venerdì 31 maggio 2019

Alastair Crooke - La trappola di Bolton: additare l'Iran come minaccia nucleare e distogliere l'attenzione dal suo progetto nascosto.



Traduzione da Strategic Culture, 27 maggio 2019.

Il Presidente Putin aveva visto giusto quando aveva predetto che le iniziative degli USA che costringevano l'Iran a venire meno agli accordi sul nucleare sarebbero finite presto nel dimenticatoio, come infatti è stato, e che i principali mass media statunitensi avrebbero adottato a tutto campo una narrativa antiiraniana. Cosa verificatasi anche questa.

John Bolton ha messo in funzione la sua trappola, un gesto che farà inevitabilmente salire la tensione tra Iran e USA. Bolton ha cambiato musica, passando dalla "Grande Israele" o Accordo del Secolo, un progetto che richiedeva il prendere a bastonate l'opposizione iraniana, alla minaccia di un potenziale raggiungimento della capacità di costruire atomiche da parte dell'Iran, dal momento che l'Iran si trova effettivamente costretto ad accumulare uranio arricchito, anche fino al 3,67%.
Per dirla con precisione, col ritiro da parte degli Stati Uniti dei capitolati di esenzione che permettevano all'Iran di rimanere negli stretti limiti fissati dagli accordi per quanto riguarda il possesso di uranio e di acqua pesante (proveniente da Arak) si sanziona l'esportazione di qualunque eccedenza iraniana (esportazione cui l'Iran era obbligato dagli accordi). Pompeo e Bolton hanno così deliberatamente reso inevitabile la violazione degli accordi. La prospettiva di questa violazione (e il fatto che l'Iran abbia risposto minacciando di produrre uranio ancora più arricchito) permette alla squadra di Trump di scrivere un copione in cui l'Iran sta cercando di dotarsi di armi nucleari.
In che modo tutto questo è utile a Pompeo e a Bolton per incastrare l'Iran? Per capirlo, dobbiamo rifarci alla fondamentale dottrina politica elaborata nel 1958 da Albert Wholstetter della Rand Corporation: non esiste e non può esistere alcuna differenza sostanziale tra un arricchimento dell'uranio rivolto a scopi pacifici e uno rivolto a scopi bellici. Wholstetter affermò che i procedimenti sono identici e quindi per fermare la proliferazione è necessario che agli Stati inaffidabili come l'Iran non sia concesso procedere ad alcuna procedura di arricchimento, ovvero ad alcun programma nucleare.
La dottrina di Wohlstetter è alla base di tutte le accalorate liti che hanno portato agli accordi sul nucleare iraniano. Obama alla fine si defilò dalle provocazioni permettendo che l'Iran procedesse a un basso arricchimento sotto sorveglianza internazionale secondo un accordo formulato in termini tali che all'Iran sarebbe stato necessario almeno un anno per accumulare il materiale necessario l'ordigno. Questo significa che l'Iran avrebbe impiegato più di un anno per accumulare uranio arricchito bastante per un ordigno.
Pompeo e Bolton hanno effettivamente deciso di propria iniziativa che all'Iran è consentito un arricchimento dello 0%. La stampa occidentale ha ripreso a frignare sul nuovo concretizzarsi della minaccia atomica iraniana. È bene essere chiari: è Bolton a volere questo dall'Iran. Bolton ha eliminato il solo compromesso che si era frapposto sulla strada verso una soluzione militare imposta dagli Stati Uniti, sotto la minaccia di incombenti iniziative militari agitata dallo stato sionista. E la tesi di Wohlstetter, che negli Stati Uniti gode ancora di un seguito significativo, non offre alcuna pezza d'appoggio per alleviare le tensioni.
Di nuovo, è bene essere chiari: dall'Iran non sta arrivando alcuna minaccia di proliferazione. L'Iran ha rispettato gli accordi sul nucleare; la cosa è stata verificata dall'agenzia internazionale per l'energia atomica svariate volte. Adesso gli Stati Uniti hanno reso letteralmente impossibile il rispetto degli accordi eliminando gli stessi capitolati di esenzione che consentivano all'Iran di rispettarli. Questo è il punto che Putin ha specificato; e le origini di tutta la faccenda saranno ora sommerse dalle ciarle sulla proliferazione.
Come mai Pompeo de Bolton si stanno dedicando con tanto impegno al progetto per incastrare l'Iran?
Chi è che sta insistendo in questa direzione? Chi c'è dietro? Una componente essenziale -per Trump- è la sua base elettorale evangelica: si definisce evangelico un ameriKKKano su quattro. Sono stati gli evangelici a insistere perché l'ambasciata degli Stati Uniti fosse trasferita a Gerusalemme; sono stati gli evangelici a sostenere la rivendicazione della sovranità sionista sul Golan da parte di Trump; sono stati gli evangelici a sostenere l'annessione delle colonie sioniste; e sono stati gli evangelici a sostenere il rifiuto degli accordi sul nucleare da parte degli Stati Uniti. Sopra ogni altra cosa, galvanizzati come sono dai traguardi raggiunti, adesso guardano finalmente a Trump perché diventi realtà la Grande Israele della Bibbia.
Trump non è evangelico: è presbiteriano sin da ragazzino. Nel corso degli anni tuttavia si è avvicinato agli evangelici e ha fatto loro capire di essere convinto che la costruzione di una "Grande Israele" porrebbe fine ai conflitti in Medio Oriente portando nella regione una pace duratura. Tale sarebbe l'eredità politica della sua presidenza.
È vero che Trump continua a ripetere, magari in buona fede, che non vuole la guerra; tuttavia la creazione di una Grande Israele non è questione di risistemare i palestinesi in qualche sede alternativa, come farebbe un piccolo immobiliarista, in modo che lo stato sionista possa svilupparsi ed estendersi fino alla "Grande Israele". Laurent Guyénot, un luminare negli studi biblici, scrive per tutto questo possiede anche un'altra dimensione spesso sottovalutata ma densa di significato.
Il sionismo non può essere un movimento nazionalista come gli altri perché rispecchia il destino di Israele così come esso viene esplicitato nella Bibbia... Senz'altro Theodor Herzl e Max Nordau erano sinceri quando affermavano di volere che lo stato sionista fosse "un paese come gli altri"... [Ma dire] che il sionismo è biblico non significa che esso sia religioso; per i sionisti la Bibbia rappresenta sia una narrativa nazionale che un programma geopolitico più che un testo religioso; nell'antico ebraico il vocabolo "religione" non ha alcun corrispettivo.
Ben Gurion non era religioso; in sinagoga non andava mai e mangiava pancetta a colazione. Però era ferventemente biblico. Dan Kurzman [il biografo di ben Gurion] lo definisce "la personificazione del sogno sionista" e riporta una sua affermazione che indica quanto fosse fermamente convinto che ci fosse una missione da compiere: "Io credo nella nostra superiorità morale e intellettuale e nella nostra capacità di costituire un modello per la redenzione della razza umana".
"Dieci giorni dopo la proclamazione dell'indipendenza dello stato sionista [Ben Gurion] scriveva nel suo diario: "Irromperemo nella Transgiordania, bombarderemo Amman e distruggeremo il suo esercito, poi cadrà la Siria, e se l'Egitto continuerà a combattere bombarderemo Porto Said, Alessandria e il Cairo." Aggiunge poi: "questa sarà la ritorsione per quello che hanno fatto (gli egiziani, gli aramei e gli assiri) ai nostri avi ai tempi della Bibbia."
Millantando la capacità nucleare bellica iraniana Bolton e Pompeo stanno deliberatamente distogliendo l'attenzione da tutto questo. L'idea di concretizzare una "Grande Israele" in linea col suo destino metafisico e in possesso di una condizione di prestigio tale che "tutte le nazioni" pagheranno tributo "alla montagna di Yahvehm alla casa del dio di Giacobbe" quando "la Legge nascerà da Sion e la parola di Yahveh da Gerusalemme" è musica per le orecchie dei cristiani sionisti, dal momento che sono convinti che proprio questo sarà quello che anticiperà il ritorno del loro Messia e che avvicinerà la Fine dei Tempi.
Ovviamente qualsiasi intento di questo tipo, esplicitato o meno che sia, è destinato a incontrare l'opposizione di un paese di antica civiltà come l'Iran, che dispone di una metafisica molto potente e in contrasto con questa. Perché la "Grande Israele" diventi una realtà, occorre inficiare l'opposizione dell'Iran alle pretese di "elezione divina" dello stato sionista.
Bolton non è un evangelico ma è un alleato stretto della destra sionista. Spiega meglio Ben Caspit, un editorialista sionista di primo piano:

