Conflicts Forum legge molto e segue gli sviluppi in Medio Oriente ed altrove. Oggi, nonostante il nostro seguire la situazione da vicino, non abbiamo idea di cosa succederà. Noi, come molti altri.
Allo stesso modo, tra tutte le opinioni più convinte sullo "shutdown" degli Stati Uniti, non se ne trova alcuna che sappia davvero come finirà. Nessuno può dire come si manifesterà un default tecnico degli Stati uniti, o riferirci quali potrebbero essere le sue conseguenze. Ci muovimamo in un territorio sconosciuto: e in Medio Oriente è la stessa cosa. Non ci può essere una vera visione strategica perché non esiste alcuna strategia. Tutto è in movimento. E tre segnali hanno contribuito ad imporre una brusca accelerazione a questo movimento. Nelle condizioni in cui ci troviamo, per segnale si deve intendere un qualcosa che prende il posto di una conoscenza comprovata.
E tutti e tre questi segnali pare spingano verso una stessa direzione.
Il più evidente è stato la simbolica chiamata telefonica del Presidente degli Stati Uniti al Presidente Rohani.
Il secondo, un commento di Kerry, qualche giorno fa a Bali. "Il governo di Assad in Siria merita fiducia come ha affrontato la questione delle armi chimiche", ha detto Kerry dopo il primo incontro al vertice con la sua controparte russa Sergej Lavrov da quando Mosca e Washington hanno deciso di concordare un piano per la distruzione degli arsenali chimici. Kerry e Lavrov si sono incontrati a margine della riunione dell'APEC a Bali, in Indonesia, lunedi mattina. "Il processo è iniziato a tempi di record ed abbiamo apprezzato la collaborazione dei russi, ed ovviamente la disponibilità dei siriani", ha detto Kerry. Il Segretario di Stato ha affermato anche che gli Stati Uniti sono d'accordo con la Russia che si arrivi il prima possibile ad una conferenza di pace per la Siria. "...Penso che sia stato estremamente significativo che ieri, domenica, ad una settimana dall'approvazione della risoluzione dell'ONU, si stessero già distruggendo alcuni armamenti chimici", ha specificato Kerry. "Penso che si debba renderne merito al governo di Assad. Francamente, si tratta di un buon inizio; un buon inizio che accogliamo bene". Qui, quello che colpisce è il tono. Si tratta certamente di retorica, ma suona molto differente perché fino a questa settimana non c'era dichiarazione occidentale che non traboccasse di invettive contro il Presidente Assad.
Il terzo segnale è rappresentato dalla luce che il New York Times ha gettato su una certa vicenda e che la colloca di sicuro al di fuori dalla linea sin qui seguita: il NY Times sostiene che con l'ammissione del fatto che "sono stati fatti degli errori" da parte del vice primo ministro siriano e del presidente Assad, contenuta in alcune interviste recenti, sia successo qualcosa di nuovo, qualcosa che ha toni inaspettatamente concilianti. "Lo stesso Presidente Assad ha dichiarato che lui e il suo governo hanno commesso degli errori e che tocca anche a loro parte della colpa per la crisi con i ribelli. Il signor Assad ha detto al Der Spiegel, in un'intervista pubblicata lunedi scorso, che non poteva sostenere che tutto quanto fosse colpa dei ribelli e che la sua parte non aveva fatto nulla. La realtà, ha affermato, comprende "varie sfumature di grigio". "Dopo aver passato anni a descrivere la guerra civile contrapponendo bianco a nero e in termini di cospirazione terrorista internazionale, i funzionari siriani negli ultimi giorni stanno cercando di mostrarsi più concilianti mentre le potenze mondiali cercano di organizzare dei colloqui di pace a Ginevra che pongano fine allo stallo sanguinoso e mentre gli ispettori hanno iniziato domenica scorsa la distruzione dell'arsenale chimico siriano", ha scritto barnard al Times. Anche in questo caso, è il tono, che colpisce perché Assad sta dicendo esattamente le stesse cose che ha sempre detto da quando sono iniziati i disordini in Siria. Come notato da un commentatore, la falsa attestazione del NYT circa uno storico cambiamento di rotta da parte del governo siriano può servire ad avallare il mutare dell'atteggiamento statunitense. Se quella che è una consolidata posizione del governo siriano può essere raffigurata come una novità, allora anche i politici statunitensi possono assumere un nuovo atteggiamento nei confronti del governo siriano. "Guardate, Assad ha cambiato idea: allora, possiamo cambiare idea anche noi".
