venerdì 15 giugno 2018

Alastair Crooke - Lo stato sionista si sta preparando per la guerra?



Traduzione da Strategic Culture, 7 maggio 2018.


Giovedì 3 maggio il generale Mattis ha riferito alla commissione per le forze armate del Senato statunitense che reputa sempre più probabile un confronto militare fra lo stato sionista e l'Iran in Siria: "Intravedo in modo in cui potrebbe iniziare, ma non sono sicuro del quando e del dove".
Questo non dovrebbe sorprendere nessuno. Chiunque riesca a sbirciare oltre la sottile liquida membrana della bolla occidentale riesce a vedere grosse dinamiche che si stanno espandendo e rafforzando al punto da convergere inesorabilmente sullo stato sionista. Si tratta di un evento inesorabile, non perché i paesi del Medio Oriente vogliano arrivare alla guerra (cosa che non è), ma perché lo stato sionista si sente per cultura obbligato a legarsi al presidente Trump e alla sua squadra di falchi, che a sua volta considera effettivamente lo stato sionista come il primo alleato nelle schermaglie dirette ad arginare il progetto politico e commerciale esistente fra Cina, Russia e Iran, e a farlo inaridire fino a ridurlo a un corpo inoffensivo, indigente e indebolito.
A qualche sionista la retorica da falco di Pompeo e di Bolton potrà anche sembrare un elisir inebriante. Solo che il Medio Oriente non è il posto per fare gli alleati dell'AmeriKKKa in questa nuova guerra non convenzionale contro le dinamiche emergenti. Cina, Russia e Iran sono determinatissimi, è una cosa inesorabile. Lo stato sionista combatterà contro ogni logica e alla fine, ai ferri corti con tutto il Medio Oriente, cercherà di attaccarlo e di indebolirlo proprio come abbiamo visto negli ultimi giorni con gli attacchi in Siria. Alla fine, per ritorsione, sarà colpito esso stesso. E potremo allora assistere a una guerra di più ampia portata.
Comunque si consideri quella spessa linea rossa diretta da est a ovest che è la via cinese che percorre l'Eurasia (si veda qui) o il blocco continentale russo alla McKinder fatto di produttori di energia (si veda qui) e che si estende attraverso la Russia dall'Artico al Medio Oriente rifornendo consumatori sia ad est che ad ovest, una cosa è certa: l'Iran e la regione settentrionale del Medio Oriente sono al centro di entrambe le mappe. Intendiamoci: potrebbero presentarsi essenzialmente come progetti commerciali e nel campo dell'energia, ma la loro essenza è quella dei progetti politico-culturali.
Queste due visioni, quella cinese e quella russa, sono complementari. Una mette in risalto l'influenza delle risorse, l'altra i flussi economici e la concomitante prosperità che è probabile scaturiscano dal flusso dell'energia e dal movimento delle merci lungo quel corridoio. Nel nord del Medio Oriente è la Russia ad avere in mano le leve della diplomazia e dellea sicurezza, non l'AmeriKKKa. E l'influenza economica è della Cina, non dell'AmeriKKKa.
No, non si tratta di illusioni fondate su un qualche immaginario "vuoto" creato dai fallimenti in serie che l'AmeriKKKa ha inanellato in Medio Oriente. Si tratta di mutamenti e di trasformazioni reali.
Per gli occidentali centrati su se stessi (e per lo stato sionista) non sta succedendo niente di straordinario. Ci raccontano -per esempio su Politico- che
"...la nuova guerra fredda non è come la vecchia, perché le manca una dimensione ideologica... le attuali tensioni fra Stati Uniti e Russia sono una schermaglia senza alcun pretesto: Putin non ha alcun traguardo ideologico da perseguire con la promozione dello stato russo, controllato da lui e dalla sua cricca; non sta cercando simpatizzanti in Occidente, e dunque non ha promosso alcun confronto su vasta scala fra due sistemi... Insomma, Putin in fondo non predica la rivoluzione mondiale, che era uno degli elementi chiave nella dottrina del comunismo sovietico."
Come può l'Occidente mostrarsi culturalmente cieco a fronte dei grandi mutamenti in corso? Vero è che quanto sta succedendo in alcune zone del Medio Oriente e in Russia non ha una natura ideologica, nel senso che non prevede la realizzazione forzata di un progetto utopistico, di un ordine mondiale rivolto alla correzione dei difetti umani, contrapposto a un altro e teso a cambiare l'intera umanità in una qualche maniera costrittiva. Ma quanto sta accadendo non è un nulla: sembra invece che siccome negano e combattono la nozione stessa di unico ordine mondiale fondato su regole culturali, questi progetti siano diventati invisibili agli occhi occidentali.
