Articolo pubblicato su Asia Times on line, 9 marzo 2012.
Il 3 marzo girava la voce che il Segretario Generale delle Nazioni Unite avesse ricevuto dei "resoconti raccapriccianti" in cui si affermava che le truppe del governo siriano stessero compiendo esecuzioni extragiudiziali e stessero imprigionando e torturando la gente di Homs dopo aver strappato agli insorti il controllo del quartiere di Baba Amr. Il problema è questo: il Segretario Generale credeva davvero a questi rapporti, o diceva di credere ad essi?
"Una delle cose che in futuro saranno determinanti sarà il divario tra quanti saranno padroni dell'informazione e quanti invece ne saranno vittime", scrisse nel 1997 sulle pagine dello US Army War College Quarterly un ufficiale statunitense addetto ai servizi di intelligence del capo dello staff della presidenza, tentando di definire quali sarebbero state le caratteristiche peculiari degli episodi bellici futuri.
"Ma non c'è da preoccuparsi", scrive qualche riga più sotto nello stesso articolo; "noi padroneggiamo già oggi la guerra dell'informazione... Hollywood sta preparando il campo di battaglia... L'informazione distrugge i lavori tradizionali e le culture tradizionali; è seducente, è traditrice, eppure resta invulnerabile. Come si può pensare di contrattaccare, quando qualcuno ti ha preso di mira con la guerra dell'informazione?" [1]
"Il livello altissimo di competenza che possediamo in questo campo ci permetterà di superare e dominare tutte le culture gerarchiche... I sistemi sociali che temono o che non riescono a gestire il flusso delle informazioni saranno semplicemente estromesse dalla competizione. Potranno anche padroneggiare la tecnologia necessaria a guardare i video, ma saremo noi a scrivere i copioni, a produrli, a raccogliere i diritti su di essi. La nostra creatività è devastante".
La guerra dell'informazione non rimarrà confinata all'alveo razionale della geopolitica, suggerisce l'autore dell'articolo, ma sarà puro parto emozionale come lo sono i film di Hollywood. "L'odio, la gelosia e l'avidità, le emozioni più che la strategia, definiranno i termini di ogni contesa nel campo della guerra dell'informazione".
Non è soltanto l'esercito statunitense, ma l'intero mainstream mediatico occidentale è fermamente convinto che il conflitto in corso in Siria debba essere descritto ricorrendo ad un'iconografia dall'alta carica emotiva e sulla base di assunti moralistici: tutte cose che, come giustamente afferma l'articolo di War College, fanno strame di qualsiasi analisi razionale.
La commissione d'inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU condanna il governo siriano per crimini contro l'umanità, ma lo fa esclusivamente sulla base di quello che afferma l'opposizione e senza aver preso in considerazione le prove dei "crimini" dell'opposizione stessa; dopodiché passa a condannare il governo siriano, al termine di un processo che si basa puramente e semplicemente su "ragionevoli sospetti". Quelli della commissione d'inchiesta credono sul serio a quello che hanno scritto, oppure anche questo fa parte della stesura del copione? [2]
Dopo aver quasi dimenticato quello che i marines statunitensi fecero a Falluja nel 2004 (seimila morti, il sessanta per cento della città distrutto) quando un'insurrezione armata cercò anche laggiù di instaurare un emirato salafita, l'attenzione dei mass media occidentali puntata sulla città di Homs ha tirato la volata alle grida indignate di chi sostiene che "si deve fare qualcosa" per salvare dal "massacro" la popolazione cittadina. Quelle che potrebbero essere le conseguenze di un'intromissione -che si tratti di un intervento militare vero e proprio o che si tratti della fornitura di armamenti più pesanti agli insorti- e quelli che potrebbero essere gli effetti di più vasta portata di iniziative di questo genere sono tutte questioni mantenute fuori dalla portata dei riflettori. Chiunque si azzardi a inoltrarsi nel territorio dominato da una prospettiva di questo genere, avanzando l'ipotesi che un intervento esterno condurrebbe ad un disastro, vengono da ogni parte biasimati come complici nei crimini che Assad ha commesso contro l'umanità.