Comunque, questi segnali hanno rimestato il calderone mediorientale. Posizioni e rivendicazioni hanno già cominciato a entrare in crisi sia per l'apparente cambiamento di rotta degli Stati Uniti nei confronti di un accordo con l'Iran sia per le possibili ripercussioni che questo avrebbe in termini di equilibri di potere nella regione. Ma anche per l'impatto più profondo di un'AmeriKKKa in conflitto, apparentemente alle prese con una crisi sistemica e propensa a chiudersi su se stessa.
Secondo certe voci, l'Arabia Saudita si sente abbandonata, rimasta da sola in mezzo alla sala intanto che il ballerino ameriKKKano se ne va via a passo di valzer con una ragazza diversa. Lo smacco è riassunto dal battibecco che ha preceduto la separazione: in primis un brutto litigio sull'Egitto, poi l'accordo sulle armi chimiche siriane che molti sauditi hanno accolto male, e alla fine il duetto con l'Iran. Tutto questo ha comprensibilmente dato origine a sentimenti contrastanti; qualcuno, in preda alla frustrazione, vorrebbe semplicemente farla pagare agli Stati Uniti togliendo ogni limite al flusso di armi dirette agli insorti siriani e mettendo in piedi una coalizione che possa vanificare ogni accordo; ci sono però anche voci contrarie che ritengono probabile che il Principe Bandar, che in questa storia ha il ruolo del falco, possa finire per diventare la prima vittima del nuovo atteggiamento statunitense. In poche parole, i ripensamenti statunitensi hanno fatto emergere anche l'idea che lo smacco, sia pure doloroso, costringa comunque il regno ad affrontare la realtà.
Anche in Siria ci sono state delle ripercussioni: la risoluzione 2118 sostiene l'iniziativa dei russi di distruggere l'arsenale chimico siriano, ma richiede implicitamente che il presidente Assad rimanga al potere per almeno un anno in modo da poter sovrintendere alle operazioni di distruzione. Così i paesi occidentali non solo hanno smesso di pretendere che lasci il potere, ma vedono adesso con favore un prolungamento del suo mandato e un posticipo delle prossime elezioni presidenziali, anche perché l'opposizione è allo sfacio e non ha alcuna credibilità né sul campo né in sede negoziale.
Gli eventi hanno causato dei cambiamenti anche in seno all'opposizione. Il nuovo raggruppamento jihadista ed islamista refrattario ad ogni compromesso chiamato Esercito dell'Islam sembra condividere la sensazione dei sauditi che le zolle tettoniche si siano mosse secondo una nuova corrente fortemente contraria a tutti e due. Entrambi vedono che il Medio Oriente sta cambiando: la semplicistica narrativa fin qui accolta dal mondo esterno lo raffigurava fino ad oggi come il teatro di un conflitto tra "dittatori e democrazia" e adesso lo raffigura, in modo altrettanto semplicistico, come la scena di una lottta epica tra gruppi sul modello di AlQaeda che vogliono "abbattere il sistema per ricostruirlo" cui si contrappongono legge, ordine e stabilità. In questa nuova narrativa i gruppi jihadisti, e in una certa misura anche l'Arabia Saudita, stanno dalla parte del torto. Eppure anche questa è una divisione grossolanamente semplicistica perché l'Arabia Saudita, nonostante sostenga ambiguamente i radicali, è disperatamente impegnata nella tutela dell'ordine costituito. Conseguenza di tutto questo, la nuova formazione di orientamento islamico sta alacremente preparandosi ad affrontare quello che presume sia l'inevitabile assalto armato dell'esercito siriano e delle grandi potenze: un assalto facilitato da qualche ex appartenente dal Libero Esercito Siriano, che ormai si configura come null'altro che una copia dei "consigli del risveglio" già visti in Iraq. Lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante sta ripulendo zone nel nord del paese dagli altri gruppi armati dell'opposizione: si teme che possano trasformarsi in cavalli di Troia per l'attesa offensiva contro gli jihadisti.