"Gli Stati Uniti non hanno intenzione di invadere l'Iran," ha messo le mani avanti la [mia] fonte sionista, "ma gli iraniani stanno cercando di indicare agli ameriKKKani che [qualsiasi escalation] ... Potrebbe provocare danni gravi agli interessi ameriKKKani e imporre un prezzo più alto di qualsiasi cosa il governo di Saddam Hussein fosse stato capace di intentare...".
La freddezza di Netanyahu per il crescere della tensione si può evincere dalla [sua comparsa] davanti a una commissione del Congresso nei giorni che portarono all'invasione dell'Iraq; affermò che Hussein stava cercando di costruire armamenti nucleari e che rovesciare il governo iracheno avrebbe arginato l'Iran e posto le basi per una maggiore stabilità in tutto il Medio Oriente. La storia ha provato che le predizioni di Netanyahu erano interamente sbagliate... Adesso, Netanyahu sta cercando di ammorbidire i toni in modo che non si pensi a lui come a quello che ha insistito perché gli ameriKKKani attaccassero l'Iran. Non è affatto certo che ci riuscirà.
Lo stato sionista adesso sta cercando di ridimensionare il suo sostegno per la posizione del consigliere sulla sicurezza nazionale John Bolton, che per ora la causa di un confronto diretto con l'iraniani ed è dunque considerato il più interventista di tutta l'amministrazione. Secondo qualcuno che ha lavorato con Netanyahu in campo militare per anni e che si è espresso a condizione di mantenere l'anonimato, "dovrebbe essere chiaro che quando nessuno lo sente Netanyahu prega che Bolton riesca a convincere il presidente ad attaccare l'Iran, ma la cosa non deve essere troppo evidente. [Netanyahu] non deve essere identificato con questo atteggiamento, soprattutto dopo essere già stato oggetto di attenzioni negative per essere stato quello che ha spinto gli Stati Uniti ad aggredire l'Iraq." Gerusalemme sta assistendo al contrasto fra i toni concilianti del presidente Donald Trump, intenzionato a evitare un avventurismo militare non necessario, e l'approccio più bellicista di Bolton. La paura è che Trump sarà il primo a cedere in questa guerra di nervi con l'Iran, che alla fine perderà interesse e abbasserà la pressione."
Nell'ottobre del 2003 ebbe luogo un incontro a Gerusalemme cui presero parte tre ministri sionisti in carica -Benjamin Netanyahu compreso- e Ruchard Perle -ex collega di John Bolton- come ospite d'onore. Fu firmata una dichiarazione in cui si affermava che Gerusalemme godeva di una "peculiare autorevolezza per diventare un centro di unificazione mondiale" e si statuiva: "Noi crediamo che uno degli obiettivi della rinascita di ispirazione divina di Israele sia quello di farla diventare il centro della nuova unificazione di tutti i paesi, che porterà a un'epoca di pace e di prosperità come vaticinato dai Profeti."
Tutto questo non è soltanto una qualche schermaglia astratta in merito a una dottrina nucleare. La escalation contro l'Iran serve invece per nascondere un conflitto metafisico e di civiltà assai più profondo. L'Iran ovviamente di questo è consapevole. E Putin ovviamente aveva ragione quando prevedeva che il mancato rispetto degli accordi da parte dell'Iran sarebbe stato usato come un'arma, ma che l'Iran aveva avuto poca scelta. Starsene tranquilli intanto che Trump stringeva a morte era semplicemente fuori questione.

mercoledì 29 maggio 2019

Firenze, la giornata di uno scrutatore



Una domenica piovosa a Firenze, quella del 26 maggio 2019.
Il seggio è allestito in una scuola elementare; gentilissimi, i custodi hanno lasciato una scatola di frutta con un cartellino che invita tutti a servirsene.
Il pomeriggio precedente si era provveduto a tutte le operazioni preliminari, con la verifica e la timbratura delle schede, il posizionamento dei sigilli dove servivano e tutto quanto il resto.
Alle sette del mattino si ammettono gli elettori. Comincia una processione, a tratti anche intensa, composta praticamente per intero da ultrasettantenni con le tessere elettorali cariche di bolli. In Comune sono consapevoli della situazione e hanno fatto avere ai presidenti di seggio uno stampato da consegnare a chi si trova in questa situazione: ci sono le istruzioni e gli indirizzi per provvedere al rinnovo in tempo, senza intasare le strutture all'ultimo minuto. Alla fine della giornata si saranno raccolte almeno una trentina di attestazioni pronunciate con sicurezza da gente convintissima che la cosa non la riguardava dal momento che non sarebbe arrivata viva al giro successivo. La trentunesima viene accolta da chi scrive con un'apertissima manifestazione di insofferenza.
A votare si presentano ipovendenti e non deambulanti (questa la definizione giuridica) accompagnati e, sempre accompagnate, persone dal comportamento non perfettamente lucido. Per loro è la cabina 1, vicinissima all'entrata.
Il tempo passa in modo regolare e piuttosto noioso: solo nel primo pomeriggio si presenta un diversivo.
Un signore nella media -vale a dire appena uscito dal circolo pensionati, ed è una valutazione generosa- fa l'atto di avventarsi sull'altro scrutatore lamentando la perdita di un telefono e minacciando l'intervento della gendarmeria.
L'altro scrutatore lo guarda senza capire; un vecchio cellulare è da ore su un tavolo senza che nessuno lo abbia reclamato, figuriamoci impossessarsene.
Il tale fa finta di vederlo solo allora, e se ne va dopo aver profuso ringraziamenti. Se avesse scelto lo scrivente come comprimario alla scenaggiata ne avrebbe avuto un gelido "ma cosa vuoi denunciare che come ti danno una guardata ci finisci tu in centrale..."
Arriva, unica, una ragazza di diciotto anni che vota per la prima volta. Probabilmente anche per l'ultima, in considerazione del fatto che l'ambiente della politica rappresentativa viene considerato infrequentabile da moltissime persone serie.
Alla fine della giornata l'affluenza risulta molto più alta della media peninsulare: quasi venti punti in più.
Solo che scorrendo l'elenco degli iscritti si nota l'assenza quasi totale delle classi comprese fra il 1980 e il 2001.
I giovani non votano, e basta.
Non è certo il caso di chiedersi il perché: se almeno venti milioni di sudditi non partecipano alle consultazioni deve esserci più di un motivo ed è verosimile che i motivi non siano gli stessi dappertutto e per tutte le classi, anche se per l'esperienza di chi scrive è sicuro che una parte consistente degli astenuti, almeno a Firenze, consideri l'offerta politica contemporanea inaccettabile, se non proprio ripugnante e/o offensiva.
Lo spoglio rivela tracce dell'umanità che è passata per il seggio. Preferenze sbagliate o strampalate (un "Berlusconi" vergato in corsivo tremolante fra le preferenze per le elezioni di quartiere), croci vergate con rabbia fin quasi a forare la scheda, qualche sporadico insulto, voti doppi su liste opposte destinati a finire tra le schede nulle.
Il lavoro di presidio, di spoglio, di verbalizzazione e di chiusura del seggio tiene impegnate sei persone per un numero di ore decisamente sproporzionato a quello che potremmo definire più una mancia di incoraggiamento che una retribuzione. Parte degli interessati, componenti del bigio e diffuso numero del genere mogliaccàsa figliascuola e il resto tuttolavoro, non manca di farlo notare ad alta voce più volte prima che arrivi la fine della sfacchinata, con la consegna dei verbali a notte fatta da un pezzo.

Restano i risultati.
Firenze ha, all'apparenza, sorpreso: il politicame "occidentalista" ha raccolto suffragi magrissimi, una specie di Kobarid inattesa. Qualcosa non deve aver funzionato: questa volta in quell'ambiente doveva maturare il passaggio di bandiera dai liberisti in cravatta ai sovranisti con le pezze al culo. E il passaggio, difficile, è stato affrontato more solito con una eterodirezione che ha imposto al povero Ubaldo Bocci una linea politica tra l'incolore e il ridicolo.
Questo però stupisce solo chi non conosce la realtà locale. A Firenze, chi vuol fare politica di destra si iscrive da decenni al partito di maggioranza; in caso contrario non il rischio, ma la certezza, è quello di fare la figura del ben vestito appena piovuto dalla luna.
L'attribuzione causale di chi scrive è più spiccia e senz'altro errata, ma si basa sull'assunto che Firenze sia una cosa, lo stato che occupa la penisola italiana un'altra.


giovedì 23 maggio 2019

Alastair Crooke - Alle pressioni statunitensi l'Iran reagisce rispondendo che il danno può essere reciproco




Traduzione da Strategic Culture, 20 maggio 2019.


La dottrina "della massima pressione" cara a Trump sta avvicinandosi al fine vita? Trump non ne è convinto: "chiamatemi" (quando proprio non ne potete più), fa sapere a tutti quelli che ha assediato e sanzionato. A quanto pare ha fatto avere a Tehran anche un numero di telefono, per tramite dell'ambasciata svizzera. Solo che da Tehran non telefonerà nessuno.

