martedì 30 aprile 2024

Alastair Crooke - Un intreccio di paradigmi strategici



Traduzione da Strategic Culture, 29 aprile 2024.


Theodore Postol, professore di scienza, tecnologia e politica per la Sicurezza Nazionale al MIT, ha prodotto un'analisi accurata dei video e delle prove relative all'attacco dimostrativo del 13 aprilem che l'Iran ha condotto con droni e missili contro lo stato sionista. Un "messaggio", piuttosto che un "assalto".
Il principale quotidiano sionista, Yediot Ahoronot, ha stimato il costo del tentativo di abbattere la flottiglia iraniana in 2-3 miliardi di dollari. Le implicazioni di questa sola cifra sono sostanziali.
Il professor Postol scrive:
Questo indica che i costi per difendersi contro ondate di attacchi di questo tipo sono molto probabilmente insostenibili a fronte di un avversario adeguatamente armato e determinato.
I video mostrano un fatto estremamente importante: tutti i bersagli, fossero essi droni o meno, sono stati abbattuti da missili aria-aria" [lanciati per lo più da aerei statunitensi. Secondo quanto riferito, c'erano in aria centocinquantaquattro velivoli] che probabilmente sparavano missili aria-aria AIM-9x Sidewinder. Il costo di un singolo missile di quel tipo è di circa cinquecentomila dollari".
Inoltre:
Il fatto che un numero molto elevato di missili balistici non intercettati sia stato visto esplodere al rientro nell'atmosfera a quote più basse [dato che ne attesta la ipervelocità], indica che, quali che siano stati gli effetti delle difese missilistiche David's Sling e Arrow [dello stato sionista], esse non sono state particolarmente efficaci". Pertanto, le prove a questo punto mostrano che essenzialmente tutti o almeno la maggior parte dei missili balistici a lungo raggio in arrivo non sono stati intercettati da alcuno dei sistemi di difesa aerea e missilistica sionisti.
Postel aggiunge: "Ho analizzato la situazione e sono giunto alla conclusione che è più che possibile adattare la tecnologia ottica e di calcolo disponibile in commercio al sistema di guida di un missile da crociera per fornirgli una capacità di puntamento di altissima precisione... è mia conclusione che gli iraniani abbiano già sviluppato missili da crociera e droni a guida di precisione".
Questo comporta delle chiare implicazioni. Il costo dell'abbattimento di missili da crociera e droni sarà molto alto e potrebbe essere insostenibile, a meno che non si possano implementare sistemi antiaerei estremamente economici ed efficaci. Al momento, nessuno ha ancora fornito dimostrazione di un sistema di difesa economico in grado di intercettare con una qualche affidabilità dei missili balistici.
Per essere chiari, Postol sta dicendo che né gli Stati Uniti né lo stato sionista dispongono di qualcosa di più di una difesa parziale contro un potenziale attacco di questa natura, soprattutto perché l'Iran ha disperso i silos sotterranei dei suoi missili balistici su tutto il territorio, e li ha messi sotto il controllo di unità autonome che sono in grado di continuare una guerra anche se il comando centrale e le comunicazioni venissero a mancare del tutto.
Si tratta di un cambiamento di paradigma: per lo stato sionista lo è senza dubbio, ad esempio. Gli Stati Uniti non ripeteranno così tanto per fare l'enorme e concreta spesa sostenuta per i dispositivi di difesa aerea, due o tre miliardi di dollari. Netanyahu non convincerà facilmente gli Stati Uniti a impegnarsi a fianco dello stato sionista in una qualsiasi impresa congiunta contro l'Iran, dato che la difesa aerea presenta di questi costi proibitivi.
Altra importante precisazione da fare, questi mezzi di difesa aerea non sono solo costosi in termini di dollari: semplicemente non esistono: le scorte sono quasi esaurite. E gli Stati Uniti non hanno la capacità produttiva per sostituire rapidamente queste piattaforme, che non sono particolarmente efficaci e hanno un alto costo.
"...Certamente, Ucraina..." il paradigma del Medio Oriente si rapporta direttamente a quello in Ucraina, dove la Russia è riuscita a distruggere gran parte delle capacità di difesa aerea fornite dall'Occidente, acquisendo nei cieli un dominio aereo quasi assoluto.
