lunedì 10 dicembre 2018

Alastair Crooke - I piani di Netanyahu per il Medio Oriente stanno andando in malora



Traduzione da Strategic Culture, 5 novembre 2018.

Nahum Barnea è nello stato sionista un editorialista autorevole. Sullo Yedioth Ahronoth dello scorso maggio (nell'edizione in lingua ebraica) ha messo nero su bianco i termini che sottendono la linea politica di Trump per il Medio Oriente: dopo l'uscita degli USA dall'accordo sul nucleare iraniano avvenuta l'8 maggio, secondo Barnea Trump avrebbe minacciato una grandinata di fuoco e fiamme contro Tehran... e ci si aspettava che Putin avrebbe trattenuto l'Iran dall'attaccare lo stato sionista muovendo dal territorio siriano, lasciando così Netanyahu libero di stabilire nuove regole del gioco che mettessero lo stato sionista in condizioni di colpire e distruggere i militari iraniani in qualsiasi punto della Siria -e non solo nelle zone di confine, come gli era consentito in precedenza- secondo volontà e senza timore di reazioni.
Questo era il primo livello della strategia di Netanyahu: l'arginamento dell Iran e la mancanza di reazioni da parte dei russi a fronte di operazioni aeree coordinate dello stato sionista nei cieli siriani. "Solo una cosa non è chiara [su questo accordo]", ha detto a Ben Caspit un alto funzionario della difesa sionista vicinissimo a Netanyahu: "chi è che lavora per chi? Netanyahu è a servizio di Trump, o è il Presidente Trump a essere a servizio di Netanyahu? A un osservatore esterno... sembra che i due agiscano in perfetta sincronia. Dall'interno la sensazione è ancora più forte, è quella di una collaborazione... che a volte fa sembrare che i due facciano davvero parte di un unico, grande ufficio".
Fin dall'inizio c'è stato anche un secondo livello. La "piramide rovesciata" delle operazioni di ridefinizione del Medio Oriente ha avuto come punto di partenza Mohammed bin Salman. Secondo lo Washington Post è stato Jared Kushner a "fare di Mohammed bin Salman il campione riformista in grado di portare quella ultraconservatrice monarchia zuppa di petrolio nella modernità. Kushner ha sostenuto in privato per mesi, l'anno scorso, che Mohammed bin Salman sarebbe stato l'elemento essenziale per dare forma a un piano per la pace in Medio Oriente e che con la benedizione del principe la gran parte del mondo arabo vi si sarebbe adeguato". Continua poi il Post scrivendo che è stato Kushner "a insistere perché il suocero facesse il primo viaggio all'estero una volta in carica a Riyadh, a dispetto delle obiezioni dell'allora Segretario di Stato Rex Tillerson e degli ammonimenti del Segretario alla Difesa Jim Mattis".
Ecco, adesso Mohammed bin Salman risulta implicato nell'assassinio di Khashoggi, in un modo o nell'altro. Bruce Riedel del Brookings, esperto conoscitore della realtà saudita ed ex funzionario superiore della CIA e della Difesa statunitense scrive che "per la prima volta da cinquant'anni a questa parte il regno agisce a favore dell'instabilità" (anziché per la stabilità del Medio Oriente) e suggerisce che in certi ambienti a Washington adesso ci sia un po' di evidente resipiscenza tardiva. Il "processo di formazione di un unico grande ufficio" cui ha fatto riferimentov il funzionario dello stato sionista che ha parlato con Caspit è noto come "passaggio a tubo di stufa": la difesa della linea politica di un altro paese e le informazioni su cui essa si basa vengono fatte arrivare direttamente al Presidente saltando a piè pari gli ambienti ufficiali di Washington e aggirando qualsiasi supervisione statunitense, eliminando la possibilità che qualche funzionario si esprima in merito al suo contenuto. Risultato di questo modo di fare è stata la débacle strategica del caso Khashoggi. Che arriva all'indomani di precedenti "errori" strategici: la guerra nello Yemen, l'assedio del Qatar, il sequestro di Hariri, il ricatto in alte sfere al Ritz-Carlton.
