domenica 3 febbraio 2019

Alastair Crooke - La resa dei conti. Il discorso di Pompeo al Cairo rispecchia la scissione che si prospetta sul piano interno.



Traduzione da Strategic Culture, 21 gennaio 2019.

Il discorso al Medio Oriente che il Segretario di Stato Mike Pompeo ha pronunciato da un palco molto simbolico, quel Cairo da cui Obama aveva esposto le proprie idee, ha gettato molti nello sconcerto. Il fine del discorso sembrava più che altro quello di sbandierare il credo evangelico fondamentalista di Pompeo e di sottolineare il "sacro diritto" dell'AmeriKKKa, di assestare un colpo ai tentennanti propositi di Obama e di additare l'Iran come l'anticristo dei nostri tempi.
La maggior parte del pubblico mediorientale è rimasta perplessa. E non c'è da stupirsene; ha poca familiarità col sacro zelo della politica evangelica statunitense. Gli europei si sono semplicemente stupiti della sua straordinaria mancanza di legami con la realtà politica del Medio Oriente di oggi; il discorso è suonato assurdo, e la serie di visite diplomatiche che Pompeo ha tenuto in Medio Oriente è miseramente fallito.
Per fortuna c'è Michael Vlahos, uno storico statunitense ed ex docente dello US War College che ora insegna alla John Hopkins, a contestualizzare un po' il discorso di Pompeo. In un articolo intitolato Siamo fatti per la guerra civile Vlahos afferma che mentre agli ameriKKKani si insegna "che la Rivoluzione fu un miracolo e che la Guerra Civile fece dell'AmeriKKKa una nazione, o che -come proclamò Ralph Waldo Emerson- l'AmeriKKKa è il paese del futuro, ribadendo il destino provvidenziale insito nel quasi popolo eletto di Lincoln, sono tutte cose di pura fantasia."
La nostra identità, fin dal principio, è stata definita come un trionfo sull'Altro. Noi l'Altro lo cacciamo, come la Francia espulse crudelmente gli eretici ugonotti nel XVII secolo. Noi cacciammo centomila lealisti che avevamo considerato come fratelli. La guerra civile di per sé durò vent'anni, dal 1763 al 1783, ma la conseguente guerra fredda e lo strascico di scontri contro la Gran Bretagna proseguirono fino al 1815.
Si produsse allora un'ulteriore spaccatura nel tessuto sociale del paese. Dopo il 1815 iniziò una nuova migrazione culturale. La stessa giovane AmeriKKKa si divise fra due opposte concezioni della vita e due identità politiche sempre più aspramente contrapposte, che dal 1857 al 1877 si scontrarono in un altro conflitto ventennale...
Attorno al 1840 la spaccatura aveva iniziato a diventare evidente: la precedente coesione aveva inziato a venir meno, dando origine a due subculture ameriKKKane distinte: una che puntava tutto su un mondo dominato dalla schiavitù, e un'altra che aveva le proprie radici nello slogan populista del "libero suolo, libero lavoro, liberi uomini". Una era in mano ad una élite aristocratica, l'altra allo spirito dei dei piccoli proprietari repubblicani.
La divisione fra nord e sud che sfociò nella guerra civile era questa; e alla guerra si giunse quando entrambe le parti si convinsero di incarnare non solo la sacralizzata narrativa ameriKKKana, ma [anche] il futuro del paese... Solo le generazioni fortunate degli anni compresi fra i '30 e i '70 del XX secolo poterono far finta di celebrare una cosa come l'unità nazionale. Ma anche all'epoca tale privilegio era patrimonio di un'unica e privilegiata maggioranza politica del tutto contigua al predominante establishment liberale...
E oggi, spiega Vlahos, "L'AmeriKKKa... si sta dividendo secondo due diverse concezioni per quanto riguarda il futuro del paese: la virtù rossa è quella che pensa alla continuità della famiglia e della comunità nel contesto di una comunità nazionale pubblicamente esplicitata. La virtù blu pensa invece a comunità scelte da ciascun individuo, mediate tramite la relazione del singolo con lo stato. Anche se queste due distinte concezioni dell'AmeriKKKa sono rimaste opposte per decenni e sono riuscite fino a oggi ad arginare il montare della violenza, nell'aspro scontro che le caratterizza [oggi] vige la sensazione che ciascuna stia serrando le fila in vista di una decisione dalla portata definitiva." 