Impiegare le difese aeree di cui c'è penuria "per salvare lo stato sionista" lascia quindi scoperta l'Ucraina e rallenta anche il riallineamento statunitense nei confronti della Cina. E vista la recente approvazione della legge sui finanziamenti all'Ucraina da parte del Congresso, è chiaro che la priorità è quella di inviare mezzi di difesa aerea a Kiev, dove l'Occidente sembra sempre più in trappola e sempre più alla ricerca di una via d'uscita non umiliante.
le implicazioni del cambio di paradigma in Medio Oriente sono già evidenti per quanto riguarda Netanyahu. Deve tornare a concentrarsi sul "nemico vicino" -la sfera palestinese o il Libano- per dare allo stato sionista quella "grande vittoria" che il suo governo brama.
In breve, per Biden la contropartita di aver salvato lo stato sionista da un attacco di cui l'Iran aveva preannunciato il carattere dimostrativo e non distruttivo o letale, è che la Casa Bianca deve sopportare il corollario di un attacco a Rafah. Ma questo ha a sua volta un costo, sia pure di altro genere: l'erodersi del consenso elettorale, dovuto all'esacerbarsi delle tensioni interne derivanti dal perdurante e palese massacro dei palestinesi.
Non è solo lo stato sionista a dover sopportare il peso del cambio di paradigma iraniano. Consideriamo gli Stati arabi sunniti che si sono impegnati in varie forme di collaborazione o di "normalizzazione dei rapporti diplomatici" con lo stato sionista.
Nell'eventualità di un conflitto più ampio che coinvolga l'Iran, è chiaro che lo stato sionista non è in grado di proteggerli, come dimostra chiaramente il professor Postol. Possono forse contare sugli Stati Uniti? Gli Stati Uniti devono far fronte a diverse richieste con difese aeree che scarseggiano, e (per ora) l'Ucraina e lo spostamento dell'attenzione verso la Cina sono ai primi posti nella scala delle priorità della Casa Bianca. Nel settembre 2019, l'impianto petrolifero saudita di Abqaiq è stato colpito da missili da crociera che, osserva Postol, "avevano uno scarto effettivo forse di pochi metri, erano molto più precisi di quanto si potrebbe fare con un sistema di guidaa GPS (cosa che fa pensare fossero dotati di un sistema di guida ottica e computazionale in grado di assicurare una capacità di puntamento molto precisa)".
Quindi, dopo il cambio di paradigma imposto dalla deterrenza attiva iraniana e quello imposto dal traumatico effetto dell'esaurimento delle difese aeree, il prevedibile prossimo cambio di paradigma occidentale, il terzo, ha a che fare con la situazione in Ucraina.
Infatti la guerra per procura dell'Occidente contro la Russia, in cui l'Ucraina ha un ruolo centrale, ha reso evidente una cosa: che la delocalizzazione della propria base produttiva ha reso l'Occidente non competitivo, sia in termini meramente commerciali sia perché la cosa ha posto dei limiti alla sua capacità produttiva nel settore della difesa.
L'Occidente si è accorto solo dopo il 13 aprile di non avere i mezzi di difesa aerea necessari a "salvare lo stato sionista", "salvare l'Ucraina" e prepararsi alla guerra con la Cina. Il modello occidentale, fondato sulla massimizzazione dei profitti per gli azionisti, non si è adattato facilmente alle esigenze logistiche dell'attuale guerra "limitata" fra Ucraina e Russia, né tanto meno ha contribuito a rafforzare la posizione occidentale in vista di futuri confronti con l'Iran e con la Cina.
In parole povere, questo imperialismo globale che si pensava ormai compiuto ha vissuto una sorta di falsa partenza: l'economia si è spostata dalla produzione di beni al campo più lucroso dell'escogitare nuovi prodotti finanziari (come i derivati) che fanno fare rapidamente un sacco di soldi, ma che destabilizzano la società facendo aumentare le disparità dei redditi e in definitiva destabilizzano lo stesso sistema globale, perché la maggior parte dei paesi del mondo non intende sottostare alla perdita di sovranità e di autonomia che sono conseguenza implicita dell'economia finanziarizzata.
Più in generale, il sistema globale è vicino a un marcato mutamento strutturale. Come avverte il Financial Times,
gli Stati Uniti e l'Unione Europea non possono perorare in nome della loro sicurezza nazionale la causa di una propria industria nascente, impadronirsi di catene di valore fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze, infrangere le "regole" fiscali e monetarie e allo stesso tempo usare il FMI e la Banca Mondiale -nonché la professione di economista- per predicare le migliori pratiche di libero mercato ai mercati emergenti Cina esclusa. E la Cina non può aspettarsi che gli altri non copino quello che essa fa". Come conclude il Financial Times, "il passaggio a un nuovo paradigma economico è iniziato. Come finiranno le cose è tutto da vedere".
