domenica 29 gennaio 2017

Alastair Crooke - Gli ostacoli ai piani per la "crescita" di Donald Trump



Da Consortium News, 21 novembre 2016


Con ogni evidenza siamo giunti ad un punto di svolta. Il presidente eletto Trump vuole imporre drastici mutamenti di rotta ha percorso del suo paese. Il suo grido di battaglia che vuole una "AmeriKKKa di nuovo grande" evoca, e quasi certamente è fatto apposta per evocare, l'epica espansione economica ameriKKKana del XIX e del XX secolo.
Trump vuole invertire la rotta della delocalizzazione del lavoro americano; vuol far rivivere la base industriale del paese; vuole ridiscutere i termini del commercio internazionale; vuole la crescita; vuole posti di lavoro negli Stati Uniti, e vuole imporre una virata di centoottanta gradi alla politica estera ameriKKKana.
Così come si presenta si tratta di un'agenda piuttosto lodevole. Molti ameriKKKani desiderano proprio questo, ed il periodo di transizione in cui ci troviamo attualmente, in cui dettano legge l'evanescenza globale e la ricerca della crescita (qualunque cosa si intenda indicare con questo vocabolo) richiede veramente un approccio all'economia diverso da quello seguito negli ultimi decenni.
Raúl Ilargi Meijer ha affermato con perspicacia che una più grande autonomia
rappresenta il futuro del mondo, il mondo del dopo crescita e del dopo globalizzazione. Ogni paese ed ogni società ha bisogno di concentrarsi sulla autonomia, intesa non come una idealistica scelta di lusso, ma come una necessità. Non è una cosa cattiva o terribile come qualcuno vorrebbe che si credesse, e non è la fine del mondo... Non si tratta di una transizione idealizzata verso l'autosufficienza; è semplicemente e inevitabilmente l'unica cosa rimasta dopo che una crescita smodata ha finita col deragliare...
L'intera nostra visione del mondo e le nostre filosofie sono basate sul sempre di più e sul sempre più grande, e le nostre economie si basano per intero su questi concetti. Questo ci ha già resi incapaci di riconoscere il fatto che i nostri veri mercati sono in declino già da molti anni. Noi ci concentriamo sui dati dei mercati borsistici e così via, ed ignoriamo la rovina dei cuori pulsanti della nostra economia, le regioni ignorate dalle grandi rotte...
Donald Trump sembra proprio l'incastro adatto a questa transizione... Quello che importa [qui] è che egli promette di riportare il lavoro in AmeriKKKa ed è di questo che il paese ha bisogno... Non perché si possano esportare i nostri prodotti ma perché li si possa consumare qui, e venderli sul mercato interno... Non c'è nulla di sbagliato o di negativo se un ameriKKKano compra prodotti fabbricati in AmeriKKKa invece che in Cina. Non c'è nulla di sbagliato economicamente -e tantomeno moralmente- se le persone producono i beni cose di cui loro, le loro famiglie e i loro vicini desiderano e necessitano senza che questi debbano girare per mezzo mondo per un magro profitto. Almeno, non per l'uomo della strada. Non si tratta di una minaccia alla nostra 'società aperta' come vanno dicendo in molti. Questa apertura non dipende dal fatto che nei nostri negozi arrivano merci da oltre mille miglia lontano quando potremmo produrle noi stessi con grande beneficio per la nostra economia. La società aperta è una condizione mentale, che sia collettiva o personale. Non è un qualche cosa che si può vendere.
Sembra che il grande desiderio di Trump sia proprio questo. Non si tratta di una cosa priva di meriti, ma le cose sono cambiate: l'AmeriKKKa non è più quella che era nel XIX nel XX secolo, né in termini di risorse naturali da sfruttare né dal punto di vista sociale. E neanche il resto del mondo rimasto lo stesso. Il signor Trump, purtroppo per lui, può trovarsi a dover constatare che il suo compito principale non sarà la gestione di questo grande cambiamento di rotta, ma, più prosaicamente, il dover affrontare i venti tempestosi che si troverà davanti appena prenderà in mano il timone dell'economia.
In altre parole c'è la concreta possibilità che il suo ambizioso programma di riplasmare l'economia venga prematuramente inficiato dalla crisi finanziaria.
I venti di tempesta non sarà lui a suscitarli, e per la maggior parte sono di per sé oltre la possibilità di controllo da parte dell'uomo. Sono strutturali e sono molteplici. Essi rappresentano il risultato cumulativo della dottrina monetaria fin qui seguita, che caccerà il presidente eletto in un angolo ristretto. Qualunque percorso cercherà per uscirne, implicherà comunque degli effetti collaterali. Lo stesso vale per chiunque cerchi di imporre una rotta ad una qualunque nave statale nel mare dell'economia globale contemporanea. Paradossalmente, in un'epoca che si muove verso un maggior livello di autosufficienza, qualunque successo Trump possa conseguire non dipenderà dall'essere autonomi nella misura in cui gli piacerebbe. La sua politica estera in merito a questo cambiamento dipenderà dal trovare un terreno di interessi comuni con il signor Putin, e questo non dovrebbe essere troppo difficile; per gli aspetti economici invece questa virata dipenderà dalla abilità con cui Trump riuscirà a non mettersi a tu per tu con la Cina e a trovare un qualche modus vivendi con il Presidente Xi, e questo è meno facile.
"Le cose non sono più come prima". La teoria della complessità ciu dice che cercare di ripetere qualche cosa che una volta ha funzionato, in condizioni molto differenti, probabilmente non funzionerà in una successiva ripetizione. Nell'epoca di Clinton per esempio l'85% della crescita della popolazione statunitense derivava dalla parte della popolazione attiva. Il vento contrario che Trump dovrà affrontare è rappresentato dal fatto che per i prossimi otto anni l'80% della crescita della popolazione comprenderà gli ultra sessantacinquenni. E gli ultra sessantacinquenni non sono un buon motore per la crescita economica. Non si tratta di un problema esclusivamente americano; è anche una tendenza mondiale.
Secondo il blog Econimica "il picco di crescita nella popolazione attiva combinata (quella tra i quindici e i sessantaquattro anni) tra tutti i trentacinque paesi ricchi della OECD, il Brasile e la Russia è crollato dopo aver raggiunto il massimo nel 1981. La crescita annuale della popolazione attiva in questi paesi è crollato dai ventinove milioni annui in più ogni anno al milione scarso del 2016... ma da ora in avanti la popolazione attiva declinerà ogni anno.... Questi paesi rappresentano quasi i tre quarti della domanda mondiale di petrolio e beni esportati in generale. La loro popolazione attiva tuttavia continuerà a diminuire anno dopo anno da ora in poi, sicuramente per alcuni decenni e poi mentre per un tempo più lungo. La domanda globale di beni di quasi ogni genere è destinata a risentirne.

