venerdì 30 dicembre 2016

Ernesto Ferrara: "Firenze, assessori da un tweet al mese: la giunta annaspa nella rete"? E chi se ne frega.



I contenuti veicolati dalla "libera informazione" non cessano di stupire per ebefrenia, improponibilità, inutilità e capacità di generare irritazione. Il loro vacillante -per non dire nullo- rapporto col reale rischia addirittura di diventare un problema tra tanti altri.
A fine dicembre 2016 avendo meno idee del solito su come far giornata (che è tutto dire) un certo Ernesto Ferrara sull'edizione fiorentina di "Repubblica" è andato a contare cinguettii e ciance sul Libro dei Ceffi della giunta comunale cittadina, occupandosi nei dettagli di nomi, cognomi e contenuti e dando di piglio anche a qualche tabella comparativa.
A sentir lui lo stesso borgomastro avrebbe fatto presente a tutti questi signori la necessità di impegnarsi maggiormente su questo fronte, come se la messe di quisquilie prodotte quotidianamente non fosse già abbastanza.
Il Libro dei Ceffi è un'autoschedatura.
E un'autoschedatura per mediocri, cui si uniscono delatori, falliti, buoni a nulla e cialtroni di ogni genere.
Il Cinguettatore? Neppure quello.
Rifiutarsi di avervi a che fare, il non ottemperare all'autoschedatura obbligatoria di ogni propria faccenda non è certo un demerito agli occhi delle persone serie, propense invece a considerare degno di derisione e disprezzo il comportamento opposto. Lo è di sicuro agli occhi dei gazzettieri, costretti a reperire notizie altrimenti invece che rimanersene stravaccati in qualche locale climatizzato.  

sabato 24 dicembre 2016

Difendiamo i valori del Natale cristiano!


Perizoma raso e pon pon.
Sei euro nella bottega dietro casa.
A gennaio quattro, con lo sconto.

mercoledì 14 dicembre 2016

Alma K., minerali del Mar Morto. Invito al non acquisto.



La popolazione "occidentale" a stragrande maggioranza non ha mai fatto una fila per il pane, non ha mai sentito il suono di una sirena di allarme, ha accesso ad acqua potabile e servizi igienici ventiquattro ore al giorno ed è solitamente ipernutrita.
A sentire gazzette e pubblicità, a causa di tutto questo vive malissimo.
Così male che ha bisogno di rituali calmanti, di rituali detersivi, di rituali nutrienti "comodamente nella spa (?) di casa". La funzione di sacre specie in questi rituali a dicembre 2016 nelle profumerie di Firenze si vorrebbe delegata tra l'altro a cosmetici con "estratti botanici e minerali del Mar Morto".
Passi per la solita cassettata di balle.
I cosmetici Alma K. vengono dallo stato sionista, e questo invece può anche non passare.

giovedì 8 dicembre 2016

L'Esercito Arabo Siriano alla riconquista di Aleppo. La copertura degli eventi da parte della "libera informazione".


L'antropofago è uscito dalla sua tana.
L'orco della Corsica è appena sbarcato a Golfe-Juan.
La tigre è arrivata a Gap.
Il mostro ha dormito a Grenoble.
Il tiranno ha attraversato Lione.
L'usurpatore è stato visto a 60 leghe dalla capitale.
Bonaparte avanza a grandi passi ma non entrerà mai a Parigi.
Napoleone sarà domani sotto i nostri bastioni.
L'imperatore è arrivato a Fontainebleu.
Sua Maestà Imperiale fa il suo ingresso al palazzo delle Tuileries, in mezzo ai suoi fedeli sudditi.

Titoli su "Le Moniteur", dal 1 al 20 marzo 1815 (in G. Gozzini, Storia del Giornalismo, Milano 2000).

lunedì 28 novembre 2016

Bana Alabed. Dopo le lesbiche di Damasco le bambine di Aleppo?


I nostri lettori ricorderanno senz'altro la vicenda di Amina e delle lesbiche di Damasco oppresse e vessate. Assad, all'epoca non ancora promosso sanguinario dittatore (ma gli mancavano pochi esami), era ancora costretto ad accontentarsi del ruolo di autocrate antipatico dotato di una bella moglie.
In capo a qualche giorno vennero fuori cose tali che si potrebbe allegramente fare il verso a Bruno Lauzi.

Ricordo una volta
di una lesbica a Damasco;
non era lesbica
non era di Damasco
non era nemmeno quella volta lì.

In questi anni avremmo potuto dileggiare un caso simile almeno una volta al mese. Invece la copertura della guerra in Siria compiuta dalla "libera informazione" è sempre stata ai limiti dello sconcio, al punto che abbiamo sinceramente preferito smettere di occuparcene, specie dopo che nel 2012 le liberissime gazzettine "occidentali" sciorinarono gioviali l'abbattimento di un elicottero governativo... ottenuto ruotando una telecamera di novanta gradi.
Nel frattempo le cose sono semplicemente peggiorate, e ci sarebbe stato da stupirsi del contrario.
A metà novembre 2016 l'Esercito Arabo Siriano ed i suoi alleati con l'aiuto di intensissimi bombardamenti russi sistematicamente diretti su ospedali pediatrici, scuole elementari e ricoveri per cagnolini abbandonati hanno ottenuto rapidi e sostanziali successi nella zona di Aleppo.
Per sapiente caso sono gli stessi giorni in cui le gazzette "occidentali" tirano fuori Bana Alabed, una Anna Frank in salsa tahina che a sette anni ha una tale padronanza dell'inglese da utilizzare in modo stringato ed efficace il Cinguettatore (con qualche -diciamo- piccolo aiuto, d'accordo), e che studia tanto assiduamente da far ben sperare in una futura Yoani Sànchez. Peccato non abbia abboccato nessuno e che i commenti che corredano l'articolo (roba da prendere con le molle, visti gli autentici prodigi di bestiale abiezione che è normale rintracciare sul web) vadano dallo scettico al dubbioso passando per l'apertamente canzonatorio. Incredibilmente, a volte ci si imbatte in un limite non oltrepassabile -in una saturazione, diciamo- persino nella diffusa arte del prendere in giro le persone. Il non poterlo ammettere -pena la fine di certe collaborazioni a sette euro al pezzo- porta gli stessi gazzettisti ad equilibrismi strepitosi e rivelatori. 
Un entusiasmante Ettore Gasparri scrive tranquillissimo che
Bana e la madre sono però state più volte, e da più parti, tacciate di aver creato un falso profilo e di aver sfruttato twitter per scopi propagandistici. Ma che il profilo sia falso o vero poca importa. La richiesta di soccorso di Bana, e di molti altri bambini, seppur non affidata ad una bottiglia lanciata nell’oceano, ma a quei 140 caratteri virtuali, va ascoltata. Prima che sia troppo tardi. Prima che quel flebile cinguettio sia messo a tacere per sempre.
Vero o falso poco importa, appunto.