Oggi, prosegue Vlahos, "due legittimi percorsi sono fermi a un punto morto, contrapposti l'uno all'altro... Quello tra rosso e blu è già un insanabile scisma di tipo religioso, che da un punto di vista dottrinale è persino più profondo di quello che nel XVI secolo divise cattolici e protestanti. La guerra  oggi in corso sarà vinta dalla fazione che riuscirà a catturare la bandiera (dei social media), e con essa la palma di vera erede della virtù ameriKKKana. Entrambe le parti si considerano portabandiera del rinnovamento del paese, della liberazione da ideali ormai corrotti e della piena realizzazione della promessa ameriKKKana. Entrambe credono con fervore di essere le uniche nel giusto."
Ed eccoci al punto. Parte del discorso di Pompeo corrisponde alla descrizione di Vlahos: Pompeo ha cercato di "catturare la bandiera" in nome dell'amministrazione Trump e della base elettorale evangelica che la sostiene, in qualità di vero erede della virtù rossa ameriKKKana. I riferimenti di Pompeo al fatto che ogni giorno apre la bibbia alla propria scrivania e la sua enfasi sul concetto di AmeriKKKa come "forza del Bene" nella regione mediorientale (cosa che ha fatto fioccare le occhiatacce in tutto il Medio Oriente) erano completamente fuori dalla realtà mediorientale. Comunque sia, le sue allusioni non sono state per nulla colte dal pubblico egiziano.
Pompeo stava piuttosto preparando la base elettorale di Trump per quella che Vlahos chiama la resa dei conti. Quello della alterità è un processo di trasformazione per mezzo del quale ex sodali e ameriKKKani a tutti gli effetti vengono reimmaginati come incarnazione del Male, come un nemico interno che deve affrontare ora la punizione, dopo aver subìto la sconfitta.
Secondo Vlahos al centro dell'identità ameriKKKana di trova proprio questo concetto di sconfitta dell'alterità; in questo contesto la demonizzazione dell'Iran da parte di Pompeo acquista rilevanza: l'Iran per gli ameriKKKani è adesso l'Altro per antonomasia. Vlahos scrive:
In realtà l'unità degli USA ammonta a pochi decenni: anticipata dalla prima guerra mondiale, realizzata nella seconda, e mantenuta vitale fino agli anni Settanta. In concreto le due guerre mondiali hanno fatto proprio il contesto della guerra civile e hanno abilmente rivolto verso l'esterno l'impulso all'alterità. Invece dei britannici e dei tories, o dei ribelli e dei Copperheads, l'Altro malvagio fu impersonato opportunamente, e persino volentieri, dalla Germania. Sconfitti gli Unni, il loro posto fu preso, anche stavolta abbastanza volentieri, dall'Unione Sovietica. Ripensare l'Altro, e collocarlo fuori dai confini, fece sì che gli ameriKKKani non badassero alle divisioni che si approfondivano in patria.
Solo che la fine della Guerra Fredda ha portato a una conclusione tremebonda un secolo di unità forzata.
Adesso è l'Iran l'Altro malvagio che serve a dirigere opportunamente all'esterno gli impulsi degli ameriKKKani.
E sembra che l'Iran si trovi esattamente laddove passa un'altra delle linee di faglia interne all'AmeriKKKa oggi in movimento. Nella New York Review of Books >Stephen Wertheim sostiene che la vittoria di Trump nel 2016 ha diviso in due i neoconservatori ameriKKKani; un'ala è simboleggiata da Bolton, e si è inserita fra quanti dettano legge in politica estera nell'amministrazione Trump. L'altra invece sta ricostruendo i legami con il Partito Democratico. 
