Su Senza Soste è uscito uno scritto sulla situazione nell'Afghanistan occupato dal titolo piuttosto roboante. L'impegno che lo stato che occupa la penisola italiana sta profondendo in Afghanistan non è certo paragonabile a quello sovietico degli anni Ottanta o a quello statunitense in Indocina, da nessun punto di vista.
Ai tempi dell'invasione sovietica, vituperata da tutto l'"Occidente", la penisola italiana grondava di comitati di solidarietà "con il popolo afghano" e di iniziative che stigmatizzavano la presenza dell'Armata Rossa nel paese. Nonostante il numero e i sistemi spicci, i sovietici non riuscirono a controllare il territorio e in fin dei conti il prezzo dell'aggressione all'Afghanistan fu così alto da ogni punto di vista da contribuire in modo determinante alla fine dell'Unione Sovietica stessa. Coerentemente con l'operato yankee, tutto teso a "regalare all'Unione Sovietica il suo Vietnam", finiti i giochi di potere l'Afghanistan fu lasciato a se stesso e ad una guerriglia che sparì svelta dalle cronache per essere ridotta a livello di curiosità punteggiata di orrori, come la distruzione di quanto rimaneva dei Buddha di Bamyan, l'impiccagione di Najibullah o le decapitazioni pubbliche nello stadio di Kabul.
Tutta roba di poco conto, secondo politicanti e gazzettame. Praticamente delle inezie davanti al Nuovo Secolo Amrikano che andava ad incominciare, tra le cui prerogative era contemplato che gli interventi urbanistici più radicali fossero esclusiva di un'aeronautica militare statunitense che aveva dato prova delle proprie competenze in tal senso in tutto il mondo. Nessuno aveva seriamente messo in conto che la prima squadra di nullatenenti armati di coltellini di plastica avrebbe potuto dar prova di intendersene almeno nella stessa misura, in un Undici Settembre che la propaganda yankee voleva ricordato in eterno e che è virtualmente sparito dall'attenzione in meno di dieci anni.
In questa sede difficilmente si indulge al complottismo ed alla dietrologia, e si evita quando possibile di ricorrere a spiegazioni contorte per interpretare quanto può essere adeguatamente spiegato dall'incompetenza, dalla sazietà, dalla faciloneria, dalla pigrizia e dall'ignoranza. Ci si limiterà quindi a far notare che negli anni precedenti gli indizi di quanto sarebbe potuto succedere non erano mancati: tra i più clamorosi il volo solitario con cui Mathias Rust fece fessi i radar sovietici, sbrigativamente e sprezzantemente liquidato come ennesima prova dell'inefficienza dell'URSS. Ai tempi della guerra afghana un gruppetto di ardimentosi capeggiato da Vincenzo Sparagna aveva d'altronde potuto attaccare poster antisovietici in piena Kabul, costringendo la propaganda di Mosca a goffi tentativi di difesa.
Ad ogni modo, la metabolizzazione sociopolitica delle operazioni urbanistiche sul suolo statunitense compiute l'11 settembre 2001 ricordò un tantino la battuta della Principessa Vespa in "Balle Spaziali": "...Ma non possono farmi questo! Io sono ricca!!!".
Il processo di denigrazione dei paesi non allineati al volere yankee, già ampiamente in atto per motivi legati alla vecchia geopolitica, conobbe un'accelerazione istantanea e produsse utili politici incredibilmente elevati, tanto da far digerire all'opinione pubblica statunitense anni ed anni di aggressioni militari e di occupazioni costosissime e sanguinose. Sbrigativamente statuita la colpa di un certo Bin Laden, di una certa AlQaeda e di certe sue basi in Afghanistan, gli yankee aggredirono il paese centroasiatico con un'operazione che fu presentata come una passeggiata militare. Il "successo" dell'operazione, coronato con le solite "libere elezioni", riempì per anni tutti i mass media a più alta fruibilità, primi tra tutti i rotocalchi, che si contendevano le foto di qualche segnorina con lo smalto sulle unghie presentandola come attestazione della ritrovata "democrazia" e della "emancipazione" delle donne afghane.