Sembra che il periodo in cui si attendono gli eventi stia arrivando ovunque a conclusione: a dispetto di tutta la retorica non ha portato ad alcun risultato. In particolare sembra che la Cina abbia abbandonato i nodi e i toni concilianti per chiamare invece il suo popolo a raccolta per una lotta strategica dolorosa ma necessaria. Anche la Corea del Nord sembra abbia finito la pazienza con i negoziati senza sbocco; e adesso anche l'Iran, come gli altri, sta facendo capire che subire senza resistere intanto che gli Stati Uniti esercitano il massimo della pressione senza soffrirne alcun effetto collaterale non è una possibilità contemplata. Comincia adesso la fase successiva, in cui questi paesi sono pronti e sono intenzionati a imporre a Trump un dazio, per quanto asimmetrico.
Il pericolo evidente nel ricorso ad una strategia che prevede l'esercizio della massima pressione, e che magari è stata anche proficua, nell'ambiente immobiliare newyorkese da cui viene Trump, sta nel fatto che in geopolitica mettere l'avversario con le spalle al muro fin quando quello non "telefona" per arrendersi presenta qualche evidente problema: innanzitutto una resa significa verosimilmente la fine politica -o letterale- per il capo della compagine avversaria.
In secondo luogo, gli avvoltoi pazienti come John Bolton non hanno mai dubitato del fatto che la strategia di Trump non avrebbe mai funzionato. A dire il vero, Bolton è stato perfettamente esplicito a questo riguardo. Non ha usato infingimenti. Bolton semplicemente non crede che la Corea del Nord cederà mai il proprio arsenale nucleare in seguito a qualche negoziato; e non crede neppure che i vertici politici dell'Iran cambieranno mai l'assetto del paese. A logica dunque, solo il rovesciamento del governo produrrà il tipo di cambiamento tanto caro a Bolton, ovvero la condiscendenza verso gli interessi statunitensi.
Bolton e i compari che la pensano come lui sono consapevoli del fatto che devono pazientemente attendere finché Trump non si sarà stancato di aspettare vicino al telefono e non gli risulterà chiaro che tutti i convocati gli hanno dato buca. Intanto comunque i compari di Bolton -come lo stato sionista- ammazzano il tempo dell'attesa lavorandosi i mass media con una serqua di notizie che ingigantiscono le "minacce" dell'avversario di turno. Un classico in questi casi sono le foto satellitari che "dimostrano" la nequizia della controparte.
L'Iran è così passato ad avvertire Washington che non intende accettare di subire i costi che questa "massima pressione" comporta per la popolazione in quello che per Washington è un esercizio privo di rimesse e che quindi può andare avanti a tempo indeterminato. L'Iran sta cercando di porvi dei limiti.
All'inizio del mese il Jihad Islamico Palestinese ha lanciato da Gaza dei missili di cui lo stato sionista non conosceva l'esistenza. I missili hanno ucciso cinque cittadini dello stato sionista e mostrato che il vantato sistema antimissile Iron Dome è in qualche misura inefficace. Il 12 maggio alcune petroliere al largo della costa di Fujaira -il numero esatto non è noto- hanno subito dei danni al timone che le hanno messe completamente fuori uso. Due giorni dopo alcuni droni hanno attaccato due centrali di pompaggio interrompendo il passaggio di circa 3 milioni di barili di petrolio al giorno, in un oleodotto che va da est ad ovest fra le province orientali e quelle occidentali dell'Arabia Saudita.
Si tratta di tre eventi distinti, non necessariamente connessi tra di loro; l'Iran può esservi coinvolto o meno -e l'Iran nega ogni coinvolgimento- ma rappresentano comunque un deciso messaggio diretto ai tre principali protagonisti del sostegno all'inasprimento delle pressioni contro l'Iran: gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e lo stato sionista. Il messaggio essenziale è che il danno può essere reciproco.
Questo tris di avvertimenti non indica soltanto che l'inasprirsi della pressione sull'Iran può portare terze parti a subire danni asimmetrici; esso toglie la foglia di fico all'"arte dell'accordo" di Trump. Trump ha tolto dal tavolo le carte palestinesi (Gerusalemme, il Golan, l'annessione dei territori degli insediamenti e le negazione al diritto al ritorno per i rifugiati) ma i tre avvertimenti indeboliscono la posizione di Trump nella sua politica della massima pressione verso l'Iran, perché mettono in discussione il sostegno regionale per qualsiasi ulteriore escalation statunitense. La casa dei Saud, oggi alle prese con un'altra ondata di purghe e con le lotte intestine, si sentirà al sicuro quanto basta per superare l'escalation statunitense contro l'Iran? Gli Emirati Arabi Uniti penseranno a quanto sono vulnerabili le loro esportazioni di petrolio? Lo stato sionista non pensa con nervosismo a cosa potrebbe comportare un conflitto su più ampia scala in termini di attacchi missilistici, dopo il campioncino fattogli avere dal Jihad Islamico? E Trump è tanto sicuro oggi che si possa manipolare il mercato del petrolio in maniera da evitare che il prezzo della benzina negli Stati Uniti si impenni? Le carte sono state mescolate un'altra volta.
I tre segnali indicano che nel gioco esistono nuovi limiti da non superare, proprio come limiti da non superare sono stati stabiliti da Hezbollah e dallo stato sionista nel conflitto che li contrappone a nord. L'Iran ha indicato che non intende arrivare alla guerra, ma che non accetterà neppure di farsi stritolare a morte.
Al di là di questo, scopo del tutto può essere quello di guastare l'intesa fra Trump e Bolton. Tocca a Trump dire se intende dare ragione a Bolton (e alla sua idea di arrivare a qualsiasi costo a rovesciare il governo iraniano) o se il limite da non superare per lui quello che non contempla alcuna nuova "guerra ameriKKKana" in Medio Oriente."Io non credo che Trump voglia la guerra", ha detto il Ministro degli Esteri Zarif durante la sua visita a New York il mese scorso indicando in Muhammad bin Zayed, Muhammad bin Salman, Bolton e Netanyahu i veri guerrafondai.
Staremo a vedere: gli USA, l'Arabia Saudita lo stato sionista e gli Emirati Arabi Uniti adesso devono considerare come reagire alla risposta iraniana. L'Iran rischia che Trump possa decidersi per quello che potrebbe considerare un compromesso, esibirsi di nuovo in un messaggino su Twitter a mezzo missile da crociera come quello spedito alla Siria lo scorso anno, tanto per ostentare la sua determinazione e non per causare all'Iran un danno strategico.
L'ambasciatore statunitense in Arabia Saudita ha detto che una volta che sia saltato fuori chi è stato a sabotare le petroliere gli Stati Uniti dovrebbero attuare "contromisure ragionevoli, guerra esclusa".
Perché Trump potrebbe fare una guerra?
Forse Trump crede alle analisi dello stato sionista per cui l'Iran è sull'orlo del crollo e che una spintarella basterebbe a far perdere la presa al governo iraniano e a farlo scivolare nell'abisso. Netanyahu si è detto insistentemente convinto con Trump che l'Iran è sul punto di crollare, ed è chiaro che le reti interne agli Stati Uniti -compresi gli esuli iraniani- sono della stessa idea. Questa convinzione potrebbe sembrare facile da liquidare come priva di qualsiasi appiglio concreto, ma si tratta di un'idea quasi certamente passata direttamente ai piani alti di una Casa Bianca che si è mostrata molto ricettiva.
L'intera linea politica di Trump inoltre è essenzialmente rivolta al piano interno, a riportare negli Stati Uniti posti di lavoro nel settore manifatturiero; il suo approccio è quello mercantile, quello fondato sulla trattativa; cosa del genere non tengono conto della base evangelica del suo elettorato, ovvero di uno statunitense ogni quattro. Al contrario, questo settore dell'elettorato ha in politica estera un interesse molto forte: quello di adempiere le profezie bibliche su Israele, e quindi a riportare il Messia sulla terra. Un eminente cristiano sionista prevede:
È trascorso esattamente un anno da quando l'ambasciata statunitense in Israele è stata spostata a Gerusalemme e gli evangelici ameriKKKani stanno festeggiando l'obiettivo raggiunto e se ne sentono politicamente galvanizzati. Robert Stearns, pastore evangelico e ascoltata voce del movimento cristiano sionista ha detto che gli evangelici "traggono forza" dal trasferimento dell'ambasciata e sono "motivati" a nient'altro che ad aumentare il loro attivismo a favore dello Stato ebraico... Stearns crede che "nei prossimi anni l'attivismo a sostegno di Israele crescerà come non è mai cresciuto prima". A chi si dice convinto che il trasferimento dell'ambasciata porterà ad un atteggiamento accomodante e rilassato, Stearns risponde: "Non avete ancora visto nulla. Questo è solo l'inizio."
La politica di Trump nei confronti dell'Iran, compreso il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi sul nucleare iraniano, si inquadra nel contesto di questo attivismo evangelico; di qui le pressioni elettorali che Trump subisce da parte del proprio elettorato più fedele.
Il sionismo ebraico, per quanto laico, è stato sin dall'inizio un progetto biblico; osserva Laurent Guyénot: "Il fatto che il sionismo sia biblico non significa che sia religioso; per i sionisti la Bibbia rappresenta sia una narrativa nazionale sia un programma geopolitico piuttosto che un testo religioso: in realtà nell'ebraico antico non esiste alcun vocabolo che indichi il concetto di religione. Ben Gurion non era religioso; in sinagoga non andava mai e mangiava pancetta colazione. Invece era ferventemente biblico".
Di conseguenza quando i cristiani sionisti e il leader dello stato sionista vagheggiano di una "Grande Israele" , porzioni bibliche, non stanno solo facendo un riferimento romantico ad una narrativa vecchia di due millenni: "il sionismo non può essere un movimento nazionalista analogo agli altri", scrive Guyénot, "perché esso richiama il destino di Israele così come esso viene espresso nella Bibbia". È in questo, in questa natura di grande progetto ideologico, che i cristiani sionisti degli Stati Uniti acquisiscono rilevanza politica tanto grande. Col tempo essi possono dunque riuscire a influenzare la risposta di Trump ai tentativi iraniani di imporre agli Stati Uniti e ai loro alleati regionali un limite da non superare.
"Il progetto", per così dire, proprio in conseguenza della sua implicita ideologia richiede nientemeno che una nuova ridefinizione del medio oriente in stile Sykes-Picot; una cosa verosimilmente problematica come lo fu la ridefinizione originale. Lo stato sionista dovrebbe crescere sul piano politico -e non soltanto in termini di territori annessi- per diventare "grande Israele"; i suoi effettivi confini verrebbero ridisegnati; i palestinesi verrebbero eliminati dalla scena, dispersi divisi, e le altre minoranze etniche regionali come i curdi verrebbero elevate al rango di paesi sovrani o incoraggiate alla secessione come i baluci, gli azeri ed altre. Al crescere dello stato sionista dovrebbe corrispondere una riduzione e/o un indebolimento di altre compagini storiche come la Siria, la Mesopotamia e la Persia, in modo da conferire stabilità al nuovo assetto in stile Sykes-Picot.
Trump tentennerebbe davanti all'idea dello scompiglio causato da una salva di missili Tomahawk? Probabilmente no. Gli evangelici voteranno sicuramente per lui nel 2020 anche solo per aver trasferito l'ambasciata a Gerusalemme. Paradossalmente, l'instabilità del Medio Oriente potrebbe anche andargli bene, perché essa aiuterebbe a consolidare il dominio dell'AmeriKKKa sul mercato energetico mondiale, convincendo gli europei ad acquistare gas ameriKKKano dato che le forniture mediorientali sono cosa "inaffidabile".
Il calcolo implicito nei messaggi iraniani è che Trump non voglia la guerra; d'altronde neppure l'Iran la vuole. Per evitarla è tuttavia necessario che Trump rispetti i limiti invalicabili stabiliti dall'Iran. Insomma, tocca a lui reagire razionalmente e prendere le distanze da Bolton. 
Dobbiamo sperare che l'Iran ci abbia visto giusto. E se invece Trump penserà che non può deludere la base evangelica del proprio elettorato e farà lanciare qualche missile? Questo è il rischio che l'Iran si sta accollando. L'alternativa però è il non fare niente, e non fare niente significa più probabilmente agevolare il percorso di minacce sempre più gravi cui sta pensando Bolton, destinato a tenere Trump sotto pressione fino a pensare che l'unica alternativa sia dare la parola al cannone.