domenica 27 novembre 2016

Franco Berardi - Il mio "no" sociale



Da zeroviolenza.it si riporta uno scritto che espone le ragioni per cui i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana dovrebbero esprimersi in modo contrario alla riforma costituzionale, in una consultazione popolare prevista per il 4 dicembre 2016. Il Primo Ministro in carica sta da tempo propagandando la riforma costituzionale con metodi e parole d'ordine che nulla hanno che le distingua da quelle dei suoi sedicenti avversari, i quali tentarono a loro volta il colpo dieci anni fa, subendo una sconfitta che nessuno oggi sembra ricordare. Il cicaleccio delle "reti sociali" non si accorda affatto con la ponderazione e la memoria, e la cosa è notissima e molto sfruttata dalla propaganda.
Nel caso specifico, i governativi sostengono tra l'altro che l'adesione al parere opposto comporti l'automatica affiliazione alla marmaglia "occidentalista" schierata sulle stesse posizioni, per cui votare come i simpatizzanti di Matteo Salvini renderebbe per contaminazione dei divorziati fannulloni e in sovrappeso incapaci di laurearsi persino in dodici anni. Un'arma propagandistica identica a quella dei ben vestiti respinti dieci anni or sono in circostanze analoghe, e che a tutt'oggi, nonostante le sostanziali disconferme incassate, accusano chi non aderisce prontamente a quanto intenderebbero imporre di coltivare nostalgie inconfessabili.
Ne discende il fatto che è necessario rifiutare le proposte governative non perché si verrebbe a far parte di un certo aggregato, ma nonostante questo.

Nel testo ricorre il nome dello stato che occupa la penisola italiana; ce ne scusiamo come d'uso con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.


All’inizio mi sono detto: perché dovrei votare come il razzista Salvini, o come D’Alema, l’uomo che ha violato l’articolo 11 della Costituzione bombardando la Serbia per ordine dei suoi compari Bill Clinton e Tony Blair e adesso si presenta come difensore della Costituzione repubblicana?
Poi vado a vedere chi mi consiglia di votare SI e trovo un signore che in gioventù fu fascista poi si convertì allo stalinismo perché lo stalinismo stava vincendo, e poi si convertì alla NATO perché lo stalinismo era venuto meno, e poi si converti all’europeismo finanziario e come presidente della Repubblica firmò disciplinatamente i decreti di Berlusconi e i diktat del sistema bancario.
Pensavo di astenermi, a quel punto per non trovarmi in un caso come nell’altro in compagnia di ipocriti mascalzoni.
Poi andai al comizio di Landini, un paio di settimane fa, e Landini mi ha convinto a votare NO. Landini fece notare che il governo Renzi, a parte le velleità di riforma costituzionale, si distingue soprattutto per le sue politiche sociali.
E’ il governo del voucher, cioè della totale distruzione dei diritti del lavoratore, anzi per la cancellazione del lavoratore stesso come persona. E’ il governo che propone ai lavoratori anziani di pagarsi un mutuo in banca (magari la Banca Etruria, vero?) per poter avere la pensione, dopo aver pagato una vita di contributi. Questo è il governo Renzi. Prima cade meglio è.
Dopo avere ascoltato Landini dissi a me stesso: il mio voto non sarà costituzionale né politico, il mio voto sarà sociale.
Sul piano costituzionale mi fido assai più di Stefano Rodotà che di Giorgio Napolitano, naturalmente. E mi pare evidente che l’efficienza della democrazia non dipende dalla abolizione del Senato né dal premio di maggioranza. Queste sono misure che riducono la democrazia, non la perfezionano. Ma per essere del tutto sincero, delle questioni costituzionali me ne importa il giusto, cioè quasi niente.
Non perché io consideri la democrazia una cosa irrilevante ma perché penso che la democrazia è morta, non per effetto di una riforma costituzionale, ma perché cancellata dal potere finanziario e non dall’eccessivo numero dei senatori. Chi dice che la decisione politica deve essere più veloce prende in giro se stesso e gli altri. La decisione politica non dovrebbe essere veloce o lenta: dovrebbe essere coerente con gli interessi della maggioranza della società.
Al contrario la decisione politica è ostaggio della dittatura finanziaria, e poco importa se va veloce o lenta, in ogni caso distrugge la vita sociale per ragioni che non dipendono dalla politica, ma dagli automatismi finanziari di cui la politica è diventata una funzione dipendente.
Dal punto di vista costituzionale la riforma di Renzi e Napolitano è anti-democratica, perché è anti-democratico accelerare i tempi della decisione e aumentare il potere dell’esecutivo. Questo è elementare. Ma io non vado a votare per questioni di tipo costituzionale.
La Costituzione della Repubblica Italiana sarà forse la più bella del mondo, ma è da tempo inoperante.
D’Alema ha violato l’articolo 11, Berlusconi ha violato l’articolo 21 e Renzi ha violato l’articolo 4, e tutti coloro che hanno promosso la riforma neoliberale hanno violato l’articolo 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e continuate voi.
Voterò NO perché occorre fermare la dittatura liberista, la precarizzazione del lavoro e l’impoverimento della società. Occorre fermare il governo Renzi che rappresenta l’efficientismo al servizio della devastazione neoliberista e del sistema finanziario.
Capisco che molti amici (anche amici carissimi della cui intelligenza e buona fede non dubiterò mai) propendono verso il sì per una ragione nobile. Temono il caos, temono di mescolare il loro voto con quello di gentaglia.
Li capisco. Chi ha scelto di spostare la discussione sulla questione (vuota) della democrazia e della Costituzione lo ha fatto perché su questo terreno sperava di vincere, e sbaragliare per sempre ogni resistenza contro la devastazione liberista. Renzi lo ha detto esplicitamente: se vinco il referendum la via della “riforma” è sgombra e più nessuno mi ferma. E sappiamo cosa vuol dire “riforma” nel new-speak neoliberista.
In questo modo Renzi pensava di mettere i cultori del nuovo contro i cultori del vecchio, e in qualche misura c’è riuscito. Molti dicono di votare sì perché hanno la (falsa) percezione di essere dalla parte del rinnovamento contro coloro che difendono la “vecchia” Costituzione. Sarà anche la più bella del mondo, dicono in cuor loro, ma ha settant’anni, meglio una giovinetta anche meno avvenente ma più croccante. Mi dispiace di banalizzare, ma il renzismo è questo: meglio un imbecille nuovo che un vecchio saggio, no?
L’imbecille nuovo tira la carretta con energia e corre dietro alla carota senza farsi troppe domande.
Io non scelgo tra il vecchio e il nuovo. Scelgo tra la stabilità dello sfruttamento precario e della miseria crescente e l’incertezza di un futuro in cui tutto finalmente ridivenga possibile. Scelgo il rischio, per rompere la certezza di un futuro di miseria depressione e di fascismo.

sabato 26 novembre 2016

Sull'assoluzione di Jalal el Hanaoui, con tanti saluti a Paolo Ermini del "Corriere Fiorentino"