 (FFRindica il Federal Funds Rate: il tasso di interesse base negli USA)
Fonte: http://econimica.blogspot.it/2016/11/trump-lies-no-different-than-obama-or.html

Poi c'è la Cina. Anch'essa sta passando una difficile transizione dalla vecchia economia ad un'economia innovativa. Anch'essa a una popolazione che sta invecchiando ed un problema di debito, con un rapporto tra debito e prodotto interno lordo che sta arrivando a 247%. Trump pensa che la Cina stia tenendo deliberatamente basso il valore della sua valuta per accaparrarsi un indebito vantaggio commerciale e pensa anche di mettersi a tu per tu con il governo cinese su questa fondamentale questione.
Anche questo caso Trump ha ragione in parte, perché molti paesi stanno manipolando i loro tassi di cambio proprio per cercare di rubare un po' di crescita extra dal totale mondiale che sta diminuendo. Solo che, come si nota qui
Quello che in questo caso va bene per gli Stati Uniti [si tratta della salita del dollaro e dei tassi di interessi sulla scia delle anticipazioni della politica economica di Trump] non va bene invece per i mercati emergenti i mercati emergenti traggono benefici da un dollaro più debole, e non è questa la situazione verso cui stiamo andando. I mercati emergenti traggono beneficio dal fatto che il flusso globale dei capitali si muova nella loro direzione, e neppure questo sta succedendo. A febbraio i mercati emergenti erano in spiccato declino, un declino guidato da (1) un dollaro forte, dal (2) risalire dei tassi di interesse negli Stati Uniti e (3) dal rallentare della crescita cinese. Poi la Cina ha stimolato massicciamente il credito, la Fed è diventata sfrenatamente conciliante ed il dollaro è declinato rapidamente.
Nel corso dell'anno i tassi di interesse sono crollati. Una crescente quantità di dollari, euro e yen liquidi, alla ricerca di guadagni accettabili, è stata diretta sui mercati emergenti. Trump ha stimolato nuovamente la crescita del dollaro, ed il suo stimolo fiscale spingerà più in alto i tassi di interesse. Questo ha rovesciato il processo. [I dollari stanno rientrando]
ovviamente quelli di Pechino non vogliono trovarsi materialmente deboli in occasione del congresso del partito il prossimo autunno. Al momento però l'impulso che deriva dallo stimolo cinese del primo quadrimestre dell'anno ha quasi raggiunto il suo massimo.
In breve, Peters sta dicendo che con l'apprezzamento del dollaro e in un ambiente che facilita la risalita dei tassi di interesse, la crescita dei mercati emergenti nel loro complesso si indebolirà, dal momento che essi dipendevano dalla crescita cinese. Una volta essi erano solitamente legati alla crescita statunitense, ma oggi è la Cina che domina i loro flussi commerciali. Questo significa che se la Cina non cresce a risentirne sono i mercati emergenti. Il problema è questo: l'America può riprendere a crescere mentre la Cina ed i mercati emergenti ristagnano? Si tratta di un altro mutamento strutturale laddove fino ad oggi accadeva il contrario: se gli Stati Uniti non crescevano i mercati emergenti e la Cina ristagnavano. Adesso succede l'opposto.
Esistono altri mutamenti strutturali ovviamente che renderanno più difficile per le economie deindustrializzate dell'Occidente ricreare velocemente i posti di lavoro delocalizzati a suo tempo. In primo luogo l'innovazione e la tecnologia sono scivolate in modo sistemico verso est, spesso in direzione di una forza lavoro più competente e meglio istruita. Questo costituisce non soltanto un evento economico, ma anche una ridistribuzione del potere. In ogni caso, la tecnologia in questa nuova epoca distrugge posti di lavoro più che crearne.