Per colmare questa lacuna, uno "zio" (il principe Ahmad bin Abdel Aziz) è stato richiamato a Riyadh dall'esilio in Occidente sotto garanzie fornite dai servizi statunitensi e britannici, per rimettre ordine in questi pasticci e per controllare e valutare la torma di consiglieri di Mohammed bin Salman, oltre che per prevenire ulteriori e roboanti "errori". Sembra anche che il Congresso statunitense voglia la fine della guerra nello Yemen, cui il prinicipe Ahmad si è sempre opposto così come si era opposto all'innalzamento di Mohammed bin Salman al ruolo di principe ereditario; il generale Mattis ha invocato un cessate il fuoco entro un mese. Si tratta di un passo avanti verso il ripristino del buon nome del regno.
Per adesso, principe ereditario è sempre Mohammed bin Salman. Lo sostengono il presidente egiziano al Sissi e il Primo Ministro Netanyahu. "Mentre funzionari statunitense considerano una più vigorosa risposta [all'uccisione di Khashoggi], Kushner ha sottolineato l'importanza dell'alleanza fra Arabia Saudita e USA nella regione", riferisce lo Washington Post. Lo zio di Mohammed bin Salman, che come figlio di re Abdel Aziz in base al tradizionale sistema di successione sarebbe anch'egli compreso nella linea dinastica, spera senz'altro di rimediare a qualcuno dei danni apportati alla reputazione della Casa dei Saud e a quella del regno. Ci riuscirà? Mohammed bin Salman permetterà ad Ahmad di mettere ordine nella centralizzazione di potere che gli ha procurato soprattutto tanti nemici? La Casa dei Saud ha la volontà di farlo, o è ancora troppo sconcertata dalla piega presa dagli eventi?
Il Presidente turco Erdogan potrebbe rendere questo delicato processo ancora più difficile rivelando ulteriori dettagli sul caso Khashoggi in mano al suo paese, nel caso Washington rifiutasse di prendere in sufficiente considerazione le sue, di richieste. Erdogan sembra pronto ad adoperarsi per il ripristino della supremazia ottomana all'interno del mondo sunnita ed è verosimile che abbia in mano altre buone carte, come le intercettazioni delle chiamate fra il cellulare dell'assassino e Riyadh. E sono carte che stanno comunque perdendo valore col puntare dell'attenzione dei mass media alle elezioni statunitensi di metà mandato.
Sarà il tempo a dirlo, ma è questo concorrere di dinamiche dall'esito incerto quello cui Bruce Reidel fa riferimento quando parla di "instabilità" in Arabia Saudita. Qui si impone anche un'altra questione: quale influenza potrebbe avere tutto questo sulla "guerra" contro l'Iran di Netanyahu e di Mohammed bin Salman?
Sembrano passati secoli dal maggio 2018. Trump è sempre il solito Trump, ma Putin non è il solito Putin. L'apparato militare russo ha fatto valere il proprio peso presso il Presidente per esprimere il proprio disappunto per gli attacchi aerei dello stato sionista in territorio siriano, attacchi che avevano l'asserito proposito di colpire le forze iraniane in Siria. Il Ministero della Difesa russo inoltre ha avvolto la Siria in una fascia di missili e apparati di disturbo elettronico che coprono lo spazio aereo del paese. Anche la situazione politica è cambiata: Germania e Francia sono entrate nel processo di Astana per la Siria. L'Europa vuole che i profughi siriani tornino alle loro case, e questo significa che l'Europa vuole la stabilità in Siria. Anche alcuni paesi del Golfo hanno intrapreso tentativo per normalizzare le relazioni con lo stato siriano.
Gli ameriKKKani sono ancora in Siria, ma un Erdogan rinvigorito -che oltre a tutti gli elementi sul caso Khashoggi che gli hanno messo in mano i suoi servizi segreti ha dalla propria parte anche il rilascio del pastore statunitense- intende distruggere le ambizioni curde nel nord e nell'est della Siria appoggiate dagli USA e dallo stato sionista. Mohammed bin Salman, che finanziava il progetto per conto degli USA e dello stato sionista, si dissocerà dalla questione secondo le richieste fatte da Erdogan nel contesto dell'uccisione di Khashoggi. Washington inoltre vuole che la guerra nello Yemen, che doveva servire come pantano in cui cacciare l'Iran, finisca quanto prima. Washington vuole anche che cessino le pressioni contro il Qatar.