Otto anni, molti morti e moltissimi soldi dopo, la sensazione è che nessuno degli obiettivi dell'invasione sia stato neppure sfiorato e che nessuno degli occupanti, cooptati sotto pena di sfracelli (memorabile il "vi riduciamo all'età della pietra" con cui fu sollecitata la "collaborazione" pakistana) ed accorsi all'epoca di gran carriera, abbia -giustamente- alcuna intenzione di abbandonarsi ad atti eroici.
Afghanistan, il Vietnam italiano? Ecco gli indizi
Un giorno degli anni sessanta dell'ottocento a un posto di frontiera dell'India, allora unita al Pakistan, si presentò davanti ai soldati inglesi un loro commilitone lacero, stremato e con evidenti segni di terribili avventure.
Si trattava dell'unico sopravvissuto, su un contingente di circa 5000 soldati, del corpo di spedizione inviato dalla corona britannica per colonizzare l'Afghanistan. Di quello che per l'epoca era un contingente addestrato, ben nutrito, equipaggiato non rimaneva quindi che una persona. Che fornì poi dettagli tali all'esercito britannico da sconsigliare ogni nuova spedizione dell'impero di sua maestà in quelle terre.
Se, per capire cosa significhi invadere l'Afghanistan, questo esempio sembra troppo lontano nel tempo si guardi allora alla spedizione sovietica degli anni '80. L'occupazione dell'Afghanistan, durata dal 1979 al 1989, fu condotta con truppe di un numero cinque volte superiore all'attuale dotazione occidentale e senza i problemi di un'opinione pubblica spaventata per le perdite sul campo. Bene, un'offensiva su larga scala durata cinque anni ('80-'85) per stanare la guerriglia non riuscì a far pendere la bilancia dell'esito della guerra da parte russa.
Nonostante gli esempi storici, che consigliano interventi in massa, gli occidentali occupano l'Afghanistan con appena 60.000 soldati, con una catena di comando non chiara e regole di ingaggio determinate dalla diplomazia e non da esigenze sul campo, mentre intere regioni afghane sono di fatto autonome e in armi. Come dire: danzare sul vulcano. Basti qui ricordare che gli italiani, con circa 2000 effettivi, pattugliano un'area pari al nord del nostro paese. Chi ha un'idea della seconda guerra mondiale sa di quante decine di migliaia di occupanti aveva bisogno la Germania per tenere l'Italia del nord: questo per dire che l'occupazione occidentale in Afghanistan è semplice concentrazione di truppe in alcune aree definite chiave. Questo, quando buona parte del paese è ostile, ha lo stesso senso di voler svuotare un mare con robusti camion cisterna: lo spettacolo dei camion che vanno verso il mare è forte ma il compito non vedrà mai fine. In questo senso quindi tanto più si portano avanti le manovre militari dell'occupazione tanto più la fine della missione appare improbabile. Tatticamente parlando solo uno sforzo bellico, politico ed economico, pari a quelli utilizzati nelle grandi invasioni dell'ultimo conflitto mondiale porterebbe a risultati militari in quell'area. Salvo poi ritrovarsi in mano un paese completamente irriducibile, per composizione etnica e sociale, a qualsiasi dopoguerra di tipo occidentale. Per questo l'invasione dell'Afghanistan somiglia molto al tentativo di svuotare il mare anche se con mezzi industriali.
Quindi, quando il ministro La Russa parla di missione che terminerà quando "gli obiettivi saranno realizzati" o mente o è veramente convinto di svuotare un mare con i camion cisterna.
Oltretutto, e i media italiani evitano di ricordarlo (preferendo dedicarsi alla cronaca nera [o alla pornografia, n.d.r.]), nel confinante Pakistan i talebani controllano intere regioni. C'è infatti una sinergia, militare e di scambio di risorse, tra talebani afgani e talebani pakistani che sta rendendo l'attuale acuirsi delle ostilità in Afghanistan particolarmente insidioso per le truppe occidentali.