A luglio 2015 ci occupammo brevemente di Jalal el Hanaoui, che si ritrovò insignito dello scomodo riconoscimento di Islamcattivo del Mese, caricato di accuse e scaraventato in galera tra lo scagnare delle gazzette.
Il signor Hanaoui è stato assolto in primo grado già da un pezzo, dopo aver fatto essenzialmente da cavia per tutte le nequizie repressive che il sistema giudiziario dello stato che occupa la penisola italiana e la sua gendarmeria sono in grado di escogitare quando puntano qualcuno che gli sta antipatico pescandolo di solito -e ormai da molti anni- in quella spettacolosa autoschedatura per buoni a nulla che è il Libro dei Ceffi.
In sede giudiziaria e lontano dal pontificare dei fogliettisti le sfortunate cavie vedono per lo più cadere o derubricare ogni accusa. Su casi simili esiste una letteratura ormai consistente anche dal punto di vista divulgativo, che si cura anche di trattare la "libera informazione" col disprezzo che essa merita. La racolta di atti, sentenze e casi che raccontano vicende di questo genere pubblicata da Carlo Corbucci è uscita nel 2012 in una versione ampliata che sfiora le 1800 pagine.
Comunque, anche in questo caso le gazzette se ne sono accorte con molta calma.
La "libera informazione" risaputamente non va mai oltre il più mercato / più galera; abbiamo sottolineato questo punto fino ad esasperare di chi legge. A Firenze essa schiera capogazzettieri come Paolo Ermini, che sul Corriere Fiorentino del 26 novembre 2016 statuisce che la sentenza
segna un drastico contrasto con i sentimenti di un’opinione pubblica ancora sconvolta dalla catena di stragi rivendicate dal terrorismo islamico
laddove la suddetta opinione pubblica, alluvionata ogni giorno proprio dalle quisquilie autoreferenziali dei paoloermini, ha dato invece amplissima prova di aver metabolizzato istantaneamente tutto quanto. Ancora più rivelatrici le righe con cui Ermini conclude il proprio piagnisteo:
il verdetto paventa il timore di una confusione tra i valori dell’Islam e la predicazione terroristica. È una preoccupazione che si addice più al dibattito politico che non a un processo.
Quando ci sono di mezzo dei signori nessuno anche le basi elementari dell'assetto giuridico in vigore, che poi è parte sostanziale di quella "civiltà occidentale" che i gazzettieri dicono di difendere a spada tratta, possono tranquillamente essere messe in discussione.
Una conferma spicciola dei predicati della "libera informazione", la stessa che da un anno all'altro ha pubblicato corsivi, elzeviri, ciance e contumelie in cui si tacciava di terrorista chiunque la deridesse come meritava, o dubitasse delle sue certezze, prima tra tutte quella che statuiva la pericolosità dell'arsenale atomico, batteriologico e chimico di Saddam Hussein...

domenica 20 novembre 2016

Stefano Esposito contro il centro sociale torinese Askatasuna


Questo ben vestito ha l'espressione da potenziale acquirente del Colosseo che hanno spesso i massimi esponenti della politica rappresentativa.
Si chiama Stefano Esposito, ed abbiamo già avuto occasione di deriderlo un po'.
Nel novembre 2016 ha trovato da ridire su una presentazione libraria in programma in un centro sociale torinese.
Come abbiamo già fatto in altre occasioni (in un caso in risposta ai piagnistei di un prèside fiorentino, in un altro per deridere un sovrappeso sedicente esperto di storia contemporanea), ci impegniamo ad acquistare immediatamente il volume oggetto dell'iniziativa che ha tanto irritato costui e a redarne quanto prima una recensione: si tratta di "L'egemonia digitale. L'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro", ed il suo autore è Renato Curcio.
A fronte degli Stefano Esposito, le persone serie non possono reagire che comportandosi in maniera esattamente opposta a quella da loro auspicata.

sabato 19 novembre 2016

Referendum del 4 dicembre 2016. Matteo Renzi invia una lettera ai residenti all'estero



Nel novembre 2016 molti sudditi dello stato che occupa la penisola italiana dimoranti all'estero avrebbero ricevuto una lettera "personale" da parte del Primo Ministro in carica.
Il 4 dicembre si tiene infatti una consultazione referendaria in cui si chiede all'elettorato di approvare modifiche costituzionali di una certa portata.
Come operazione di propaganda appare meno che mediocre, sia nel merito che nei toni, come andremo a vedere confutando riga per riga le asserzioni del Primo Ministro. Nel testo ricorre per forza di cose più volte il nome dello stato che occupa la penisola italiana; ce ne scusiamo come d'uso con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.