Nel caso dello stato sionista non c'è da sorprendersene. Il padre del sionismo moderno Theodor Herzl, in quel Der Judenstaat che è il documento fondante del sionistmo, scrisse: "Per l'Europa noi [lo stato ebraico] rappresenteremmo parte del muraglione opposto all'Asia: saremmo un baluardo culturale contro la barbarie." In breve, lo stato sionista è stato fondato come un'utopia illuministica europea e di conseguenza, comprensibilmente, i sionisti trovano difficile immaginare che qualcuno possa sfidare la cultura e la scienza dell'illuminismo europeo, sul piano tecnologico o culturale. Per questo Ehud Barack dipinge lo stato sionista come una "villa nella giungla", con toni chiaramente spregiativi nei confronti degli abitanti della giungla.
Sotto la presidenza Xi la Cina presenta il partito comunista cinese come l'erede e il successore di un impero di cinquemila anni stroncato dall'imperversare dell'Occidente, e cerca di definire un'identità cinese sostanzialmente in contrasto con la modernità ameriKKKana. Xi ha una visione del mondo assolutamente incompatibile con le priorità di Washington, e quindi anche con quelle dello stato sionista, per lo meno nel suo orientamento attuale.
Anche la Russia sta cercando di definire un "modo di essere" culturalmente russo e originale; non una scopiazzatura dei modelli dell'Europa occidentale, piuttosto qualcosa che tenda al loro opposto, culturale e morale. L'Iran e la Siria, e probabilmente anche l'Iraq, non guardano più al modello politico o morale occidentale come fonte di imitazione, e neppure gli concedono molta stima.
Il fatto è che nel quadrante settentrionale del Medio Oriente, Iraq compreso, i tagliatori di teste wahabiti che i servizi segreti occidentali, sionisti e sauditi hanno agevolato o potenziato perché combattessero Assad non sono solo screditati, ma proprio odiati, dai sunniti come da ogni altro. Si sta consolidando un lento moto di rigetto verso queste politiche, a tutt'oggi portate avanti dagli USA concedendo allo Stato Islamico dei santuari lungo la frontiera fra Siria e Iraq. Insomma, questa è una zona in cui l'influenza occidentale non esiste più. L'asse fra Russia, Cina e Iran è già la potenza in ascesa, anche per gli Stati del Golfo.
L'Iran sarà un attore protagonista. L'Occidente ha fatto avvicinare la Russia e l'Iran dal punto di vista strategico e militare, e per Pechino l'Iran è un punto cardine della propria via commerciale. Inoltre, come nota Pepe Escobar,
Fedeli al proprio piano di integrazione euroasiatica in corso di lento sviluppo, la Russia e la Cina sono in prima linea nel sostenere l'Iran. La Cina è il primo partner commerciale iraniano, soprattutto in virtù delle sue importazioni nel settore energetico. L'Iran, da parte sua, è un grosso importatore di derrate alimentari. La russia intende coprire questo settore...
Industrie cinesi stanno sviluppando grossi campi petroliferi di Yadavaran e di Azadegan nord. La China National Petroleum Corporation ha ottenuto un significativo trenta per cento nel progetto di sviluppo di South Pars, il più grande giacimento di gas naturale del mondo. Un accordo da tre miliardi di dollari sta rimodernando le raffinerie iraniane, ed esso comprende un contratto fra la Sinopec e la National Iranian Oil Company per l'ampliamento della raffineria di Abadan, vecchia di decenni.
Insomma, potenti forze si stanno affacciando in regioni del Medio Oriente che non condividono più le "priorità" occidentali, e che non hanno particolare simpatia per le ambizioni di potenza locale dello stato sionista, considerate una turbativa per la stabilità della regione. Si tratta di forze già potenti, destinate a diventarlo ancora di più. L'AmeriKKKa però, sotto la concezione trumpiana del "tornare grande", ha bollato queste forze emergenti come "potenze revisioniste" o "stati canaglia"; lo establishment statunitense, nella sua "guerra eterna", li considera minacce sostanziali.
Se gli USA riusciranno alla fine a trovare i mezzi per dialogare con queste forze emergenti o se vi entreranno in collisione è un interrogativo ancora senza risposta ed è il più grande interrogativo di questi anni. Se si arriverà allo scontro, per gli USA esso potrà anche continuare ad avere una natura non convenzionale. Per lo stato sionista la cosa non è probabile; esso può solo sfociare in una guerra vera e propria.
Quello che sta portando stato sionista e Iran verso un imminente scontro è però un altro mutamento sostanziale; un mutamento che potrebbe cambiare radicalmente la posizione dello stato sionista in Medio Oriente. Non solo le cose stanno cambiando in un modo che è sempre più incompatibile con le "priorità" di Washington, ma l'unica peculiarità che faceva dell'Occidente una realtà a parte e lo rendeva in un certo senso eccezionale, ovvero la sua supremazia tecnologica, sembra anch'essa in via di sparizione.