In un certo senso il piano economico di Trump per portare di nuovo l'America al lavoro attraverso grossi progetti infrastrutturali finanziati col debito si ispira all'epoca di Reagan, che è stato anche un periodo di dollaro forte. Ma anche in questo caso "Le cose oggi non stanno come stavano a quei tempi". All'epoca l'inflazione era al 13%, i tassi di interesse attorno al 20%, e soprattutto il rapporto tra debito e prodotto interno lordo negli Stati Uniti era solo del 35%.
All'epoca, come ha suggerito Jack Richards, il dollaro forte veniva deliberatamente lasciato alla deflazione e i tassi di interesse non potevano fare altro che scendere. Si era all'inizio di tre decenni di boom per i titoli di Stato, un trentennio finalmente giunto a conclusione in coincidenza con l'elezione di Trump. Oggi l'inflazione non può far altro che salire, al pari dei tassi di interesse, ed il mercato dei titoli di Stato non può che scendere. In modo pericoloso.
Trump in queste condizioni può far crescere l'economia e i posti di lavoro spendendo nelle infrastrutture? Beh, il vocabolo crescita è ambiguo e mutevole. Il grafico a sinistra qui sotto "mostra entrambi i lati dell'equazione... La crescita annua del prodotto interno lordo e la crescita annua del debito federale si sono verificate in concorso per costituire la cosiddetta crescita. Il secondo grafico a destra mostra il prodotto interno lordo annuale, una volta sottratta la crescita annuale del debito federale contratto per arrivare proprio a quella crescita del prodotto interno lordo." In altre parole a differenza di quanto succedeva agli inizi dell'epoca di Reagan, negli ultimi anni il debito non produce alcuna crescita, ma per lo più solo altro debito.

 Fonte: http://econimica.blogspot.it/2016/11/trump-lies-no-different-than-obama-or.html

Di fatto il secondo grafico non fa che rispecchiare la diluizione del potere d'acquisto di cui è responsabile la stampa di nuova moneta. Il potere d'acquisto diminuisce per il consumatore ameriKKKano e, tramite l'intermediazione del settore finanziario, passa ad altre entità che sono per lo più organizzazioni finanziarie e società che riacquistano proprie quote. Si tratta della deflazione del debito: il consumatore ameriKKKano finisce per disporre di meno ricchezza e di meno potere d'acquisto, inteso come residuo di reddito spendibile a discrezione.
Il punto è che la "crescita" sta diventando ovunque un fenomeno più raro. Anche la Russia e la Cina, come tutti gli altri, sono in cerca di nuove fonti di crescita.
Il debito è proprio il diavolo che può mettere la coda in tutti i calcoli di Trump. un "piano di miglioramento infrastrutturale da mille miliardi di dollari, unito alla sua proposta di ricostruire le forze armate farà crescere in maniera significativa il deficit annuale, almeno nel breve termine. Di fatto il deficit sta già salendo: l'ammanco per l'anno fiscale 2016 è passato a 587 miliardi dai 438 dell'anno prima. Un aumento del 34%... Inoltre, le politiche protezioniste di Trump comporterebbero un dazio del 35% su determinate importazioni o imporrebbero la produzione degli stessi beni all'interno degli USA a prezzi molto più alti. Ad esempio, l'aumento nel costo del lavoro per i beni prodotti in Cina sarebbe del 190%, tenuto presente il salario minimo reso obbligatorio dalla legge federale che tocca al lavoratore negli Stati Uniti. Di qui la crescita dell'inflazione." Insomma, l'autosufficienza impilca costi interni più alti e l'aumento dei prezzi per i consumatori.
Il debito crescerà. E pare sia già in atto uno sciopero dei compratori contro il debito di stato degli USA: ben più di un terzo su un totale di mille miliardi di dollari di buoni del tesoro era già stato venduto dalle banche centrali straniere fino al 31 agosto del 2016.