Cara italiana, caro italiano.
Incipit promettente: unisce la correttezza politica ad un appellativo che è uno stigma.
nessuno meglio di voi, che vivete all’estero, sa quanto sia importante che il nostro Paese sia rispettato fuori dai confini nazionali. Nessuno meglio di voi sa quanto sia importante che si parli di noi per la nostra capacità di lavorare, per la nostra creatività, per la nostra intelligenza.
Chi vive fuori dai confini "nazionali" ha ovviamente tutt'altre preoccupazioni, se è dovuto emigrare. E spesso non ha nessuna voglia di curarsi delle sorti di una realtà cui ha voltato le spalle. Temi come quelli qui accennati possono toccare solo i sedicenti expat, un aggregato di fanciulle in fiore e giovinastri dalle tasche piene andati a far danni lontano dall'ambiente di ogni giorno. Dove spesso non trovavano collocazione esclusivamente per proprio demerito.
Ma nello stesso tempo, nessuno meglio di voi ha provato sulla propria pelle il fastidio, o addirittura la mortificazione di sentire, sull’Italia, risolini di scherno, accompagnati dai soliti, umilianti luoghi comuni.
Tra tutti, uno, durissimo a morire. Quello per cui siamo un Paese dalla politica debole, che si perde in un mare di polemiche. Un Paese instabile, che cambia il presidente del Consiglio più spesso di un allenatore della Nazionale. E tra noi, ahimè, possiamo dircelo: questo luogo comune non è così distante dalla realtà.
Lo stato che occupa la penisola italiana ed i suoi sudditi rappresentano l'unico caso unico al mondo in cui i luoghi comuni corrispondono perfettamente alla realtà; quando si è i primissimi responsabili della propria sorte c'è poco da sentirsi infastiditi, mortificati o umiliati. A dimostrare la pefetta correlazione tra luogo comune e realtà è lo stesso Primo Ministro, che smentisce immediatamente se stesso ricorrendo a metafore pallonare, pallonesche e palloneggianti. Che i sudditi del "paese" dove mangiano spaghetti riducano al pallone ogni aspetto del vivere è cosa troppo nota perché ci sia bisogno di insistere. Logico, quasi genetico, che anche il Primo Ministro non riesca a spingersi oltre.
In questi due anni e mezzo di Governo ho visitato moltissimi stati e ho provato ogni volta, con tutte le mie forze, a dare dell’Italia un’immagine diversa.
A raccontare dei successi degli italiani del mondo, a promuovere le nostre bellezze, a sponsorizzare la capacità di innovazione dei nostri giovani.
Del pallone si è già detto. Ora tocca all'immagine. Tra una pallonata e l'altra, si gira per il mondo puntellando un'immagine che si vorrebbe, e soprattutto che si vorrebbe presentare, come identica alla realtà. I sedicenti avversari del boiscàut di Rignano si sarebbero espressi in modo identico.
La capacità di innovazione dei giovani? La propaganda mediatica e le gazzettine governative non mostrano altro che startup, cioè gente alla disperata ricerca di quattrini, e mangioteche di ogni genere.
E si tratta appunto di propaganda mediatica e di gazzettine governative, il che rende la cosa ancora più grave.
Ma soprattutto, in ogni viaggio all’estero, ogni volta che ho sentito risuonare l'inno di Mameli con voi, ogni volta che ho incrociato i vostri sguardi orgogliosi, ogni volta che sono riuscito a stringervi le mani, ho sentito fortissimi l’onore e l’emozione di rappresentare il Paese che noi tutti amiamo.
Qualcosa non torna: il Primo Ministro fa finta di non sapere che quella marcetta dal testo incomprensibile è sempre stata parte dei problemi, e fa anche finta di non sapere che le persone serie sono di solito allergiche a mani sul cuore e drappi sventolanti, buoni al massimo per qualche filmetto statunitense.
Dalla prima volta, a Tunisi, nel marzo di due anni fa, fino all’ultima, alla Casa Bianca, dove il Presidente Obama scegliendo di dedicare all’Italia la sua ultima cena di stato, ha compiuto un gesto di straordinaria attenzione. E lo ha rivolto non al nostro governo, ma al nostro Paese.
L’Italia, dicevamo, ha un enorme bisogno di essere rispettata all’estero. E in questi anni qualcosa è finalmente cambiato. Ne sono fiero e felice.
A tenere insieme tutta questa lettera di propaganda è proprio il ripercorrere quei luoghi comuni che il Primo Ministro dice di voler combattere. Difficile soprattutto pensare che Matteo Renzi abbia attraversato in maniera morigerata tutti questi impegni istituzionali. Un'occhiata alla sua stazza è conferma più che sufficiente.
Tra i predecessori di costui si conta uno straricco che ha fondato un partito politico per non essere scaraventato in galera come un biscazziere qualsiasi, la cui vicinanza era considerata imbarazzante persino dai suoi commensali "occidentali". Logico che per ottenere un miglioramento percettibile bastasse toglierlo di mezzo in qualsiasi modo... salvo adottare una linea politica sostanzialmente identica.
Ma non sono soddisfatto. Dobbiamo fare di più, tutti insieme.
Un professore delle medie che rampogna uno di quegli allievi "che ha i mezzi ma non fa quanto potrebbe" non userebbe vocaboli diversi, ad eccezione del plurale nel secondo periodo.
Cosa dovrebbero fare, tutti insieme? Forse andare a cena al ristorante, una delle poche iniziative che le gazzette governative non considerino ancora in odor di sovversione?
È vero, l’Italia non è più considerata il problema dell’Europa e il prossimo appuntamento del G7 nella magnifica Taormina, ci darà un’occasione per condividere i nostri valori umani, civili e solidali. 
Per non parlare del catering.
Ma dobbiamo continuare a migliorarci, come le vostre storie ci insegnano.
Il Primo Ministro conosce uno per uno tutti i sudditi che vivono al di là dei confini. Tutte storie encomiabili, prive di qualunque macchia ed all'insegna di una capacità di iniziativa e di un coraggio a tutta prova.
Non uno che se ne sia tornato a casa alla svelta, e con le pive nel sacco.
E allora la riforma costituzionale su cui siete chiamati a votare, è un altro tassello per rendere più forte l'Italia.
Certamente: le migliaia di sudditi che mettono insieme il pranzo con la cena addannandosi chissà come e chissà dove ne saranno senza dubbio toccati in prima persona.
Qualcuno dice che si tratta di tecnicismi, che non incidono realmente sulla vita del Paese. Tutt'altro. Con questa riforma, superiamo finalmente il bicameralismo paritario, un sistema legislativo che esiste solo in Italia, e costringe ogni legge ad un estenuante ping-pong tra Camera e Senato. Anni per approvare una legge, quando il mondo, fuori, corre veloce. Con questa riforma superiamo il doppio voto di fiducia al governo, da parte di Camera e Senato, che ha dato al nostro Paese il record mondiale di instabilità (63 governi in 70 anni).
Non si tratta affatto di tecnicismi, ma di una riforma che incide realmente sulla vita del "paese" riducendo sostanzialmente una rappresentatività politica già di molto ridotta a furia di sorridenti "asticelle" e "sistemi maggioritari". Il sistema politico dello stato che occupa la penisola italiana è nato da una guerra di liberazione, ad opera di individui adusi a ristrettezze, studi assidui, morigeratezza e senso di responsabilità che la politica di rappresentanza "occidentale" non conosce più nemmeno per sentito dire. Il mondo fuori corre veloce? Lo si lasci correre: la fretta è sempre una pessima consigliera. Ping pong, record mondiale... Stiamo parlando di riforme costituzionali o di roba vista alla televisione in un sabato pomeriggio qualsiasi?
Questa riforma, definendo le competenze tra Stato e Regioni, mette fine all’assurda guerra tra enti pubblici che ogni anno si consuma in centinaia di ricorsi alla Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale è lì apposta. Se le tocca lavorare, pazienza; i sudditi se ne faranno una ragione.
Questa riforma riduce finalmente poltrone e costi della politica (315 stipendi in meno in Parlamento, stipendi abbassati ai consiglieri regionali, abolizione dei rimborsi pubblid per i gruppi regionali), elimina enti inutili come il CNEL (1 miliardo di spesa per zero leggi approvate), aumenta la maggioranza necessaria per eleggere il Presidente della Repubblica, garantisce più poteri alle opposizioni. E tutto questo senza toccare i poteri del Presidente del Consiglio, né alcuno dei «pesi e contrappesi» che garantiscono l’equilibrio tra i poteri dello Stato.
Matteo Renzi scrive nero su bianco che la "riforma" riduce persino il residuale democratismo ad un simulacro di quello che è, e promette nomi ulteriormente grigi e ancor più insignificanti per la carica di Capo dello Stato. Tutto per inseguire il mondo che va veloce, si presume.
Deve fare molto affidamento sulla cortina fumogena dello stile retorico dello scritto, mutuato senza alcun cambio di registro dagli avversari del giorno prima. Quelli dell'Inglese, Internet e Impresa, tanto per dirne una.
Per decenni tutti hanno promesso questa riforma, ne hanno discusso in tv e sui banchi del Parlamento, hanno riempito i giornali e più recentemente i social network. Ma si sono dimenticati di realizzarla. Adesso la riforma c’è, ha superato sei letture parlamentari e ora dipende dal voto dei cittadini. Sì, anche dal vostro.
Sarete voi a decidere se questa Italia deve continuare ad andare avanti oppure deve tornare indietro. Sarete voi a decidere se dire sì al futuro oppure se rifugiarsi nell’attuale sistema, talmente burocratico da non avere nessun paragone in Europa.
Matteo Renzi omette di ricordare il fatto che nel 2006, l'ultima volta che i sudditi sono stati graziosamente chiamati ad esprimersi su questioni del genere, si sono espressi negativamente e senza mezzi termini. Senza che questo influisse sulle successive sorti delle formazioni politiche "occidentaliste" che avevano avuto l'idea di modificare l'assetto costituzionale del "paese" e cui i sudditi riconoscevano la legittimità necessaria per accanirsi contro i bersagli via via designati dalla propaganda (proprio come oggi) ma non quella di prendersi certe libertà.
Non ci fu alcuna dimenticanza, detto in poche parole. I tentativi di "riforma" seguirono l'iter che dovevano seguire, e vennero stroncati dall'elettorato.
Il tutto, con buona pace delle "letture parlamentari".
Tra dominatori e dominati esisteva, ed esiste a tutt'oggi, un abisso.
Persino i sudditi dell'epoca, che avevano assegnato agli "occidentalisti" maggioranze rilevanti, percepirono l'importanza di mettere dei limiti perentori a manovratori che si presentano come parte delle soluzioni quando sono, nel migliore dei casi, parte dei problemi.
In queste circostanze anche il burocratismo che li intralcia acquista aspetti virtuosi. La partecipazione alla vita politica rappresentativa non può in efffetti che consistere nel consentire a sedicenti statisti ed altrettanto sedicenti "sostenitori del cambiamento" di fare meno danni possibile.
Oggi possiamo dimostrare all’Italia e al mondo che noi ci crediamo davvero. Che la storia dell’Italia è meravigliosa e noi possiamo rendere migliore anche il suo futuro.
Oggi siamo a un bivio. Possiamo tornare ad essere quelli di cui all’estero si sghignazza, quelli che non cambiano mai, quelli famosi per l’attaccamento alle poltrone e le azzuffate in Parlamento. Oppure possiamo dimostrare con i fatti chefinalmentc qualcosa cambia, e che stiamo diventando un Paese credibile e prestigioso.
Ci date una mano? Basta un sì.
Pare di capire che dopo aver fatto appello alle migliori energie disponibili con appelli ai ggggiovani e quant'altro, in fin dei conti Matteo Renzi si accontenterebbe, come si sono accontentati tutti quanti, di una crocetta su una scheda elettorale. Una crocetta che taumaturgicamente dovrebbe sancire la meraviglia della storia "nazionale" e portare ad un ancor più meraviglioso futuro.
Chissà cosa ne penserebbero coloro che di queste meraviglie hanno fatto le spese, a cominciare da chi ha sperimentato le gioie delle prime coscrizioni obbligatorie per finire alle vittime delle maramaldesche "esportazioni di democrazia" cui i politici del "paese" dove mangiano maccheroni si sono uniti con tanto entusiasmo.
Non siamo affatto ad un bivio: nelle realtà normali si continuerà a sghignazzare, nella penisola italiana si continuerà a non cambiare -specie in nome di cambiamenti in peggio- e lorsignori continueranno a rimanere attaccati alle poltrone e ad azzuffarsi in parlamento, perché riforme nonostante esso è rimasto un'ottima e fedele rappresentanza dei sudditi e dei loro "valori", dal momento che chiunque abbia un minimo di rispetto per se stesso evita ormai da decenni di avere a che fare con la politica rappresentativa.
Incredibile che con simile materiale umano e con una simile storia alle spalle, che imporrebbero un contegno sobrio e defilato in ogni "contesto internazionale" a cominciare dalla bocciofila di San Marino, qualcuno venga ancora a raccontare cose che tirano in mezzo credibilità e prestigio.
No.