Il dissapore ameriKKKano nei confronti della Cina verte essenzialmente su questo tema: Trump sostiene che la Cina abbia "rubato" tecnologia ameriKKKana, oltre ad aver parimenti "rubato" posti di lavoro nel manifatturiero. Ora, qualche tecnologia potrà anche essere stata rubacchiata, ma in concreto sia i posti di lavoro che la tecnologia sono stati volontariamente delocalizzati in Cina in nome del profitto delle corporation statunitensi.
In ogni caso Cina, Russia e Iran hanno sviluppato tecnologie proprie e sono ora sul punto di surclassare la tecnologia occidentale nel settore difesa, se già non l'hanno fatto.
Gli USA non riusciranno a imbrigliare o a reprimere l'innovazione tecnologica cinese, o la rivoluzione della tecnologia russa nel campo della difesa.
Quindi, quando lo stato sionista guarda alle condizioni del proprio vicinato, sente che gli USA si stanno sempre più disimpegnando dal Medio Oriente mentre gli stati "revisionisti" e "canaglia" vi sono al contrario sempre più coinvolti: "un grosso fallimento strategico, con implicazioni di ampia portata," sostiene l'autorevole esperto di sicurezza Ehud Yaari. Lo stato sionista è anche consavpevole del fatto che la supremazia occidentale nelle tecnologie di difesa è scivolata come sabbia fra le dita di chi la deteneva.
La destra politica, nello stato sionista, sta ovviamente dicendo che la situazione del paese e la sua capacità di fare fronte alle mutate condizioni non potrà che peggiorare con l'andare del tempo, che una Casa Bianca così impulsivamente condiscendente non ci sarà più, che la superiorità aerea dello stato sionista non sarà più quella che un tempo è stata perché sempre di più, sempre più diffusi e sempre più perfezionati armamenti antiaerei precludono allo stato sionista quello spazio aereo cui una volta aveva accesso scontato. Carpe diem, insistono questi politici. Che si trovi il pretesto per una escalation, e gli USA seguiranno a ruota.
Il fatto è che non si tratta di una questione semplice. All'interno dell'apparato di sicurezza sionista e nei servizi esiste chi si muove con cautela: secondo il generale Golan lo stato sionista non può reggere un conflitto più lungo di sei giorni, specie se dovesse interessare più fronti. Lo stato sionista di oggi è in grado di ripetere l'exploit della Guerra dei Sei Giorni, in cui distrusse nelle prime quattro ore di combattimenti la forza aerea egiziana? Su questo non esiste alcuna certezza. Iran e Hezbollah hanno alimentato per vent'anni una risposta asimmetrica al potere aereo sionista, e ne hanno collaudato con successo gli elementi in Libano, nella guerra del 2006. E oggi ci sono nuovi missili su a nord. Lo stato sionista può nutrire ancora la certezza di disporre del dominio del cielo? C'è da dubitarne.
A che punto siamo, allora? Il Segretario di Stato Pompeo si è recato in visita a Tel Aviv nei giorni fra aprile e maggio. Sembra che abbia autorizzato lo stato sionista a usare la bomba antibunker più piccola (GBu-39s), che Obama aveva fornito, contro armamenti iraniani il 30 aprile. Sembra anche che abbia espresso sostegno all'innalzamento del livello dello scontro da parte dello stato sionista, che considera ora un bersaglio tutto quanto ci sia di iraniano in Siria. Lo stato sionista sta sfidando l'Iran, o la Siria o la Russia, a rispndere alle provocazioni, convinto che non ci sarà nessuna risposta almeno fino a dopo il dodici maggio, giorno in cui Trump deve decidere, ancora una volta, se alleviare all'Iran le sanzioni per il nucleare.
Il Presidente Putin sta cercando di calmare le acque, ma l'avallo di Pompeo alle iniziative di Tel Aviv sta mettendo a dura prova la sua pazienza. I suoi consiglieri militari stanno insistendo perché le batterie degli S300 vengano usate contro gli aerei e i missili sionisti.
Dopo che Trump avrà deciso cosa fare con l'Iran... beh, gli iraniani hanno già promesso rappresaglia per gli attacchi missilistici del nove aprile contro la base aerea T4, con riserva di tempi e metodi.
La prospettiva di una guerra è minuziosamente equilibrata: la destra politica dello stato sionista vuole cogliere l'attimo e magari continuare fino ad annettere la West Bank approfittando del conflitto in corso. L'apparato militare invece è prudente, al pari di quello ameriKKKano; ad andarci di mezzo sarebbero loro.
E Trump? Sul fronte interno la pressione sta salendo. Deve conquistare il Congresso alle elezioni di metà mandato, altrimenti -parole sue- "i democratici lo metteranno in stato d'accusa". I contentini elettorali per il fronte interno non saranno molti; c'è da aspettare che parta la campagna per le elezioni di novembre, e per lo più i contentini al fronte interno Trump se li è già lasciati alle spalle. Sulle elezioni di metà mandato, in un senso o nell'altro, peserà la politica estera, che conta molto nel bilancio della politica interna ameriKKKana.

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