Fonte: http://www.zerohedge.com/news/2016-11-16/saudis-china-dump-treasuries-foreign-central-banks-liquidate-record-375-billion-us-p 

...E chi è che li sta comprando? Il grafico mostra l'andamento degli acquisti, in percentuale del debito totale per cui il Tesoro ha fatto delle emissioni. Le banche centrali straniere sono scomparse. I cinesi non comprano più buoni del tesoro statunitensi dal 2011.

In alto, chi ha acquistato il debito messo in commercio, in percentuale e per periodo.
Fonte: http://econimica.blogspot.it/2016/11/trump-lies-no-different-than-obama-or.html

A comprare è il pubblico statunitense. Il pubblico statunitense sarà disposto a reggere i mille miliardi di spesa pazza di Trump per le infrastrutture? O il denaro necessario verrà stampato, diluendo ulteriormente il potere d'acquisto del consumatore ameriKKKano? La trasformazione di questa infatuazione per le infrastrutture in un aumento della crescita economica sta in gran parte in questa risposta. Ovviamente, in borsa le imprese di costruzioni andranno bene.
Morale della favola, secondo Michael Pento:
Se i tassi di interesse continuano a salire non sarà solo il prezzo dei buoni del tesoro a collassare. La stessa sorte toccherà ad ogni valore mobiliare cui è assegnato un valore al di fuori del cosiddetto "tasso di ritorno privo di rischio" offerto dal debito sovrano. Si imparerà allora la dolorosa lezione che l'aver mantenuto per gli scorsi novanta mesi una politica di tassi a zero non era iniziativa del tutto priva di rischi. I tassi di interessi negativi hanno causato una vistosa distorsione nel prezzo di molti asset, tra i quali il debito societario, i buoni emessi dalle amministrazioni locali, i fondi di investimento immobiliari, le obbligazioni per anticipo sui crediti, i valori di borsa, le merci, le auto di lusso, le opere d'arte, tutto quanto produce un reddito fisso e quanto dipende da essi, e tutto quello che c'è in mezzo; tutte cose che crolleranno tutte insieme con l'economia globale.
Normalizzare il tasso di rendimento dei titoli di stato farebbe molto bene all'economia nel lungo termine perché è necessario comporre in qualche modo i grossi squilibri economici oggi esistenti. Invece, il Presidente Trump non vuole sentir parlare della depressione che arriverà con il crollo del settore immobiliare, delle borse e del prezzo dei titoli di stato.
A dire il vero, per tutta la durata della sua campagna elettorale Trump non ha fatto che ripetere che chiunque avesse vinto le elezioni avrebbe dovuto affrontare una crisi finanziaria già al momento della salita in carica, a gennaio. Magari non si troverà ad affrontare i "violenti venti contrari" del quantitative easing e della bolla dei titoli di stato, come certi esperti hanno predetto, ma molti altri, secondo una ricerca condotta dalla Bank of AmeriKKKa su 177 gestori di fondi che controllano titoli per poco meno di mille miliardi di dollari, si attendono "un crollo dei titoli di stato dovuto a stagflazione".
Tutto questo ha implicazioni politiche di vasta portata. Trump si sta preparando, nientemeno, a cambiare completamente l'economia e la politica estera statunitensi e lo sta facendo mentre molti dei seguaci delle élite liberali sono così adirati per il risultato delle consultazioni da rifiutare completamente la sua legittimazione. E con le stesse élite rimaste impietrite davanti a questo rifiuto del processo democratico statunitense. Si stanno organizzando movimenti per indebolire la sua presidenza (si veda ad esempio qui). Se Trump si troverà ad affrontare una situazione finanziaria tempestosa intanto che in patria imperversano rabbia e disordini, le cose potrebbero mettersi piuttosto male.

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