martedì 21 maggio 2019

Mario Razzanelli candidato a Firenze: un giovane di belle speranze per Ubaldo Bocci



Come i lettori avranno notato da anni, in questa sede l'attualità politica dello stato che occupa la penisola italiana non è più oggetto di interesse perché l'argomento è diventato inaffrontabile da parte di chiunque abbia un minimo di rispetto per se stesso.
Che se ne occupi pure il cicaleccio delle "reti sociali", con tutte le conseguenze del caso; in un contesto in cui è normale rischiare di essere aggrediti fisicamente da parte di qualche laureato all'università della vita se si usa in maniera corretta il congiuntivo, l'attuale democratismo rappresentativo funziona in maniera pressoché perfetta ed è giustissimo che ognuno abbia quello che si merita.
Ci limiteremo dunque a evidenziare la mutazione antropologica dell'"occidentalismo", anni fa impersonato da liberisti in cravatta dediti al sorridente smantellamento dei diritti altrui in un tripudio di donne poco vestite e servi volenterosi, oggi trasformatisi in sovranisti con le pezze al culo dediti al dragaggio dei contesti sociali più abbrutiti, per ramazzare suffragi in quelle zone di marginalità che avevano personalmente contribuito a creare.
In occasione delle elezioni amministrative a Firenze gli "occidentalisti" si sono trovati davanti a un problema che è ormai una costante della loro pratica politica, vale a dire cercare qualcuno che si addossasse lo stigma della candidatura e che non suscitasse reazioni emetiche nelle persone serie. Sono andati a cercare un certo Ubaldo Bocci, chiamato come tutti i suoi predecessori a cercare di rendere presentabili individui e programmi che presentabili non sono. La funzione di questo indossatore di maglioncini è soltanto quella di conferire profumo di fragola a uno sformato di escrementi.

Dietro di lui c'è un sottobosco di morti in piedi (come il vivace signore qui sopra, che viene anche a parlare di normalità) che pare fatto apposta per soddisfare l'unico settore veramente degno di attenzione per la politica rappresentativa, che è fatto di ultraottantenni incarogniti, la televisione a riempirgli la testa e le giornate di oscenità e di propaganda, le doppiette nella vetrinetta del soggiorno e qualche repellente cagnaccio mordace a gironzolare nella resede del terratetto condonato e impestato di telecamere e di serrature.
Uno di questi questuanti è Mario Razzanelli.
Mario Razzanelli è un volto noto ai nostri lettori, uno che galleggia nella totale ininfluenza da una ventina d'anni. E che deve avere soldi da buttare se ha spedito centinaia di volantini e se ha acquistato diversi spazi sulle gazzette.
Il caposaldo della politica di questo signore è la contrarietà a un sistema di trasporto che è apprezzato da tutta Firenze tranne che da lui e dai preagonici che lo stimano. A differenza delle altre volte a questo giro ha persino rinunciato ai fotomontaggi. Forse perché erano, ovviamente, fatti da cani.
E i ggggiovani no tramvia chissà che fine hanno fatto.
L'esame del programmino elettoraluccio di Mario Razzanelli deve partire da una premessa. Razzanelli ha cambiato casacca almeno per la terza volta, passando al "partito" fondato e diretto da uno straricco polipregiudicato che ad oggi ha passato anche lui gli ottant'anni da un pezzo. L'esame del programmino elettoraluccio di Mario Razzanelli può compendiarsi di un sintetico nichts neues. Solita ripetizione ecoica di ciarle stupide e cattive che sono ormai talmente in tanti a ripetere che la "competizione elettorale" è ridotta da anni a una gara a chi ripete ecoicamente la ciarla più stupida e cattiva.
Se dovessero decidere di girare un film sui morti viventi ambientato a Firenze, la politica "occidentalista" potrebbe fornire comparse e protagonisti credibili ed entusiasti.


mercoledì 15 maggio 2019

Alastair Crooke - Iran: si prepara il campo alle operazioni militari



Traduzione da Strategic Culture, 13 maggio 2019.


