia indietro dalla marcia indietro: pare che quel giorno ai Ministri degli Esteri tedesco e francese giunti in visita sia stato detto che ormai il governo ucraino rifiutava di rispettare gli accordi di Minsk così com'erano e che voleva che i termini della questione venissero rovesciati: "tregua, controllo delle frontiere, elezioni".
L'aspra guerra intestina per le presidenziali ameriKKKane sta scuotendo i tre pilastri su cui poggiano le relazioni che l'AmeriKKKa e l'Europa hanno con la Russia. Per questo, sembra una forzatura per Obama sperare di prevalere con una qualsiasi strategia atta a costruire un retaggio politico, in Medio Oriente o in Ucraina, che contempli una qualche cooperazione con la Russia.
Lo establishment statunitense sembra sia arrivato a concepire la puntigliosa conservazione dello stato di cose presenti a livello mondiale come collegata alla sua capacità di ritrarre Trump come lo strumento con cui il Presidente Putin può minare tutto il sistema elettorale statunitense e l'ordine mondiale capeggiato dagli USA.
A tutti quanti gli altri invece sembra che gli USA siano stati presi da un'isteria collettiva, autentica o fabbricata per fini politici. Non è chiaro quale sia la posizione del Presidente degli Stati Uniti in quest'isterica ondata antirussa che ha paragonato Putin a Saddam Hussein e che ha accusato il candidato repubblicano di star cercando di ingraziarsi il presidente russo perché ha presenziato alla trasmissione "Larry King Live", attualmente ripresa da Russia Today...
La questione più importante, tuttavia, è data dalle conseguenze che tutto questo avrà nel più lungo termine. Nel campo della Clinton qualcuno si sta ancora dannando dietro al rovesciamento del governo di Mosca, convinto a quanto sembra che umiliare Putin in Siria (cosa non troppo probabile, adesso) o in Ucraina potrebbe costargli la carica alle elezioni presidenziali del 2018 e portare al suo posto un leader più accettabile, più filoatlantico.
Pensare che Putin possa essere fatto fuori in questo modo è un pio desiderio puro e semplice. Più probabile è il fatto che usare l'Ucraina (che con i russi ha produttivi legami di parentela e di vicinato) come strumento per umiliare Putin si riveli controproducente e serva soltanto a inasprire l'ostilità verso gli Stati Uniti, perché a morire per mano delle milizie ucraine di destra sono comunque dei russi.
Di sicuro la campagna in corso sta rafforzando quanti, in Russia, apprezzerebbero che il Presidente Putin si mostrasse meno conciliante verso l'Occidente. Probabile che ci stiamo dirigendo verso acque ancor più agitate.

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