Secondo Wertheim la virtù rossa è passata senza scosse a Bill Kristol e a Norman Podhoretz e alla loro costruzione di una minaccia morale diretta all'esistenza del buon diritto ameriKKKano, rappresentata dall'islamofascismo. "Il neoconservatorismo deriva dalla tradizione filosofica di Leo Strauss,  che in The City and Man afferma che 'la crisi dell'Occidente consiste nel fatto che l'Occidente si è fatto incerto circa il proprio scopo' [esattamente quello che al Cairo Pompeo ha rimproverato a Obama]". "Secondo i seguaci di Streauss e secondo i loro discendenti intellettuali, il conflitto militare si prestava a fornire questo scopo", nota Sugarman. E per Pompeo, per il Vicepresidente Pence e per Bolton l'Iran assolve alla perfezione a questa necessità, specialmente perché è il principale avversario dello stato sionista.
Al Cairo Pompeo stava dando un segnale di appartenenza rivolto essenzialmente al pubblico statunitense, con quel suo disciplinato ritratto di un Iran luciferino, suggerendo che con l'amministrazione Trump, a differenza che con quella Obama, il governo statunitense aveva riacquisito le proprie certezze su quale fosse la "missione" ameriKKKana in materia di politica estera (ovvero di caccia ai draghi).
La virtù blu, per l'altra ala neoconservatrice, è incarnata dal liberalismo e dalla coalizione militare di quanti hanno la stessa mentalità; il tutto centrato sulla legittima ideologia liberale dell'antitotalitarismo.
"per Bolton e comapgi, Donald Trump si è rivelato un traditore," osserva Wertheim. "Trump ha tolto il globalismo dalla sufficienza in cui era tenuto e lo ha posto al centro della politica estera ameriKKKana e di quella del Partito Repubblicano. I neoconservatori storicamente hanno sempre pubntato alle istituzioni globali, non al globalismo in sé. Pochi hanno incarnato quest'idea meglio di Bolton, che si è costruito una carriera bastonando sia le Nazioni Unite che il loro Consiglio di Sicurezza". Durante l'amministrazione Obama, rileva Wertheim, Bolton lanciava regolari allarmi contro "i sinistrorsi come Obama che stavano tentando di svendere pezzo a pezzo la sovranità ameriKKKana alle istituzioni internazionali".
Per apostati repubblicani come Jennifer Rubin, David Frum e Max Boot, sostiene Wertheim, Trump è stato, nel male, qualcosa di meno rispetto a un dittatore estero: un "nemico interno". La sua personalità degenerata e la sua sfrenata corruzione hanno permesso loro di "avocare a se stessi il ruolo prediletto di custodi della rettitudine morale in AmeriKKKa".
Bene, tutto molto bene. Certo, il dicorso di Pompeo era del tutto scollegato dalla realtà mediorientale, ma possiamo ignorare la sua retorica sull'Iran, e trattarla come nulla più che un modo per mettersi politicamente in mostra? Forse sì, a meno che questa zelante raffigurazione dell'Iran come l'anticristo non finisca per trasformare in realtà le pretese dell'amministrazione Trump di realizzare certi "sacri destini dell'AmeriKKKa" bombardando il paese.
Vlahos pensa che
Perché questa o quella arrabbiata visione [dell'AmeriKKKa] finisca per prevalere, si deve arrivare a una resa dei conti. Questo richiede, perversamente, che le due parti cooperino perché si arrivi a uno scontro aperto, obbligando la maggioranza degli ameriKKKani a considerarlo come inevitabile. A quel punto basterà un fiammifero.
E questo è quello che le udienze di conferma di Brett Kavanaugh e i quasi due anni di sforzi incessanti rivolti alla delegittimazione e all'estromissione di Donald Trump dalla sua carica possono fare oggi: spingere le due parti dell'ex paese unito a sfregare quel fiammifero.
Lo scontro. Se gli equilibri politici mutano in modo rimarchevole, qualunque impedimento alla deflagrazione rappresentato dalla manipolazione delle norme politiche e da posizioni elettorali di lunga durata potrebbe dissolversi. Ed entrambe le parti, quella avvantaggiata e quella svantaggiata, più prima che poi si troveranno al faccia a faccia.
Potrebbe essere l'Iran il banco di prova per questo faccia a faccia, il terreno per una prova di forza all'insegna della virtuosità morale?

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