domenica 13 novembre 2016

12 novembre 2016: Matteo Salvini a Firenze


Un gruppo piuttosto nutrito di persone serie ha percorso le vie del quartiere di Santa Croce nelle stesse ore in cui Matteo Salvini (un divorziato in sovrappeso che non è riuscito a laurearsi neppure in dodici anni) concionava a beneficio di una piazza gremita di ultrasettantenni rastrellati da tutta la penisola e sottratti a probabilissime e meritate attestazioni di disprezzo da un doppio cordone di gendarmi.
Non è cosa nuova che gli "occidentalisti" possano uscire dalle mangioteche, dai salotti e dai fondi commerciali in cui sono tollerati in città solo grazie alla gendarmeria, ma va ricordato che in quest'occasione è stato un "partito" apertamente secessionista da oltre trent'anni a far tutelare l'incolumità dei suoi ben nutriti esponenti e dei suoi rancorosi sostenitori dalle stesse forze armate del "paese" che giura di voler smembrare. Agli occhi di chi proviene da realtà normali si tratta di uno dei moltissimi dati di fatto che rendono la vita politica del "paese" dove mangiano spaghetti una cosa difficile da comprendere e ancor più difficile da prendere sul serio.
Secondo un certo numero di osservatori discretamente infiltrati in piazza Santa Croce i fiorentini presenti erano l'infima minoranza e per lo più riconducibili alle greppie "occidentaliste" più involute, all'angolo da decenni e solitamente oggetto di aperto disprezzo da parte dei concittadini, non fosse che per il fatto che a Firenze chi vuol far politica "occidentalista" si iscrive da sempre al Partito Democratico.
Le elezioni presidenziali statunitensi vinte da uno straricco caricaturale -anch'egli perfettamente rappresentativo- hanno dato fiato alla marmaglia "occidentalista" venuta a sporcare Firenze per un mezzo pomeriggio e più che propensa a far propri slogan e propaganda di derivazione yankee; qualcuno ha osato sventolare addirittura bandiere a stelle e strisce, cosa che a Firenze pone automaticamente dalla parte del torto a prescindere dalle consegne della manifestazione.


domenica 6 novembre 2016

5 novembre 2016: a Firenze centinaia di persone in piazza contro la propaganda governativa


All'inizio di novembre 2016 a Firenze si tiene un'assemblea filogovernativa; su eventi del genere, ripetuti nella stessa sede nel corso degli anni, il boiscàut di Rignano sull'Arno ha basato molto del suo operato propagandistico.
Il problema è che il "partito" di Matteo Renzi non è più distinguibile da nessun punto di vista ed in nessun punto programmatico da quello dei suoi sedicenti avversari. Non pochi di costoro -ivi compreso lo strepitoso Denis Verdini che i nostri lettori ricorderanno come ideatore de "Il Giornale della Toscana"- hanno cambiato casacca appena le cose si sono messe male, secondo lo stile che rende i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana oggetto di logico ed abituale scherno da parte dei politici e dei privati cittadini che fanno capo a compagini più serie.
Per garantire la riuscita dell'iniziativa propagandistica dei governativi la gendarmeria ha vietato un corteo di protesta. Una prassi poco consueta a Firenze dove centinaia di cortei hanno percorso il centro storico per decine di anni e dove ancora si ricorda sghignazzando lo scagnare orgiastico che la stessa feccia "occidentalista" oggi salita sul carro di Matteo Renzi pur di continuare a frequentare ristoranti levò all'epoca del Social Forum del 2002.
I risultati non potevano essere che quelli desiderati dai governativi: manifestanti contro gendarmeria antisommossa, in uno spettacolo ottimo per le televisioncine. L'identità assoluta con i partiti "occidentalisti" ha finalmente messo anche i simpatizzanti -e soprattutto le simpatizzanti- del Partito Democratico in condizioni di poter legittimamente esprimere preoccupazioni per le vetrine del centro. L'atteggiamento è sempre lo stesso: le manifestazioni, i cortei e soprattutto gli scontri con la gendarmeria vanno bene, anzi, benissimo... purché avvengano a Tehran.
I filogovernativi hanno passato la giornata a picchiettare sui ciarlòfoni e a cinguettare e a pubblicare ciance sul Libro dei Ceffi intanto che facevano finta di ascoltare una successione di oratori; l'argomento principale delle discussioni era un corpus di modifiche costituzionali volto a rendere il residuale democratismo meno fastidioso possibile per il manovratore, presentato con i pretesti del risparmio e della semplificazione. In sostanza si pretende che una costituzione nata da una guerra di liberazione e da una generazione adusa agli allarmi aerei, alle tessere annonarie ed allo studio assiduo e diligente venga modificata ed emendata da esponenti di una generazione e di un gruppo sociale che non ha mai saltato un pasto in vita propria e che ha frequentato più discoteche che librerie. Un'iniziativa sul cui merito, sulle cui modalità e sulla cui liceità qualunque persona seria può esprimere fondati dubbi.
La foto in alto correda articoli di gazzetta dell'estate 2015: Matteo Renzi garantiva "pieno sostegno" a Recep Tayyip Erdogan, un signore che in materia di modifiche costituzionali può senza dubbio costituire un ottimo modello. Si noti che nonostante si viva nell'epoca del fotoritocco indiscriminato le redazioni continuano a scegliere con estrema cura gli scatti che ritraggono Renzi, mettendone ogni volta in luce l'espressione acuta e determinata.