Questo modo di intendere il giornalismo -The Guardian e Channel Four sono buoni esempi di un modo di concepire il ruolo di inviato sul campo che enfatizza il ruolo attivo dell'inviato che diventa anch'esso vittima, compartecipe delle sofferenze emotivamente toccanti della guerra- utilizza immagini ad alta carica emotiva proprio per avallare il concetto che "bisogna fare qualcosa". Concentrandosi sui corpi mutilati e su vedove piangenti essi affermano e statuiscono che questo conflitto deve essere considerato di una cristallina semplicità morale: da una parte ci sono le vittime, dall'altra i carnefici.
Baba Amr. Orribile. Non posso capire come il mondo possa rimanersene a guardare. Oggi ho visto un bambino morire. Una scheggia: i medici non hanno potuto fare niente. Il suo piccolo pancino ha continuato ad alzarsi e abbassarsi fino a quando non si è fermato. Mi sento impotente". [3]Quelli che si azzardano a dire che un intervento occidentale avrebbe l'unico effetto di peggiorare le cose devono vedersela con risposte per le quali non esiste replica possible, fatte letteralmente di bambini morti. Come afferma con ragione l'articolo dello War College, in che modo è mai possibile replicare ad una guerra dell'informazione come questa, scatenata contro un governo siriano che è il bersaglio finale di coloro che "scrivono i copioni, si occupano della produzione e raccolgono i diritti"?
Ho visto di persona scene tremende nell'Afghanistan degli anni Ottanta; si tratta di un qualcosa che provoca un abisso emotivo in cui lo spettatore impotente finisce per scivolare; ma questi inviati credono davvero che i bambini e gli innocenti non siano sempre e comunque le vittime della guerra? Credono davvero che il loro personale scoramento sia qualcosa di tanto importante da poter mettere in secondo piano la complessità di ogni situazione ed ogni suo possibile sviluppo? Ancora più guerra è la risposta giusta all'orribile morte di un bambino?
Questo furore emotivo e semplificatore non è altro che una specie di surrettizio schierarsi politicamente, poco diverso da quello sfoggiato da un "combattente dell'informazione" come AVAAZ, che presta il proprio aiuto nello scrivere e produrre questi filmati di guerra [4]. Mentre nessuno spalleggia in modo aperto un simile "giornalismo partecipativo", esistono comunque settori della professione in cui questo modo di intendere il mestiere sembra aver trionfato. E continua strisciante a diffondersi: sempre più spesso si vedono diplomatici occidentali che si comportano come se fossero attivisti politici, o persone concretamente coinvolte nelle contese interne degli stati in cui vengono mandati ad esercitare la propria attività. Che razza di resoconti ne staranno mai ottenendo i loro governi?
Lo abbiamo o no capito che l'opposizione armata, la stessa che prima ha condotto a Homs i giornalisti occidentali e poi ha preteso ad ogni costo di farli uscire dalla città correndo seri rischi ed al prezzo di molte vite umane facendoli passare dal Libano, invece che dal più vicino aeroporto raggiunto grazie ai buoni uffici della Mezzaluna Rossa, non vuole altro che rafforzare gli schieramenti di parte e premere perché a Homs vengano aperti corridoi umanitari imposti da interventi esterni? In altre parole, abbiamo o non abbiamo assistito alla messa in scena di una piece de theatre favorevole ad un intervento esterno di un qualche genere? Fare come in Kosovo farà migliorare la situazione in Siria?
Quello che colpisce maggiormente è che se la guerra dell'informazione si è mostrata efficace fino ad aver raggiunto il punto di non ritorno nella demonizzazione della figura del Presidente Assad in Occidente, ha avuto anche l'effetto di disancorare la politica estera europea e statunitense, che si è allontanata andando alla deriva rispetto a qualsiasi approdo geostrategico concreto. Questo ha prodotto una situazione in cui la politica europea è diventata in blocco vittima della suggestione prodotta da questo giornalismo schierato ed in cui spadroneggia il bisogno di fornire ad esso una qualche risposta, sull'onda delle emozioni, tramite bordate parolaie e moralistiche che accusano il Presidente Assad di avere "il sangue sulle mani".