Lo storico del Medio Oriente angloameriKKKano Bernard Lewis ha avuto un'enorme influenza in AmeriKKKa. All'ombra delle sue idee politiche si sono messi presidenti, responsabili della linea politica e think tank; un fenomeno che dura a tutt'oggi. Nonostante sia morto lo scorso anno, le sue minacciose concezioni ancora plasmano il pensiero ameriKKKano sull'Iran. Mike Pompeo ad esempio ha scritto: "L'ho incontrato solo una volta, ma ho letto molto di quello che ha scritto. Molto di quello che so sul Medio Oriente lo devo al suo lavoro... Era anche un uomo che credeva, come credo io, che gli ameriKKKani devono riporre più fiducia nella grandezza del nostro paese, non meno".
Quello che è diventato noto come "piano Bernard Lewis" contemplava il mandare in pezzi tutti gli stati della regione compresa fra il Medio Oriente e l'India secondo linee etniche, confessionali e linguistiche. Una balcanizzazione radicale dell'intera regione. Un ex ufficiale dell'esercito statunitense, Ralph Peters, si è spinto fino a realizzare una mappa di come sarebbe questo Medio Oriente balcanizzato. Anche Ben Gurion nutriva simili ambizioni strategiche nell'interesse dello stato sionista.
L'influenza di Lewis è arrivata ai vertici: il Presidente Bush è stato visto portare degli scritti di Lewis a una riunione nell'Ufficio Ovale poco dopo l'Undici Settembre, e appena otto giorni dopo l'attacco al World Trade Center e al Pentagono Lewis partecipava a una riunione del comitato per le politiche di difesa di Richard Perle, seduto accanto al suo amico Ahmed Chalabi, leader del Congresso Nazionale Iracheno. A quella riunione fondamentale di un organismo molto influente sul Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, i due invocarono l'invasione dell'Iraq.
Lewis seminò anche il concetto più ampio di un mondo musulmano retrogrado e intriso di odio contro un Occidente modernizzatore e virtuoso. Fu lui e non Samuel Huntington a coniare l'espressione "scontro di civiltà", che implica inoltre l'idea che l'Islam e l'Occidente siano impegnati in una battaglia all'ultimo sangue per la sopravvivenza.
L'ottica evangelica di coloro che dettano oggi la linea politica come Pompeo e Mike Pence ha trasformato questo pessimo presagio da "scontro" di civiltà a battaglia metafisica del Bene contro il Male, con l'Iran additato in modo particolare come la fonte del Male metafisico nel mondo di oggi.
Il punto essenziale è questo: Lewis ha sempre fantasticato di rovesciare il governo iraniano, che a suo dire rappresenta la minaccia primigenia. Henry Kissinger gli chiese una volta: "Dovremmo trattare con gli ayatollah iraniani?" "Ovviamente no," rispose immediatamente Lewis senza mezzi termini. L'atteggiamento complessivo che l'AmeriKKKa dovrebbe assumere in Medio Oriente fu presentato in nuce a Dick Cheney: "Io penso che una delle cose che dovete fare con gli arabi sia tirargli una bella bastonata in mezzo agli occhi. Loro il potere lo rispettano". Questo consiglio da orientalista ovviamente valeva ancora di più per quanto riguardava l'Iran e i suoi "Ayatollah", visto che Lewis si diceva convinto che "Dovremmo se mai chiederci: perché non ci temono né ci rispettano?"
Insomma adesso, ispirati dal loro eroe intellettuale che è Lewis, Pompeo e John Bolton -a suo tempo collega di Richard Perle al comitato per le politiche di difesa- paiono ansiosi di provare i sistemi di Lewis e di assestare agli iraniani una bella bastonata in mezzo agli occhi usando il randello delle sanzioni.
Cose già viste. Non è che negli USA, per dire, i libri di Lewis li abbiano solo sfogliati; sono serviti da guida per decenni. Già negli anni Sessanta del secolo scorso Lewis aveva pubblicato un libro in cui presentava le potenziali vulnerabilità, e dunque il potenziale utilizzo, delle diversità religiose, etniche e di classe come punti d'appoggio per distruggere gli stati del Medio Oriente.
Scrivendo nel 2008, Seymour Hersh riportava:
Alla fine dello scorso anno [2007] il Congresso ha approvato la richiesta del Presidente Bush di finanziare un rimarchevole aumento di intensità e portata delle operazioni sotto copertura dirette contro l'Iran, secondo fonti militari, dei servizi e del Congresso sia presenti che di allora. Queste operazioni, per le quali il Presidente chiedeva fino a quattrocento milioni di dollari, vennero descritte in una nota presidenziale firmata da Bush e devono servire a destabilizzare la leadership religiosa del paese. Le attività sotto copertura comprendono l'appoggio alle minoranze ahwazi, arabe e baluche e ad altri gruppi dissidenti...
Le operazioni clandestine contro l'Iran non sono una novità. Le forze speciali degli USA hanno portato a termine operazioni oltrefrontiera dall'Iraq meridionale... a partire dallo scorso anno. Ma la scala e la portata delle operazioni in Iran, che coinvolgono la CIA e il comando congiunto per le operazioni speciali (JSOC) si sono ora notevolmente estese, secondo funzionari in servizio e non. Molte di queste attività non sono descritte nel dettaglio in questa nuova nota, e alcuni capicorrente del Congresso hanno nutrito seri interrogativi circa la loro natura.
Operazioni del genere sono ulteriormente aumentate; l'attuale capo della CIA Gina Haspel ha confermato che sta riorientando le risorse dell'agenzia affinché si concentrino sulla Russia e sull'Iran. E gli USA hanno curato l'installazione di basi militari in punti che confinano con le zone abitate dalle minoranze etniche iraniane.
La posta in gioco quale potrebbe essere? Si tratta di campagna per le elezioni statunitensi, roba ad uso interno? È un'iniziativa per arginare e per indebolire l'Iran? Serve a costringere l'Iran a negoziare un miglior accordo sul nucleare? O è l'innesco di un'iniziativa per rovesciarne il governo?
Sembra che le cose stiano così: Pompeo si è rifiutato di rinnovare due fondamentali capitolati di esenzione, oltre ai vari capitolati che riguardano il petrolio. Due rifiuti che sembrano costituire la "pistola fumante" che denuncia le vere intenzioni di Pompeo e di Bolton. Uno riguarda l'esportazione di uranio a basso arricchimento da parte dell'Iran, l'altro l'esportazione di acqua pesante dal reattore di Arak.
Il fatto è che gli accordi sul nucleare non consentono all'Iran di accumulare questi due materiali oltre un massimo di trecento chili e di trecento litri rispettivamente; gli accordi obbligano l'Iran a esportare ogni potenziale eccesso che potrebbe superare questi limiti. L'uranio finisce in Russia in cambio di yellowkake grezzo, l'acqua pesante viene immagazzinata in Oman.
Che sia chiaro: l'Iran non trae alcun vantaggio in campo nucleare da queste esportazioni, che servono soltanto gli interessi dei firmatari degli accordi. Esistono disposizioni d'ordine, negli accordi, che sono utili solo per chi difende la non proliferazione dei materiali nucleari. L'esportazione è prevista dagli accordi ed è un'incombenza che spetta all'Iran.
Le esportazioni indicano esattamente che gli accordi sul nucleare stanno funzionando; perché allora Pompeo rifiuterebbe di rinnovare i capitolati di esenzione che riguardano un passaggio tanto essenziale per la non proliferazione? Di per sé non sono cosa significativa sul piano economico.
L'unica è che Pompeo e Bolton stiano cercando di inchiodare l'Iran a qualche infrazione degli accordi sul nucleare. Pompeo e Bolton stanno deliberatamente cercando di mettere l'Iran in condizione di non poter ottemperare ad essi, costringendolo di fatto a mettersi in condizioni di proliferazione nucleare. Se i materiali oggetto degli accordi non possono essere esportati, l'Iran sarà costretto ad accumularli in violazione degli accordi. A meno che la procedura di infrazione davanti al Consiglio di Sicurezza contemplata dagli accordi non stabilisca altrimenti.
Comunque, spingere l'Iran a una formale infrazione apre a Bolton molte possibilità per ulteriori provocazioni, forse fino a spingerlo a dare agli USA il casus belli per bombardare gli impianti di arricchimento. Chissà.
Cosa c'entrano con tutto questo le minoranze etniche in Iran? La maggioranza della popolazione in Iran è persiana, in percentuali stimate fra il 51 e il 65 per cento. I gruppi etnolinguistici più numerosi sono poi gli azeri (16-25%), i curdi (7-10%), i luri (7%), i mazandarani e i gilachi (7%) gli arabi (2-3%) i baluci (2%) e i turkmeni (2%). QUesti gruppi sono la materia grezza che gli USA sperano di trasformare in secessionisti armati e in insorti antiiraniani con i programmi di addestramento ed assistenza della CIA. Quando l'iniziativa entrò nel dibattito, nel 2007, fu accolta da ampio disaccordo anche in seno all'amministrazione (compresi il segretario Gates e il generale Fallon, che respinsero entrambi la validità di questo modo di pensare). Come notò Seymour Hersh,
Una strategia che punti a usare le minoranze etniche per indebolire l'Iran non può funzionare, afferma Vali Nasr, che insegna politica internazionale alla Tuft University ed è anche un componente esperto del Council on Foreign Relations. "Il fatto che il Libano, l'Iraq e il Pakistan abbiano problemi etnici non significa che l'Iran ne sia afflitto anch'esso," ha detto. "L'Iran è un paese antico, come la Francia e la Germania, e i suoi cittadini sono nazionalisti nella stessa misura.
"Gli USA stanno sopravvalutando le tensioni etniche in Iran." I gruppi di minoranza che gli USA stanno contattando sono ben integrati o sono realtà piccole e marginali, senza molta influenza sul governo o molta capacità di rappresentare un problema sul piano politico, ha detto Nasr.
"[Certo,] si può sempre trovare qualche gruppo di attivisti che va ad ammazzare un poliziotto, ma puntare sulle minoranze sarà un boomerang che alienerà la maggioranza della popolazione".
Come ha mostrato il professor Salehi-Isfahani della Brookings, gli elementi più deboli della società iraniana sono stati in qualche modo tutelati rispetto al duro impatto che le sanzioni hanno avuto sull'economia; sono stati tutelati meglio della classe media. Quindi se ne potrebbe concludere a ragione che l'Iran può affrontare l'assedio economico.
Sì, ma... cose già viste anche sotto un altro importante aspetto.
L'Iraq e "curveball" (nome in codice che indicava l'agente iracheno dei servizi tedeschi che fornì prove false sulle armi di distruzione di massa irachene); gli esiliati iracheni che giurarono agli ameriKKKani che a Baghdad sarebbero stati accolti come dei liberatori e che il loro cammino sarebbe stato tutto rose e fiori; e il "Team B" (l'unità di spionaggio alternativo messa in piedi dall'allora vicepresidente Cheney perché fornisse relazioni addomesticate secondo la sua visione del mondo, da contrapporre a quelle della CIA). Il risultato della nulla consapevolezza ameriKKKana della realtà irachena è stato, ovviamente, quello di un disastro.
Ed eccoci daccapo, con la storia che sembra ripetersi: l'ex "Team B" adesso non è più qualcosa di organico al Ministero della Difesa, ma è una specie di rete di ex funzionari dei servizi che agiscono insieme a qualche esiliato iraniano incarognito dragando i Mujaheddin E' Kalq e la invelenita comunità degli esiliati e passando direttamente quello che trovano a un think tank che si chiama Foundation for the Defense of Democracies e alla Casa Bianca. Insomma i soliti Chalabi e tutte le storie combinate per l'Iraq, ancora una volta.
Di nuovo la vecchia storia dei servizi: si comincia con radicati pregiudizi orientalisti e con opinioni preconfezionate circa la natura dell'Altro, ci si convince che nessun uomo o nessuna donna "moderni" sosterrebbe gli "ayatollah" e poi, ma guarda un po', si finisce con lo scoprire quello che si cercava: che l'Iran è sull'orlo di un "imminente crollo", che le minoranze sono pronte a insorgere contro la soverchiante élite persiana, e che l'intervento ameriKKKano per abbattere l'odiato regime sarebbe accolto a rose e fiori.
Una sciocchezza, ovvio. Ma la capacità di autoilludersi è di per sé sufficiente per cominciare una guerra.