Tutto questo significa la rovina del piano di Netanyahu per il Medio Oriente, ma ci sono due ulteriori conseguenze ancora più cariche di significato.
Intanto, Netanyahu e Mohammed bin Salman hanno perso l'accesso diretto a Trump che passava da Jared Kushner saltando a piè pari l'intera trafila statunitense di tare e di controlli. La scorciatoia che passava da Kushner non è servita a mettere Washington in guardia per gli "errori" prossimi venturi, né Kushner è stato in grado di prevenirli. Sia il Congresso che i servizi segreti statunitensi e britannici stanno già dandosi di gomito a riguardo, e non hanno alcuna stima per Mohammed bin Salman. Non è un segreto che il loro uomo fosse invece il principe Mohammed bin Naif. Mohammed bin Naif che è a tutt'ora agli arresti nel suo palazzo.
Trump continuerà a sperare di proseguire col suo "piano Iran" e con l'Accordo del Secolo fra stato sionista e palestinesi, patrocinato a livello nominale dall'Arabia Saudita con dietro tutto il mondo sunnita. Tump non vuole arrivare alla guerra con l'Iran, ma è convinto piuttosto che un'insurrezione popolare rovescerà la Repubblica Islamica.
Seconda conseguenza, l'obiettivo del principe Ahmad chiaramente non è causare instabilità o arrivare alla guerra con l'Iran. Ahmad intende ripristinare la reputazione della sua famiglia e recuperare qualcuna delle credenziali che ne facevano l'eminenza del mondo sunnita e che sono venute meno con la guerra nello Yemen e con la sfida che la Turchia neoottomana le sta portando adesso. Si può supporre che la Casa dei Saud non abbia alcun interesse a sostituire la disastrosa e costosa guerra contro lo Yemen con un'altra guerra, di più ampia portata e contro un vicino grande e potente come l'Iran; sarebbe una cosa priva di senso. Ecco forse il motivo per cui si assiste all'affannarsi dello stato sionista per la normalizzazione dei rapporti con gli stati arabi, anche se la cosa non comporta alcun miglioramento per la condizione dei palestinesi.
Con buona capacità di preveggenza Nehum Barnea scriveva a maggio sullo Yediot Ahronot: "Trum può anche dichiarare il ritiro degli USA dall'accordo sul nucleare iraniano, e dare ad esso corso. Ma sotto l'influenza di Netanyahu e della sua nuova squadra di governo ha scelto di spingersi anche oltre. Le sanzioni economiche contro l'Iran saranno molto più severe di quelle in vigore prima che l'accordo venisse siglato. "Colpiscili nel portafoglio," ha deetto Netanyahu a Trump: "se li colpisci nel portafoglio inizieranno a soffocare. E quando inizieranno a soffocare cacceranno gli ayatollah".
Anche stavolta, un po' di considerazioni sono passate direttamente al presidente degli USA saltando la trafila. I suoi funzionari possono anche avergli detto che si trattava di fantasie. Non esiste alcun caso in cui le sole sanzioni abbiano causato il rovesciamento del governo di un paese. Gli USA possono anche usare le loro pretese di egemonia giudiziaria come ulteriore rinforzo, ma nell'elevare sanzioni contro l'Iran si sono di fatto isolati. L'Europa non vuole che l'insicurezza aumenti, non vuole diventare meta di altri profughi. La rigida posizione di Trump ha costretto Kim Jong Un al negoziato? O magari è stato Kim Jong Un a considerare un incontro con Trump come il prezzo da pagare per continuare sul percorso di riunificazione della Corea? Trump era consapevole del fatto che l'Iran avrebbe sofferto economicamente ma che avrebbe proseguito sulla sua strada, sanzioni o non sanzioni? No. Ecco: il problema dell'affidarsi a chi salta la trafila è proprio questo.

Nessun commento:

Posta un commento