"Tutto da vedere", dicono. Beh, per il Financial Times la risposta potrà anche essere suscettibile di interpretazioni svariate, ma per la maggioranza globale è abbastanza chiara: "Stiamo tornando alle origini". Un'economia più semplice, in gran parte nazionale, protetta dalla concorrenza straniera da barriere doganali. Chiamatelo pure "vecchio stile"-questi concetti sono stati messi nero su bianco negli ultimi 200 anni- ma non si tratta di nulla di estremo. Sono nozioni che riflettono semplicemente il rovescio della medaglia delle dottrine di Adam Smith, e sono quelle avanzate da Friedrich List nella sua critica all'approccio individualista all'insegna del laissez-faire caro agli anglo-ameriKKKani.
I "leader europei", tuttavia, vedono la soluzione del paradigma economico in modo diverso:
Panetta della BCE ha tenuto un discorso che fa eco all'appello di Mario Draghi in favore di un "cambiamento radicale". Ha dichiarato che per prosperare l'UE ha bisogno di un'economia politica di fatto focalizzata sulla sicurezza nazionale, e incentrata sulla riduzione della dipendenza dalla domanda estera, sul rafforzamento della sicurezza energetica (protezionismo verde), sull'avanzamento della produzione tecnologica (politica industriale), sul ripensamento della partecipazione alle catene globali del valore (tariffe/sussidi), sul governo dei flussi migratori (quindi aumento del costo del lavoro), sul rafforzamento della sicurezza esterna (ingenti fondi per la difesa), su investimenti congiunti in beni pubblici europei (tramite Eurobond ... da acquistare con il quantitative easing della BCE)".
Il boom dei servizi finanziari statunitensi è stato una "falsa partenza" che ha avuto luogo intanto che la base industriale di quel paese stava andando alla malora e mentre si iniziavano a promuovere nuove guerre.
È facile capire che l'economia statunitense ha bisogno di un cambiamento strutturale. L'economia reale degli USA è diventata poco competitiva a livello globale: da qui l'invito della Yellen alla Cina affinché freni la sua sovraccapacità, che sta danneggiando le economie occidentali.
Ma è realistico pensare che l'Europa possa gestire il rilancio di una "economia politica di fatto focalizzata sulla sicurezza nazionale", come sostengono Draghi e Panetta, come continuazione della guerra con la Russia? E iniziando praticamente da una posizione vicina al punto di partenza?
È realistico pensare che le necessità securitarie degli USA permetteranno all'Europa di farlo, dopo averla deliberatamente ridotta al vassallaggio economico facendole abbandonare il precedente modello di business basato sull'energia a basso costo e sulla vendita di prodotti ingegneristici di alta gamma alla Cina?
Il piano Draghi-BCE rappresenta un enorme cambiamento strutturale, che richiederebbe uno o due decenni per essere attuato e che costerebbe migliaia di miliardi. Inoltre, prenderebbe il via in un momento di inevitabile austerità fiscale, per l'Europa. Ci sono prove che i normali cittadini europei siano favorevoli a un cambiamento strutturale così radicale?
Perché allora l'Europa sta avviandosi su una rotta che contempla rischi enormi e che potenzialmente potrebbe trascinarla in un vortice di tensioni destinate a sfociare in una guerra con la Russia?
Per una sola ragione sostanziale: La leadership dell'UE nutre l'arrogante ambizione di trasformare l'UE in un impero "geopolitico", in un attore globale dotato del peso necessario ad affiancare gli Stati Uniti al tavolo del vertice. A tal fine, l'UE si è offerta senza riserve come ausiliaria all'esecutivo della Casa Bianca per le sue mene in Ucraina e il prezzo che ha accettato di pagare per questo prevede il dare fondo alle sue riserve di armamenti e il fare a meno di quell'energia a basso costo da cui dipendeva la sua economia.
È stata questa decisione a deindustrializzare l'Europa, a rendere non competitivo ciò che resta della sua economia reale e a innescare l'inflazione che ne sta minando il tenore di vita.
L'allineamento al fallimentare progetto ucraino di Washington ha scatenato nella UE una serie di decisioni a cascata dalla portata disastrosa.
Se questa linea politica dovesse cambiare, l'Europa potrebbe tornare a essere ciò che era: un'associazione commerciale formata da Stati sovrani diversi. Molti europei concorderebbero sul rendere l'Europa di nuovo competitiva, facendo dell'Europa un attore diplomatico, piuttosto che militare.
Gli europei, poi, vogliono davvero andarci, al tavolo con gli USA?

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