sabato 11 maggio 2019

Alastair Crooke - Esiste un modo per attenuare le tensioni geostrategiche in Medio Oriente?



Traduzione da Strategic Culture, 6 maggio 2019.


La rottura tra Turchia e paesi del Golfo -quelli con alle spalle gli USA e lo stato sionista- è entrata in fase acuta. Erdogan è sempre più sotto pressione; è un attaccabrighe ed è probabile che reagirà menando le mani. L'Iran, come la Turchia, è sottoposto a un attacco a tutto campo da parte del Tesoro statunitense. Probabilmente anche l'Iran in un modo o nell'altro reagirà contro quanti hanno esortato il Presidente Trump e i suoi falchi a scendere sul sentiero di guerra. Iran e Turchia sanno con chi rifarsela, sanno chi ha soffiato sul fuoco: Muhammad bin Zayed e il suo compare Muhammad bin Salman. Il teatro in cui si dispiegherà questo acuirsi delle tensioni sarà verosimilmente quello del nord Africa e del corno d'Africa.
Questa rottura va a sommarsi alle altre che già frammentano il Medio Oriente. Le tensioni si sono fatte molto serie. Il linguaggio bellicoso di Trump sivene spesso inteso come una fanfaronata calcolata, il cui scopo è quello di partire da una posizione di favore in vista di qualche negoziato. Ma quello che forse il Presidente non aveva previsto è che il suo fare bellicoso si sarebbe diffuso ovunque nei think tank di Washington e degli ambienti governativi. Qualunque carrierista in cerca di una promozione o di un posto nell'esecutivo ora cerca di imitare, magari su Fox News, quel pistolero di Bolton e la sua retorica a muso duro.
Il fatto è che Trump viene dall'immobiliare e la sua esperienza contempla esplicitamente il cambiare repentinamente atteggiamento, quando serve. E Trump lo fa, come lo faceva in affari: le virate di centoottanta gradi non sono un problema, per lui. Ma per la sua squadra? La cosa non è altrettanto chiara. Magari qualcuno potrebbe anche vedere la retorica bellicosa di Trump come lo strumento necessario per mettere il Presidente sulla via di una convergenza sempre più serrata, giunti alla quale le virate non sono più un'opzione praticabile.
Le pressioni statunitensi su Erdogan sono veramente forti: di sicuro ci sono le sanzioni, ma ci sono anche i reiterati inviti da parte delle principali banche di Wall Street affinché si abbrevi l'agonia della lira turca; la promessa di ulteriori punizioni statunitensi (il Tesoro che gli fa la guerra ancora di più) nel caso la Turchia dovesse ricevere dalla Russia i missili antiaerei S400. Infine, proprio ora, il ritiro dei "capitolati di esenzione" statunitensi sul greggio leggero che la Turchia importa dall'Iran e che è quello che serve a far funzionare le raffinerie turche. In altre parole, la produzione turca è calibrata sul greggio leggero iraniano e una riorganizzazione industriale sarebbe costosa.
Poi ci sono le pressioni strategiche. Tra queste, l'intento dichiarato di Trump di mettere i Fratelli Musulmani nella lista delle organizzazioni terroristiche. A Washington la faccenda è ancora in fase di definizione, ma in genere si pensa che finirà in questo modo.
E allora? Allora lo AKP corrisponde informalmente ai Fratelli Musulmani, almeno per quanto riguarda una delle sue componenti più importanti; Erdogan è culturalmente dei Fratelli Musulmani e si considera un loro protettore; lo AKP agevola il finanziamento delle organizzazioni sociali dei Fratelli Musulmani che operano in Turchia con donazioni erogate dal comune di Istanbul. Gli editorialisti turchi accusano senza mezzi termini certi paesi del Golfo di aver messo la lista di proscrizione sotto gli occhi di Trump, e hanno ragione. E non si tratta di una questione banale.
Poi ci sono i curdi in Siria, che gli USA si dicono intenzionati ad armare con missili superficie aria Stinger. Davvero? Lo Stato Islamico di questi tempi usa gli elicotteri? E c'è una dichiarazione recente di un funzionario del Dipartimento di Stato secondo cui gli USA occuperanno un terzo del territorio siriano, quello più ad est, per "molto tempo" e vi faranno investimenti, vale a dire armeranno i curdi ancora di più. L'inviato statunitense James Jeffry sta spingendo perché Erdogan accetti la presenza di una guardia di frontiera curda armata dislocata al confine meridionale della Turchia con la Siria, e incaricata del suo controllo.
Ovviamente nelle conventicole che circondano Erdogan si capisce che il cappio si sta stringendo al collo della Turchia; questo "progetto" con i curdi viene inteso come nient'altro che un "punto di appoggio" per penetrare in Turchia e indebolirla. Per i vertici dello stato turco si tratta di una cospirazione alla luce del sole il cui scopo resta quello di indebolire il paese.
Infine, tra le iniziative del fronte antiturco con sede nel Golfo troviamo il rovesciamento del governo sudanese cui era a capo un presidente collegato ai Fratelli Musulmani, la probabile cacciata della Turchia dalla base navale che possiede in Sudan dirimpetto a Gedda e, per ultimo ma non ultimo, l'assalto del generale Haftar contro Tripoli e Misurata, che sono difese da forze sostenute dalla Turchia e dal Qatar. Una percentuale significativa della popolazione nella Libia settentrionale è etnicamente turca.
Così, come riferisce in arabo Abdel Bari Atwan sul Rai al-Youm, "lo sviluppo più importante nel contesto libico è dato dal fatto che il presidente turco si è fatto avanti [con una] teledonata al signor Al-Sarraj: [Erdogan] impegnerà tutti i mezzi di cui il suo paese dispone per impedire che quella che ha definito 'la cospirazione' colpisca il popolo libico. Ha sottolineato l'importanza che Al-Sarraj e il suo governo hanno nella difesa di Tripoli. Secondo noi questo significa sostegno anche militare, non solo politico", conclude Bari Atwan.
Insomma, Erdogan -alleato con il Qatar- sta scendendo in campo contro gli Emirati Arabi Uniti e contro le forze di Haftar, sostenute dall'Arabia Saudita e dagli USA e a favore del governo di accordo nazionale sostenuto dall'ONU e dallo stato che occupa la penisola italiana.
L'attacco di Haftar si è già impantanato nei sobborghi di Tripoli. Sembra poco probabile adesso che il Qatar o la Turchia acconsentiranno al colpo di stato messo su dagli Emirati e dall'Arabia Saudita senza un confronto sanguinoso. Al momento il governo di accordo nazionale, tramite la banca centrale, controlla le entrate petrolifere anche se i giacimenti sono materialmente in mano a Haftar. Haftar potrebbe rovesciare questa situazione e tenere per sé le rendite petrolifere. La banca centrale che controlla l'accesso a questi fondi, depositati in un conto di garanzia a New York, si trova a Tripoli.