martedì 1 novembre 2016

Architetto Lucia Cardamone


Gentile Proprietario sono interessata all'immobile in vendita nel suo stabile!
Se fosse il suo mi chiami:
Architetto Cardamone Lucia
3913934355

Un biglietto surreale, trovato (neppure per la prima volta) nella cassetta della posta di uno stabile in cui tra l'altro nessuno vende un bel nulla.
Cognome prima del nome, come nei verbali della gendarmeria o nei registri delle scuole elementari.
Chissà dove si crede di andare Lucia Cardamone pescando a traina con questi sistemi. Almeno certi inutili elegantoni dei mezzani di pigione -pardon, delle agenzie immobiliari, quelle che vorrebbero togliere di mezzo le case e che si parlasse invece di soluzioni abitative- rischiano di persona, quando appostano i parenti di qualche anziano al ritorno dal funerale.
Che sia alla canna del gas, anche lei?
Di sicuro è sulla rotta giusta per finire a far compagnia ad angeli e trasclochi.

No, architetto Cardamone.
Non ti chiamo.
Ma solo perché non ci sono immobili in vendita, dico sinceramente.
Davvero.

domenica 30 ottobre 2016

Alastair Crooke - La fine della crescita economica diffonde lo scontento per la globalizzazione


Le false promesse delle élite mondiali sull'economia liberista, presentata come panacea per tutti i mali grazie al suo elisir di crescita perenne, aiutano a spiegare i movimenti nazionalisti arrabbiati che stanno mandando in pezzi la politica occidentale, pensa l'ex diplomatico britannico Alastair Crooke.

Da Consortium News, 14 ottobre 2016

Raul Ilargi Meijer è un esperto editorialista economico ed ha scritto, in modo stringato e provocatorio, che
E' finita. Il modello su cui le nostre società si sono basate almeno per tutto il tempo in cui siamo vissuti è arrivato alla fine. Ecco perché esistono i Trump.Non c'è nessuna crescita. Non c'è da anni una vera crescita. Ci sono soltanto i vuoti ed insignificanti, ottimistici numeri dei mercati borsistici di Standard and Poor, drogati da uno stracciato costo del denaro e dai buyback, e datori di lavoro che nascondono ai lavoratori indicibili quantità di denaro. E soprattutto esiste il debito, pubblico o privato che sia, che è servito a mantenere in vita una crescita illusoria; le possibilità di ricorrervi sono sempre meno, adesso.  
I falsi dati sulla crescita servono ad una cosa soltanto; servono a far sì che la massa lasci i potenti in carica sulle lore comode poltrone. Solo che sono sempre riusciti ad opporre il velo di Oz agli occhi altrui tante e tante volte; ora, quelle tante volte sono finite.
Ecco il perché dei Trump, delle Brexit, dei Le Pen e di tutto il resto. Basta, fine. Tutto quello che ci ha fatto da guida per tutta la nostra esistenza ha perso la direzione e ha perso potenza.
Meijer scrive poi:
Siamo nel bel mezzo del più importante mutamento globale degli ultimi decenni, per certi aspetti addirittura degli ultimi secoli; una rivoluzione vera e propria, che continuerà a rappresentare il più importante fattore impattante sul mondo nei prossimi anni. Nonostante quello, non mi pare che nessuno ne faccia parola. La cosa mi ha sorpreso.Il mutamento di cui sto parlando è la fine della crescita economica mondiale, che porterà inesorabilmente alla fine dei processi centralizzati, globalizzazione compresa. Comporterà anche la fine della maggior parte delle istituzioni internazionali, soprattutto di quelle più potenti.
Sarà la fine anche per quasi tutti i partiti politici tradizionali, rimasti per decenni al governo nei rispettivi paesi e già oggi ai livelli record di impopolarità. Se non avete idea di cosa sta succedendo, date un'occhiata qui in Europa!
Non è questione di cosa vogliono questo o quello, o questo o quel gruppo. Sono in gioco forze ben al di là del nostro controllo, la cui grandezza e la cui portata va oltre la nostra opinione, nonostanti si possa trattare di fenomeni costruiti dall'uomo.
Un sacco di persone più o meno intelligenti si stanno rompendo la testa per cercare di capire da dove vengano Trump e la Brexit e Le Pen e tutti questi spaventosi individui e fenomeni e partiti nuovi. Arrivano a formulare teorie incerte e di piccola portata che chiamano in causa gente anziana, gente impoverita razzista e bigotta, gli stupidi, quelli che alle elezioni si sono sempre astenuti, ogni genere di individui.
Solo che nessuno sembra capire o comprendere davvero. E questo lascia stupiti perché non è che la questione sia così difficile. Tutto questo succede perché la crescita è finita. E se finisce la crescita finiscono anche l'espansione e la centralizzazione, in tutta la loro miriade di varietà e di forme.
Più avanti Meijer scrive:
La dimensione globale intesa come prima forza trascinante è finita, il paneuropeismo è finito, e il fatto che gli Stati Uniti continueranno a rminaere tali è tutt'altro che un dato scontato. Stiamo andando verso un movimento di massa favorevole a decine di paesi e di stati separati, e di società che guardano al passato. E tutte si trovano ad affrontare un qualche problema incombente di un qualche genere.Quello che rende la situazione così difficile da affrontare per chiunque è che nessuno vuol prendere atto di nulla di tutto questo. Esattamente dagli stessi luoghi da cui vengono i Trump, la Brexit e i Le Pen arrivano storie di amara povertà.
Il fatto che il baraccone politico, economico e mediatico sforni ventiquattr'ore su ventiquattro e sette giorni su sette messaggi positivi sulla crescita può anche costituire una parziale spiegazione del perché manchino consapevolezza e riflessione, ma si tratta di una spiegazione parziale. Il resto è dovuto a come siamo fatti noi stessi: pensiamo di meritarla, la crescita a tempo indeterminato.