Del resto, nonostante il rafforzato impegno militare nell'area deciso dall'amministrazione Obama, gli analisti di strategia militare sono spesso concordi sul fatto che sia praticamente impossibile una reale vittoria militare occidentale nell'area. Allora perchè gli Usa hanno lanciato un'offensiva militare in Afghanistan? E quali sono interessi e strategia occidentale in quel paese?
L'Afghanistan è stato occupato, dopo settimane di bombardamenti e stragi di popolazione civile (l'esportazione della democrazia ha i suoi costi), nel 2001 poche settimane dopo l'attentato dell'11 settembre. All'epoca l'occupazione corrispondeva a queste logiche: togliere un retroterra militare alla Jihad, garantirsi il controllo futuro di gasdotti ed oleodotti, insinuare una forte presenza occidentale tra Iran e Pakistan garantendosi una rendita politica nell'area. Viene da sé che il controllo dell'Afghanistan garantisce anche potere di regolazione su un prodotto grezzo che nell'economia reale conta quasi quando il petrolio: il papavero d'oppio.
A parte quest'ultimo particolare, sarebbe interessante analizzare il peso sull'economia reale delle politiche di sradicamento del papavero d'oppio in questi anni di occupazione, nessuno di questi obiettivi del 2001 è stato oggi di fatto raggiunto. E' vero che nel frattempo è stato fatto presidente dell'Afghanistan un ex vicepresidente di una compagnia petrolifera americana ma gli occidentali, dopo otto anni, non possono dire di controllare qualcosa di più del centro di Kabul e di zone collegate (oltre al perimetro delle proprie basi).
La campagna elettorale di Obama sull'Afghanistan si è basata su un punto chiaro: compimento degli obiettivi fissati nel 2001 e, per permettere questo compimento, sganciamento dall'Iraq. All'interno di quale strategia globale non è dato capirlo, ci sono anche analisti infatti che al momento dubitano che gli Usa abbiano una strategia complessiva di politica estera. Gli unici a non dubitare della certezza della vittoria, e del senso della guerra in Afghanistan, sembrano al momento essere solo i media italiani assieme al centrodestra e al centrosinistra di questo paese. Eppure gli italiani devono solo sperare che il loro coinvolgimento non generi che alcune vittime ogni sei mesi come accaduto fino ad oggi anche nei momenti più crudi del conflitto. Che insomma, la guerriglia delle vaste aree che presidiano semplicemente faccia poco più che ignorarli. Altrimenti, sarà Vietnam italiano e con un paese del tutto impreparato, culturalmente e politicamente, ad una intelligente strategia d'uscita.
Nel frattempo i professionisti e i volontari delle marce della pace sono scomparsi. Molti dei loro rappresentanti il prosieguo della guerra in Afghanistan l'hanno votato nel 2006, quando erano al governo e politicamente decisivi, a conferma che una cosa è la retorica di quando si siede all'opposizione e un'altra la ferrea legge delle compatibilità con i poteri forti quando si è al governo.
Quindi, per adesso, c'è solo da sperare che in Afghanistan regni un'anarchia tale da rendere superflue le truppe italiane. Tanto da farle evacuare sotto la propaganda che magari parla di "missione compiuta". Meglio una farsa che una fila sterminata di tombe.
per Senza Soste, Nique la Police.
P.S.: a dimostrazione di quanto conti l'opinione pubblica quando è pacifista. Tutti i maggiori sondaggi, ripetuti nel tempo, mostrano una maggioranza favorevole al ritiro. Il governo e principale partito d'opposizione, il PD, hanno parlato di irrinunciabilità della missione afghana. Quando si dice che il modello dell'opinione pubblica civile e democratica che si fa ascoltare dalla politica è completamente saltato...
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