In un certo senso, l'Occidente è diventato per forza di cose ostaggio della guerra dell'informazione che aveva esso stesso scatenato. Si è arroccato attorno ad un unico punto di vista, ad una chiave di lettura che non ha alternativa e che è rappresentata da una concezione semplicistica fatta di aggressori ed aggrediti, in cui l'unico ruolo attivo che è possibile ricoprire consiste nel mettere l'aggressore in condizioni di non nuocere. Comportandosi in questo modo l'Europa si taglia obiettivamente fuori da altre possibilità, perché la questione umanitaria, che secondo quelli che dettano le linee della politica sarebbe dovuta bastare da sola per arrivare ad una facile deposizione di Assad, adesso impedisce di optare per qualunque altra opzione sul campo, come quella che potrebbe ad esempio emergere da un negoziato pacifico.
Ma c'è davvero qualcuno che crede sul serio che gli obiettivi degli americani e degli europei in Siria siano di tipo puramente umanitario? Non è che forse, visto che gli eventi in Medio Oriente hanno preso una piega tanto inquietante e pericolosa, è scomodo ammettere apertamente che il loro lavorìo nel campo della guerra dell'informazione non è mai stato teso a facilitare l'introduzione di riforme in Siria, quanto a rovesciare il governo siriano, e che le cose stavano in questi termini da ben prima che le prime proteste esplodessero a Dera'a?
Intervistato di recente da Jeffrey Goldberg dello Atlantic [5] prima di tenere un discorso al comitato per gli interessi americano-sionisti, il Presidente Obama ha risposto tra le altre cose ad una domanda sulla Siria. E si è trattato di una risposta molto chiara.
Goldberg: E' possibile considerare la Siria come una questione di interesse strategico? Certo, se ne parla anche come si parla di una questione umanitaria, ma mi sembrerebbe piuttosto chiaro che un modo per indebolire e isolare ulteriormente l'Iran consiste nel far cadere il suo unico alleato arabo, o nel facilitare le cose in questo senso.Quanti in Occidente fanno tanto proselitismo a favore di un intervento in Siria credono davvero che il macello in corso sia cominciato per questioni come la democrazia e le riforme?
Presidente Obama: Certamente sì.
Obama è stato chiaro. C'è di mezzo l'Iran anche stavolta. E mentre l'Europa e gli Stati Uniti si stanno comportando sempre più come testimoni dei tentativi messi in opera dal Qatar e dall'Arabia Saudita di rovesciare con ogni mezzo un leader arabo, certi apologeti dell'interventismo sono davvero convinti che queste monarchie assolute arabe condividano puramente e semplicemente le graziose aspirazioni umanitarie prospettate per la Siria futura dal Guardian o da Channel Four? Questi inviati credono davvero che gli insorti armati che gli stati del Golfo stanno finanziando ed armando non siano altro che dei riformisti dotati di buone intenzioni, costretti alle armi dal semplice recalcitrare di Assad? Qualcuno lo crederà anche, ma non è che altri stanno semplicemente dicendo che ci credono, e preparando il campo alla guerra?
Note
1. Constant Conflict, Parameters, estate 1997, pp. 4-14.
2. The United Nations Accuses Syria of "Crimes against Humanity".
3. The danger of reporters becoming 'crusaders', spiked-online.com, 27 febbraio 2012.
4. Cfr. 'How Avaaz Is Sponsoring Fake War Propaganda From Syria', 3 marzo 2012.
5. Obama to Iran and Israel: 'As President of the United States, I Don't Bluff'.
Alastair Crooke è fondatore e direttore di Conflicts Forum, ed è stato consigliere dell'ex segretario della politica estera della UE Xavier Solana tra il 1997 ed il 2003.
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