La fine della crescita

Insomma, la crescita economica globale è finita? Raul Ilargi parla un po' all'ingrosso perché ci sono anche esempi di crescita economica in cui non c'è stata alcuna contrazione, ma è chiaro che gli investimenti basati sul debito e sulle politiche di bassi tassi di interesse si stanno rivelando sempre meno efficaci nel risultare in crescita economica o in aumento degli scambi, e a volte non lo sono per niente. Tyler Durden di ZeroHedge scrive:
"Dopo quasi due anni di programmi centrati sul quantitative easing i dati economici nella zona euro rimangono molto deboli. Come spiega il GEFIRA l'inflazione è ancora attorno allo zero e il PIL della zona euro ha inziato a rallentare invece di accelerare. Secondo i dati della Banca Centrale Europea, per creare un euro di crescita di PIL occorrono diciotto euro e mezzo di quantitative easing... Quest'anni la BCE ha emesso quasi seicento miliardi nell'àmbito del programma per l'acquisto di titoli (il quantitative easing)."
Le banche centrali possono anche produrre e stampare denaro, ma questo non significa creare ricchezza o acquisire potere d'acquisto. Incanalando il credito creato verso gli intermediari delle banche a garanzia dei prestiti verso i loro clienti di favore le banche centrali garantiscono potere d'acquisto ad un determinato gruppo di soggetti; questo potere d'acquisto deve per forza venire da un altro gruppo di soggetti europei (nel caso della BCE, arriva dai cittadini) che vedranno ridurre il proprio potere d'acquisto e la discrezionalità con cui potranno spendere il proprio reddito.
L'erosione del potere d'acquisto non è del tipo più ovvio: non esiste una grossa inflazione e tutte le principali valute si stanno svalutando più o meno di pari passo; inoltre le autorità intervengono periodicamente abbassando il prezzo dell'oro, cosicché non esiste alcun segnale evidente per cui le persone possano capire fino a che punto arriva la perduta di valore di tutte le valute.
Anche il commercio mondiale sta sofferndo, come spiega in termini piuttosto eleganti Lambert Strether di Corrente. "Si torna alle spedizioni. Mi sono messo a seguire le spedizioni... un po' perché è divertente, ma soprattutto perché le spedizioni hanno a che fare con beni concreti, e seguire i percorsi delle merci mi è sembrato un modo molto più interessante di toccare con mano il funzionamento dell'economia; senz'altro più delle statistiche economiche, per tacere di tutti i libri di cui quelli di Wall Street parlano un giorno sì e l'altro pure. E non mi fate parlare di Larry Summers.
Quello che ho notato è che c'era un declino. E non si trattava di piccoli passi indietro seguiti da balzi in avanti, ma di un declino vero e proprio andato avanti per mesi e alla fine per un anno intero. Declina il trasporto ferroviario, persino quando le merci sono grano e carbone, e declina la domanda di vagoni. Declina il trasporto su ruota, e con esso la domanda di camion. Il trasporto aereo se la passa male. I porti del Pacifico non saranno affollati di merci sotto Natale. E adesso è arrivato anche il fallimento di HanJin, con tutti quei capitali fermi nelle navi alla fonda e coperto per solo dodici miliardi di dollari o qualcosa del genere, e l'ammissione generale che forse noi abbiamo investito un pochettino troppo in grandi navi e grandi imbarcazioni, il che significa -credo- che dobbiamo spedire molte meno merci di quello che pensavamo, almeno via mare.
Nel frattempo, in apparente contraddizione rispetto al lento collassare del commercio mondiale ed anche all'opposizione ai "trattati commerciali" uno dei pochi settori trainanti dell'immobiliare è quello dei magazzini, e la gestione delle catene di distribuzione è un campo esaltante. Un campo pieno di sociopatici fuori da ogni limite, e dunque dinamico ed in crescita!
Ecco, le statistiche economiche sembra dicano che non c'è nulla che non va. I consumatori sono il motore dell'economia e sono fiduciosi. Ma alla fin fine le persone hanno bisogno di beni perché si vive in un mondo materiale, anche se si è convinti di star vivendo a modo proprio. Un bel rompicapo. Io vedo una contraddizione: si muovono meno merci, ma i numeri dicono che va bene così. Ho ragione su questo? Allora, devo pensare che i numeri non sono significativi, ma le merci sì."


Un elisir fasullo

In altre parole, se vogliamo essere ancor più falsamente empirici come nota Bloomberg in A Weaker Currency is no longer the Elixir, It Once Was, "le banche centrali di tutto il mondo hanno tagliato i tassi di interesse per 667 volte dal 2008 in poi, secondo Bank of America. Nel corso di questo periodo le prime dieci valute agganciate al dollaro sono crollate del quattordici per cento e le economie del G8 sono cresciute in media dell'uno per cento appena. Secondo Goldman Sachs dalla fine degli anni Novanta un deprezzamento del dieci per cento al netto dell'inflazione nelle valute di ventitré economie avanzate ha spinto le esportazioni nette soltanto dello zero virgola sei per cento del PIL. Come raffronmto, c'è l'uno virgola tre per cento del PIL dei due decenni precedenti. Gli scambi commerciali tra gli USA e gli altri paesi sono passati a tremilasettecento miliardi di dollari l'anno nel 2015 dai tremilanovecento che erano nel 2014."
Fine della crescita, fine della globalizzazione. Su questo è d'accordo persino il Financial Times, il cui editorialista Martin Wolf scrive in The tide of Globalisation is turning: "Il meno che si possa dire è che la globalizzazione si è fermata. Si potrebbe tornare perfino indietro? Certamente. Occorre che le grandi potenze siano in pace... E' importante che la globalizzazione si sia fermata. Certamente."
La globalizzazione si è davvero fermata. Ma non a causa delle tensioni politiche, che sono un comodo giustificativo, ma perché la crescita è fiacca e questa debolezza è il risultato di una provata concatenazione di fattori che ne hanno causato l'arresto, oltre che del fatto che siamo entrati in una fase di deflazione che sta drasticamente contraendo quanto è rimasto del reddito disponibile al consumo per le spese a discrezione. Wolf ha comunque ragione. Inasprire le tensioni con Russia e Cina non risolverà i problemi del sempre più debole controllo ameriKKKano sul sistema finanziario mondiale, anche se la fuga dei capitali verso il dollaro potrebbbe far passare un fugace momento di rialzo al sistema finanziario statunitense.
Cala il sipario sulla globalizzazione. Ma cosa significa realmente questa espressione? Indica la fine del mondo finanziarizzato costruito dal neoliberismo? Difficile dirlo. Ma nessuno si aspetti rapidi dietrofront, e tantomeno delle scuse. La grande crisi finanziaria del 2008 all'epoca fu vista da molti come ultimo atto del neoliberismo. Ma le cose non sono andate così: anzi, il periodo di tagli e di austerità che seguì inasprì la sfiducia nello status quo ed aggravò la crisi che ha le sue radici nella diffusa opinione che "la società" in generale stia andando nella direzione sbagliata.
Il neoliberismo dispone di solide basi, non da ultimo nella troika europea e nell'eurogruppo che fanno gli interessi dei creditori e che grazie alle regole dell'Unione Europea sono arrivati a dominare la politica finanziaria e fiscale dell'Unione.
E' troppo presto per capire da dover arriverà la sfida all'ortodossia prevalente sul piano economico, ma in Russia esiste un aggregato di eminenti economisti che si sono riuniti nel gruppo Stolypin e che sta levando un nuovo interesse verso Friedrich List, il vecchio avversario di Adam Smith morto nel 1846, che sviluppò un "sistema nazionale di politica economica." List antepose gli interessi della nazione a quelli dell'individuo. Mise in risalto l'idea di nazione ed enfatizzò le particolari necessità di ogni nazione secondo le circostanze in cui essa si trova, soprattutto in rapporto al suo grado di sviluppo. List è noto per aver dubitato della sincerità delle invocazioni al libero mercato che arrivavano dai paesi sviluppati, con particolare riguardo al Regno Unito. In sostanza fu il primo no global.