La conferenza di Ginevra I si basava sulla presunzione, alquanto prematura, di un ritorno al vecchio mondo bipolare: AmeriKKKa e Russia avrebbero alla fine trovato una soluzione per la Siria. Ginevra I non ha portato ad alcun esito in primo luogo perché gli Stati Uniti, con Gran Bretagna e Francia a sostenerli, pretendevano che la soluzione la trovassero i russi, ma più che altro perché né gli Stati uniti né la Russia avevano alcuna soluzione pronta. In questo momento le divisioni in Medio Oriente sono troppo profonde perché si possa pensare di affrontarle con qualche incontro al vertice. Questo, ai tempi di Ginevra I. Ora sembra che il bipolarismo sia tornato in auge, almeno su questa materia in particolare, ma soprattutto è possibile che si trovi l'elemento che è mancato fino ad oggi, a patto che le iniziative diplomatiche tra Stati Uniti ed Iran portino a qualche frutto. In definitiva, alla Siria serve che si arrivi ad un accordo regionale tra Iran ed Arabia Saudita, che renda a sua volta possibile un qualsiasi accordo con le grandi potenze. Dovremo vedere in che modo il tranquillo impegno che l'Iran profonde nei confronti della Siria sarà utile per trovare un ampio accordo regionale, probabilmente basato su scambi che riguardino la Siria ed il Libano, o che siano tra la Siria ed il Libano direttamente.
Qualunque cosa succeda, a farne le spese saranno i due principali gruppi di opposizione in Siria. L'Esercito dell'Islam si aspetta da un momento all'altro di essere colpito dalle grandi potenze (gli "interessi condivisi" essenziali che uniscono Russia e Stati Uniti) e non ha comunque interesse a giungere ad un accordo. L'altra formazione di maggior consistenza, i Fratelli Musulmani in Siria, teme qualcosa di diverso, ovvero che l'Arabia Saudita si comporti in Siria come si è comportata in Egitto, vale a dire che distrugga il movimento. Qui esiste un resoconto su come essi considerino esattamente in questa prospettiva il nuovo capo della nuova opposizione Ahmad Assi al Jarbah, un leader tribale che molti dei Fratelli chiamano "l'uomo di Bandar bin Sultan". I Fratelli Musulmani pensano che sia stato tirato su dai sauditi apposta per diventare una versione siriana del Generale Sisi, qualcuno che si abbatta su di loro come un maglio.
La virata di centoottanta gradi nell'atteggiamento statunitense pare aver prodotto come effetto che gli elementi più laici dell'opposizione siriana armata hanno capito che non possono sperare di prevalere contro l'Esercito dell'Islam, a meno che non si alleino con l'esercito regolare siriano; cosa temuta ed attesa dallo stesso Esercito dell'Islam. L'Esercito dell'Islam è comunque il più forte gruppo dell'opposizione ed ha un orientamento refrattario ai compromessi; i Fratelli Musulmani nutrono il grosso sospetto di trovarsi davanti ad una trappola in stile egiziano, e pare esserci poco posto per loro in qualsiasi Ginevra II, ammesso che si arrivi mai a tenerne una. Allo stesso modo, poco spazio pare esserci anche per Francia e Gran Bretagna.
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