Il fatto è che se la Turchia è sottoposta a pressioni forti sia sul piano interno (la sua economia è fragile, e poi il nuovo sindaco di Istanbul sta mettendo in discussione i fondamenti stessi della politica dello AKP) sia sul piano della politica estera, anche i paesi del Golfo lo sono, anche se si tratta di pressioni di natura differente.
Intanto, la guerra nello Yemen non sta andando bene per l'Arabia Saudita. Sembra che il fronte meridionale saudita si stia disintegrando malamente e che le forze yemenite stiano spingendosi nel sud dell'Arabia Saudita. Poi, il tentativo dei paesi del Golfo di instaurare regimi militari di sicurezza in Sudan, in Algeria e in Libia non è garantito da nessun punto di vista. Il rischio è che l'instabilità causata da questi tentativi di colpo di stato si diffonda a macchia d'olio in tutto il nord Africa. Nel Ciad si vive in ansia perché Haftar vi ha tentato un colpo di stato alcuni anni fa; la Mauritania pensa che gli Emirati Arabi Uniti abbiano messo gli occhi sulle sue risorse, e il Marocco è ai ferri corti con gli Emirati Arabi Uniti a causa del suo essersi rivolto al Qatar. Il risultato finale di questa tripletta di colpi di stato è in bilico.
E questo ci riporta al quadro generale. Trump è deciso a riplasmare il Medio Oriente. Kushner e gli altri inviati non ne fanno mistero: il loro obiettivo è quello di rimodellare la regione a piacimento dello stato sionista. Lo stato sionista diventerà "grande Israele" sottomettendo qualcosa come sei milioni e mezzo di palestinesi; per facilitare questo piano tre nazioni storiche -i pilastri dell'ordinamento regionale- devono subire un ridimensionamento: la Grande Siria sarà un po' meno grande senza un terzo di un territorio che è già ridotto; Iran e Turchia vanno arginati, indeboliti e i loro attuali governi se possibile rovesciati affinché lascino il posto a compagini più condiscendenti.
Una iniziativa ambiziosa ma non esente da evidenti difetti. Il primo lo indica una fonte ben informata in materia di sanzioni: David Cohen, ex sottosegretario al Tesoro statunitense con competenze sul terrorismo e lo spionaggio finanziario. Insomma, le  sanzioni fatte persona:
Negli ultimi decenni... le sanzioni sono diventate uno strumento fondamentale nella politica estera statunitense. L'amministrazione Trump ha fatto un utilizzo particolarmente pesante di questo strumento, spcialmente negli sforzi compiuti per rovesciare il governo in Venezuela e in Iran... E anche se l'amministrazione è stata più vaga nel suo invocare il rovesciamento della forma di governo religioso in Iran, le richieste che essa ha posto a Tehran sono talmente onerose che, come ha sostenuto l'ex ambasciatore statunitense Robert Blackwill, "è di fatto impossibile per l'Iran ottemperarvi senza un mutamento sostanziale ai vertici dello stato e nella forma di governo". Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in altre parole, "vuole in Iran un rovesciamento del governo, ma non lo indica in questi termini".
"Solo che perché le sanzioni funzionino... devono puntare a un comportamento che il soggetto colpito sia in grado di cambiare, per quanto obtorto collo. La parte colpita deve anche credere che le sanzioni verranno meno, se essa abbanbdona il comportamento di cui sopra.
La logica delle sanzioni costrittive non funziona invece quando il loro obiettivo è quello di rovesciare un governo. Questo, semplicemente perché il costo di lasciare il potere sarà sempre più alto del beneficio ricavabile dalla fine delle sanzioni; uno stato sanzionato non può verosimilmente permettersi di acconsentire al rovesciamento del proprio governo...
Ci sono poche ragioni per aspettarsi che oggi in Venezuela o in Iran il risultato sarà diverso. Le sanzioni imposte unilateralmente dagli USA stanno imponendo pedaggi onerosi, ma non si deve pensare che il loro impatto economico sia indice di un successo politico, specialmente se il loro obiettivo è quello di rovesciare un governo.
Un altro esperto, il colonnello degli Stati Uniti Pat Lang, nota che gli ultimi pasticciati tentativi di mettere in piedi un'insurrezione dei militari venezuelani per cacciare il Presidente Maduro sono stati per molti versi una cialtronata paragonabile allo sbarco nella Baia dei Porci a Cuba nel 1961, che si fondava sull'errata convinzione che anche il popolo cubano sarebbe insorto fornendole immediato appoggio.
Gli eventi in Venezuela sottolineano come la retorica machista degli USA sia spesso più chiacchiere che sostanza: insomma, l'idea di sé che ogni macho ha è inversamente proporzionale alle sue oggettive prestazioni in quel settore. Ovviamente in Medio Oriente è una cosa che hanno notato tutti.
Insomma, se le sanzioni non avranno successo, e gli USA cercheranno verosimilmente di abborracciare un colpo di stato sotto copertura stile Maidan in Iran o in Russia, non c'è nulla da temere?
Non è del tutto vero. Perché se anche il tentativo di fare dello "avamposto dell'Occidente" in Medio Oriente la forza predominante complicherà le cose nella regione, che gli USA ci mettano o no il becco, la questione è differente: la montante retorica bellicista degli USA che ne riempie la politica ufficiale non si esaurisce con le chiacchiere. Essas fa riferimento alle "guerre perenni" dell'AmeriKKKa: l'infinita guerra generazionale -secondo la dottrina prevalente- contro la Russia e l'Iran. Il linguaggio che indica l'Iran e il Presidente Putin come il Male assoluto è deliberato e fa parte di un progressivo troncamento di ogni canale di comunicazione e di cointeressenza tra l'Occidente da una parte e la Russia e l'Iran dall'altra: il pubblico statunitense non è ancora abituato a considerare come il Male anche il popolo cinese.
Passo dopo passo i canali dedicati alla comunicazione reciproca sono stati fatti atrofizzare. Le aree di collaborazione costruite con il lavoro di anni vengono cancellate; la reciproca comprensione in materia di armamenti e di sicurezza cui si è dolorosamente arrivati viene messa da parte. E si statuisce invece che non c'è nessuno con cui parlare, perché gli altri sono per natura infidi, mendaci e traditori.
Ovviamente chi pensa che il linguaggio bellicoso ostentato da Bolton e da Pompea serva semplicemente come strategia negoziale è padronissimo di rimanere della propria opinione; altri tuttavia potrebbero vedervi la metodica edificazione di una galleria sempre più stretta e con un unico sbocco, che è la perenne escalation contro la "malvagità".
La questione autentica è: Trump vede tutto questo? Ne è consapevole? O si è convinto che le fanfaronate della sua amministrazione sono davvero vincenti facendo nuovamente grande l'AmeriKKKa? Il futuro di tutti dipende da questo.

