venerdì 8 settembre 2017

Robert Fisk - In Occidente faranno fatica a crederci: la guerra in Siria sta per finire. E l'ha vinta Assad.



Traduzione da The Independent, 7 settembre 2017.

La settimana scorsa mi è arrivato dalla Siria un messaggio sul cellulare: "Il generale Khadour ha mantenuto la promessa." Sapevo cosa voleva dire.
Cinque anni fa ho incontrato Mohamed Khadour, che all'epoca comandava una truppa poco numerosa di soldati siriani in un piccolo quartiere perfierico ad est di Aleppo minacciato dai combattenti islamici. Mi fece vedere una cartina: in undici giorni, disse, avrebbe ripreso il controllo di quelle strade.
L'ho incontrato di nuovo nel luglio scorso, parecchio più a oriente nel deserto siriano. Disse che prima della fine di agosto sarebbe rientrato nella città assediata di Der ez Zor. Gli ricordai con un pizzico di perfidia che l'ultima volta mi aveva detto che in undici giorni avrebbe ripreso il controllo di quel quartiere di Aleppo, e che poi l'esercito siriano ci aveva messo più di quattro anni. Era molto tempo fa, mi ha risposto. All'epoca l'esercito non aveva imparato come si combatte una guerra di guerriglia; l'esercito era stato addestrato per riprendere il Golan e per difendere Damasco. Adesso ha imparato, invece.
Sicuro che ha imparato. Nel deserto, Khadour mi disse che stavano per bombardare la cittadina di Sukhna: a gran parte del bombardamento avrebbero pensato i russi; poi i suoi soldati siriani avrebbero fatto irruzione da Sukhna verso Deir ez Zor, che da tre anni era circondata dallo Stato Islamico insieme a ottantamila civili e diecimila militari. Khadour mi disse che sarebbe arrivato a Der ez Zor il 23 agosto. Si è rivelata una previsione quasi perfetta, e adesso Khadour sta puntando a completare la liberazione di Deir ez Zor e a raggiungere poi la frontiera con l'Iraq.
Insomma, adesso che la conquista della città e stata ultimata, che Khadour si sta dirigendo alla frontiera e che Aleppo è tutta nelle mani dei governativi con solo la provincia di Idlib a fare da cestino dei rifiuti di ribelli per lo più di orientamento islamista (Al Qaeda compresa), autorizzati in molti casi a trasferirvisi da sacche che avevano capitolato in altre città della Siria, sembra che quello che in Occidente si è sempre ritenuto impensabile stia davvero succedendo: le forze di Bashar al Assad sembrano sul punto di vincere la guerra.
E non è che lo sembrano soltanto. Hassan "Tigre" Saleh, il più popolare comandante siriano cui il ministro della difesa russo ha fatto riferimento due volte, si è aperto la strada verso le caserme della centotrentasettesima brigata dell'esercito siriano a Deir ez Zor e ha dato il cambio ai soldati che vi si trovavano; intanto a Khadour, suo ufficiale comandante ed amico personale, spetta la liberazione della base aerea della città.
Quanti ricordano quella volta che gli ameriKKKani hanno bombardato i soldati dell'esercito siriano che si trovavano vicino a quella base aerea, uccidendone più di sessanta e consentendo allo Stato Islamico di tagliarla fuori dal rimanente della città? I siriani non hanno mai creduto alle assicurazioni ameriKKKane che "si era trattato di un errore". Soltanto i russi hanno detto alle forze aeree statunitensi che stavano bombardando soldati siriani dell'esercito regolare.
Gli inglesi sembra abbiano già capito. Senza fare tanto chiasso, hanno ritirato la scorsa settimana i loro istruttori militari, gli uomini che avrebbero dovuto addestrare i mitici "settantamila ribelli" di David Cameron che nelle intenzioni avrebbero dovuto rovesciare il governo di Assad. Persino la relazione dell'ONU secondo cui i governativi avrebbero ucciso oltre ottanta civili in un attacco cin o gas nel corso dell'estate ha avuto poco ascolto presso i politici europei assidui sottolineatori di crimini di guerra, quelli che avevano approvato l'inutile attacco missilistico di Trump su una base aerea siriana.
E lo stato sionista? Ecco un paese che davvero contava sulla fine di Assad, che è arrivato a bombardare i soldati siriani e quelli degli alleati iraniani e di Hezbollah intanto che forniva assistenza medica nelle proprie città a combattenti islamici provenienti dalla Siria. Nessuna meraviglia che Netanyahu fosse così' "agitato" e "emotivo", secondo quanto detto dai russi, quando ha incontrato Vladimir Putin a Sochi. L'Iran è alleato strategico nella regione, gli ha detto Putin. Lo stato sionsita per la russa è "un partner importante". Che non è proprio la stessa cosa, e non è quello che Netanyahu voleva sentirsi dire.
Le ricorrenti vittorie siriane indicano che l'Esercito Arabo Siriano è fra i più temprati del Medio Oriente, che i suoi soldati hanno dovuto combattere per la vita e che adesso vengono addestrati da quartier generali dove un solo comando coordina truppe e servizi di informazione. Questa settimana, l'ex ricercatore associato del St Anthony College Sharmine Narwany ha detto che ormai questa alleanza gode di copertura politica da parte di due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la Russia e la Cina.
Cosa faranno adesso i sionisti? Netanyahu era ossessionato dal programma nucleare iraniano al punto che chiaramente -in buona compagnia con Obama, la Clinton, Trump, Cameron, la May, Hollande e altri appartenenti alla élite politica occidentale- non aveva neppure immaginato che Assad potesse vincere e che dalle macerie di Mossul sarebbe emerso un esercito iracheno più forte.
Netanyahu sostiene ancora i curdi, ma né la Siria, né la Turchia né l'Iran né l'Iraq hanno alcun interesse a sostenere le aspirazioni nazionali dei curdi, nonostante l'AmeriKKKa si avvalga di miliziani curdi nelle cosiddette Forze Democratiche Siriane (che sono più curde che siriane, per nulla democratiche e forze per modo di dire, senza l'appoggio aereo statunitense).
Intanto che stiamo aspettando che Trump scateni la terza guerra mondiale, non abbiamo notato che la cartina militare del Medio Oriente è cambiata. Cambiata radicalmente, cambiata sanguinosamente. Ci vorranno anni prima che la Siria, l'Iraq -e lo Yemen- vengano ricostruiti, e i sionisti potrebbero trovarsi a dover chiedere a Putin di toglierli dal pasticcio in cui sono finiti.
Gli appartenenti alla destra politica dello stato sionista che andavano dicendo che Assad era più pericoloso dello Stato Islamico potrebbero trovarsi a doverci ripensare, anche solo perché Assad potrebbe essere il signore con cui dovranno conferire se vogliono tenere sicura la frontiera settentrionale del loro paese.

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