giovedì 2 maggio 2019

Alastair Crooke - Petrolio iraniano, fine delle esenzioni. Bolton va per la sua strada.




Traduzione da Strategic Culture, 29 aprile 2019.

Gli USA hanno deciso di porre fine a partire dal 2 maggio ad otto capitolati di esenzione che riguardavano l'importazione di greggio e di gas dall'Iran. L'amministrazione Trump compie così i primi passi verso una guerra non dichiarata alla Repubblica Islamica dell'Iran cercando di fiaccare il morale del popolo iraniano spingendone una maggiore percentuale nella fascia della povertà assoluta, e imponendo il riconoscimento alle dodici condizioni fissate da Pompeo. Questo dovrebbe portare l'Iran a un'umiliante -e improbabile- capitolazione. Un percorso difficile, circondato su tutti i lati da disastri che incombono, imprevisti e imprevedibili. Un ginepraio in cui Bolton e Pompeo possono ben trovarsi dolorosamente impelagati. Queste mosse porteranno inevitabilmente a una escalation seria? Potrebbe anche darsi, ma l'Iran sa anche che se riesce a farla in barba a questi temibilissimi ostacoli e a rimanere in piedi avra vinto la partita. Sopravvivere significa vincere. Sopravvivere significa togliere la croce dalle spalle dell'Iran e gettarla su quelle dell'AmeriKKKa.
Perché gli USA dovrebbero intraprendere questo percorso? Perché addossarsi questo rischio? In ultima analisi, la politica estera ameriKKKana altro non è che politica interna. Il vicepresidente Pence alla conferenza di Monaco sulla sicurezza tenutasi all'inizio dell'anno ha tessuto le lodi della precipitosa cocciutaggine con cui Trump prende le proprie decisioni. Ha indicato nel "governo ostinato" una qualità che anche la UE dovrebbe cercare di imitare. E questa sarà senz'altro la piattaforma di Trump per il 2020: "Sono io l'uomo che prende le decisioni radicali, e che poi fa". Un imprenditore in politica.
Ma non è a questo che serve la politica statunitense nei confronti dell'Iran. Magari è vero che Washington è contrariata dal fatto che le sue pressioni non hanno finora portato a risultati, nel senso che non hanno influito sull'assetto politico del paese. La fine dei capitolati d'esenzione tuttavia serve essenzialmente ad accontentare la base evangelica che sostiene Trump. Si tratta di un settore dell'elettorato particolarmente federe, pienamente in accordo con la destra dello stato sionista che vede nell'Iran rivoluzionario un ostacolo all'avvento della "Grande Israele" dei profeti e -in concomitanza con esso- del ritorno del Messia. Questa base elettorale (è evangelico il 25% degli ameriKKKani) ha chiuso entrambi gli occhi sulle manchevolezze di Trump sul piano morale ed ha rigettato del tutto le insinuazioni sul Russiagate. Nulla del genere l'ha toccata. Per questi elettori Trump altro non è che l'amorale, laico, fallace -eppure in qualche modo prescelto- strumento che può guidare i cristiani nel metafisico conflitto del bene contro il male. Dove l'Iran è il Male metafisico. Nell'ombra poi c'è Sheldon Adelson, sorta di signore degli anelli pieno di miliardi, che unisce il non evangelico Bolton e il progetto della Grande Israle di Netanyahu alla straordinariamente fedele base evangelica di Trump, dalla quale potrebbe un giorno dipendere la sua permanenza in carica nel 2020. Il fatto è che questa base sta spingendo perché si facciano progressi verso l'Estasi: la base neoconservatrice di Bolton invece sta spingendo perché si mettano a posto antichi conti con l'Iran rivoluzionario; la destra dello stato sionista sta spingendo per trarre vantaggio dalla serendipity mostrata dalla presidenza Trump... e Trump che vuole impostare la propria campagna propagandistica su una politica muscolare.
Il peggior ginepraio verso cui sono dirette queste vispe terese è dato dal fatto che con la fine dei capitolati di esenzione per i più importanti importatori di greggio iraniano -al momento qualcosa come un milione di barili al giorno, metà destinati alla Cina e la gran parte del resto all'India e alla Turchia- gli USA si mettono in condizioni di turbare gravemente i propri rapporti con paesi di fondamentale importanza, coi quali gli USA intrattengono rapporti che sono già tesi e costruiti su elaborate negoziazioni. L'India può anche sottostare alle pressioni statunitensi, ma la Cina e la Turchia? L'Iran comunque afferma che comunque esistono altri acquirenti in attesa.
Cosa faranno gli USA se i cinesi ignoreranno le sanzioni? Secondo il National Defense Authorization Act del 2012, sono sanzionabili anche le transazioni con la banca centrale iraniana "non significative" per gli USA. Le transazioni dagli USA invece sono un crimine. Il fatto è che la banca centrale iraniana è l'ente cui vanno a finire tutte le transazioni monetarie per il greggio e per il gas; gli USA sanzioneranno la banca centrale cinese? O cercheranno qualche altro sistema perché la Cina metterà in piedi qualche escamotage non basato sul dollaro che le consenta di aggirare le sanzioni? Quale impatto avrà la cosa sui rapporti commerciali tra USA e Cina? E sulle relazioni bilaterali con la Turchia e con l'India?
La questione ha, in concreto, implicazioni di più ampia portata. L'Iran è il perno sia della strategia russa basata su una massa continentale che predomina nel settore, sia di quella cinese fondata sulla "Nuova Via della Seta". Perché mai questi due paesi dovrebbero stare a guardare Washington che cerca di smantellare la chiave di volta della loro architettura economica? La Cina necessita di approvvigionamenti energetici sicuri ed è perfettamente consapevole di essere vulnerabile a un blocco navale dello stretto di Malacca. Inoltre, Russia e Cina insieme hanno appena cacciato una piccola ma psicologicamente importante chiave inglese negli ingranaggi dei piani statunitensi per il rovesciamento del governo venezuelano. Come dire "Siamo stanchi dei giochetti degli USA". Difficile pensare che lascerebbero il loro successo strategico in Iran nelle mani di simili agenti del caos. Staremo a vedere.
Esiste un altro grosso incerto sul cammino intrapreso dai signori Bolton e Pompeo. Anche se riusciranno ad avere successo e a togliere dal mercato petrolifero un milione di barili al giorno, come sarà possibile rimpiazzarli? La riserva di due milioni e duecentomila barili giornalieri di cui si favoleggia esiste davvero? Ed è possibile portarla a destinazione con breve preavviso? E i tagli di produzione dell'OPEC? E i prezzi? Il prezzo della benzina negli USA è salito sensibilmente negli ultimi mesi, anche se le giacenze sono ancora intatte. Un gallone di benzina in California oggi ha un costo vicino alla soglia politicamente rilevante dei quattro dollari e trenta centesimi. La situazione, se mal controllata, potrebbe arrivare al fattore di rischio costituito da un brusco aumento del petrolio e mandarci tutti in recessione.
Anche se Pompeo ha detto che i capitolati di esenzione sono chiusi e che non c'è più da parlarne, la struttura del logoramento economico sta cambiando. Invece dei capitolati, che sono pubblici e particolareggiati, il Dipartimento di Stato ricorrerà ad una nuova arma economica: d'ora in avanti saranno rilasciate soltanto licenze. Ciascuna licenza sarà rilasciata su base individuale, caso per caso. Non esisteranno linee guida o norme quadro: solo al momento della richiesta il soggetto interessato saprà se la transazione gli sarà concessa o meno. I risultati non saranno resi pubblici.
Siamo davanti all'uso dell'ambiguità coime arma, ma si ricordi che il sistema sanzionatorio applicato a tutt'oggi all'Iran è tale che tutte le leggi statunitensi sulle sanzioni consentono capitolati di esenzione -solitamente temporanei- per motivi inerenti la sicurezza nazionale. Alcune leggi permettono esenzioni permanenti, e ovviamente il Presidente degli USA può modificare qualsiasi ordine esecutivo. Durante il mandato di Trump, il dipartimento di stato avrebbe concesso capitolati di esenzione per i casi che seguono.

Lo Iran Freedom and Counter-Proliferation Act del 2012, in particolare per i capi 1244 (energia, spedizioni, cantieristica navale e porti), 1245 (specifici settori dell'economia nazionale e qualsiasi settore risulti "controllato direttamente o indirettamente dal Corpo dei Guardiani della Rivoluzione"), 1246 (componenti per il "nucleare, le forze armate o missili balistici" e metalli preziosi) e 1247 (assicurazioni per le attività nei settori predetti). Queste sanzioni possono essere alleviate per un periodo lungo fino a 180 giorni.
Lo Iran Threat Reduction and Syria Human Rights Act del 2012, sezione 212a (assicurazioni per le spedizioni di greggio iraniano) e 213a (prestiti governativi). Queste sanzioni possono essere alleviate per un periodo lungo fino a 180 giorni.
Lo Iran Sanctions Act del 1996, sezione 5a (sugli investimenti petroliferi e nel settore del gas). Queste sanzioni possono essere alleviate per un periodo lungo fino a 180 giorni.
Il National Defense Authorization Act per l'anno fiscale 2012, sezione 1245d(1) (riguardante le banche straniere interessate al mercato petrolifero iraniano). Queste sanzioni possono essere alleviate per un periodo lungo fino a 120 giorni.

Con l'abbandono dei capitolati di esenzione in favore di "licenze" specifiche e non pubblicizzate, gli USA si ergono in pratica come autorità di governo del commercio mondiale in una serie di settori davvero ampia se si considerano tutte le sanzioni contro la Russia, la legislazione CAATSA e la vasta galassia di sanzioni mondiali promossa dagli USA. D'ora in poi il Tesoro statunitense modellerà in misura sempre maggiore il commercio mondiale per renderlo conforme agli interessi degli USA, all'oscuro e senza pubblicità. Difficile vedere perché mai i principali attori commerciali dovrebbero assistere passivamente alla posa in opera di una simile architettura sanzionatoria. La Cina in particolare è consapevole del fatto che potrà essa stessa, dopo l'Iran, diventare un bersaglio delle sanzioni statunitensi.
E l'Iran, come potrebbe reagire? Come già specificato, l'Iran non cercherà per forza di cose di inasprire la contesa; riuscire a sfangarla in qualche modo sarà già una grande vittoria sul piano simbolico. Se messo alle corde, tuttavia, l'Iran risponderà verosimilmente rivalendosi sugli interessi statunitensi in Afghanistan e in Medio Oriente in generale. La chiusura dello stretto di Hormuz rappresenta l'equivalente dell'opzione nucleare, una specie di ultima carta. Non siamo più nel 2012 e oggi l'Iran gode di un vasto sostegno internazionale, sostegno che non è realistico mettere in discussione a cuor leggero.
L'incerto, nella costruzione di Bolton, Pompeo e Adelson, è questo: Netanyahu cercherà o no di approfittare della situazione? Cercherà di alzare ancora di più la tensione in nome dei propri scopi, vale a dire aumenterà gli attacchi contro le strutture "iraniane" in Siria e anche in Libano? Considererà le difficoltà iraniane come il momento buono per cercare un'altra volta di far fuori Hezbollah? In questo caso, la strada scelta da Bolton e da Pompeo potrebbe riservare amare sorprese ai suoi ideatori, e lasciarli ironicamente con la Russia come unico interlocutore cui rivolgersi per togliersi dai pasticci.