Il dopo globalizzazione

Il pensiero di List potrebbe ben adattarsi alla corrente tendenza post-globalizzazione. La presa d'atto di List della necessità di una strategia industriale a livello nazionale e il suo ribadire il ruolo dello stato come garante finale della coesione sociale non sono cose cui sta flebilmente dietro soltanto una manciata di economisti russi. Si tratta di concetti che stanno facendo il loro ingresso nel discorso politico corrente. Proprio il governo May, nel Regno Unito, sta rompendo con il modello neoliberista che ha guidato la politica britannica dagli anni Ottanta in avanti; ed è una rottura che va verso un approccio alla List.
Sia come sia, che questo modo di vedere le cose torni in auge o meno, il docente e filosofo politico britannico molto attento ai fenomeni contemporanei John Gray ipotizza che la cosa stia in questi termini:
Il riaffermarsi dello stato è uno dei punti su cui il tempo presente si distanzia dai "tempi nuovi" pronosticati da Martin Jacques e da altri osservatori negli anni Ottanta. All'epoca sembrava che le frontiere nazionali stessero liquefacendosi e che si fosse prossimi all'instaurazione di un mercato libero globale. Io non ho mai trovato credibile questa prospettiva.Esisteva un'economia globalizzata prima del 1914, ma si basava sulla mancanza di democrazia. La mobilità di capitali e di forza lavoro priva di qualsiasi controllo può anche impennare la produttività e produrre ricchezza su una scala senza precedenti, ma ha anche un impatto fortemente distruttivo sulla vita dei lavoratori, specie quando il capitalismo entra in una delle sue crisi periodiche. Quando il mercato globale attraversa un brutto quarto d'ora il neoliberismo finisce nella spazzatura perchè si deve venire incontro ad una diffusa richiesta di certezze. Oggi, questo è quanto sta accadendo.
Se la tensione fra capitalismo globale e stato nazionale è stata una delle contraddizioni del thatcherismo, il conflitto tra globalizzazione e democrazia è stato la nemesi della sinistra. Da Bill Clinton a Tony Blair in poi il centrosinistra ha abbracciato il progetto del libero mercato globale con lo stesso ardente entusiasmo dimostrato dalla destra. Se la globalizzazione colpisce la coesione sociale, occorre riplasmare la società perché faccia da puntello al mercato. Il risultato? Ampi settori della popolazione sono stati abbandonati a marcire nella stagnazione o nella povertà, in qualche caso senza alcuna prospettiva di trovare un ruolo produttivo nella società.
Se Gray ha ragione ad affermare che quando l'economia globalizzata passa un brutto momento la gente esige che lo stato presti attenzione alla situazione economica dei loro paraggi, del loro paese e non alle utopistiche preoccupazioni della élite accentratrice, se ne deve concludere che la fine della globalizzazione comporta anche la fine della concentrazione della ricchezza in tutte le sue manifestazioni.
Ovviamente l'Unione Europea, che è un simbolo di questa asociale concentrazione, dovrebbe fermarsi un momento e riflettere. Scrive Jason Cowley, editorialista del New Statesman orientato a sinistra: "In ogni caso... comunque lo si voglia chiamare, [l'arrivo dei "tempi nuovi"] non porterà ad una rinascita della socialdemocrazia: sembra che in parecchi paesi occidentali stiamo invece entrando in un periodo in cui i partiti di centrosinistra non riescono a formare maggioranze di governo perché hanno perso suffragi in favore di nazionalisti, populisti e di alternative più radicali."


Il problema della delusione

Torniamo adesso all'affermazione di Ilargi secondo cui "Siamo nel bel mezzo del più importante mutamento globale degli ultimi decenni... non mi pare che nessuno ne faccia parola. La cosa mi ha sorpreso", cui Ilargi stesso risponde che in fin dei conti questo silenzio è dovuto a noi stessi, che "pensiamo di meritarla, la crescita a tempo indeterminato."
Ilargi ha ragione a pensare che in qualche modo questo costituisca una risposta alla visione, cara al cristianesimo, del progresso inteso come processo lineare (in questo caso materiale, più che spirituale). Ma in termini più pragmatici, la crescita non è il fondamento di tutto il sistema globale finanziarizzato dell'Occidente? Non è la crescita economica che doveva "liberare gli 'altri' dalla loro condizione di povertà"?
Si ricorderà che Stephen Hadley, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente degli USA George W. Bush, ha detto chiaramente che gli esperti di politica estera dovrebbero prestare molta attenzione al crescente risentimento diffuso, che "la globalizzazione è stata un errore", e che "le élite hanno condotto [gli USA] come dei sonnabuli verso una situazione pericolosa".
Hadley ha affermato che "queste elezioni presidenziali non sono soltanto un referendum su Donald Trump; riguardano i motivi di scontento verso il nostro sistema democratico e il modo in cui intendiamo affrontarli... Chiunque vinca, dovrà affrontare questa situazione."
In poche parole, se la globalizzazione apre la strada allo scontento, la mancanza di crescita economica rischia di minare tutto il progetto finanziarizzato globale. Secondo Stiglitz tutto questo era evidente già da una quindicina d'anni; appena un mese fa ha scritto che già allora aveva individuato "una crescente opposizione, nei paesi in via di sviluppo, verso le riforme favorevoli alla globalizzazione. All'apparenza era un fenomeno strano, perché alla gente dei paesi in via di sviluppo era stato raccontato che la globalizzazione avrebbe fatto aumentare il benessere generale; perché in così tanti si mostravano ostili nei suoi confronti? Come può un fenomeno che a detta dei nostri leader politici e di molti economisti avrebbe fatto vivere tutti meglio incontrare un tale disprezzo? A volte si sente dire da qualche economista neoliberista, paladino di queste politiche, che le persone vivono davvero meglio, solo che non lo sanno. Questo loro scontento è materia per psichiatri, non per economisti."
Ora, questo scontento di nuovo genere a detta di Stiglitz si è esteso anche alle economie avanzate. Forse è a questo che Hadley si riferisce quando afferma che "la globalizzazione è stata un errore." La globalizzazione sta oggi minacciando l'egemonia finanziaria ameriKKKana, e dunque anche la sua egemonia politica.

domenica 23 ottobre 2016

Risoluzione UNESCO (Sessione 200, oggetto 25 "Palestina occupata")


Nell'ottobre 2016 una risoluzione dell'UNESCO  condanna le politiche coloniali e violente dello stato sionista contro i siti sacri islamici a Gerusalemme e in Cisgiordania. La propaganda sionista ha immediatamente iniziato a scagnare di mostruosità senza precedenti contro i legami ebraici con il cosiddetto Monte del Tempio, come se il testo della risoluzione li negasse. Dal momento che in tutto il mainstream nessuno si è preso la briga di dare una guardata a cinque miserabili foglietti in inglese, la cagnara sionista ha avuto campo libero come al solito. Le argomentazioni sono sempre le stesse, sempre più autoreferenziali e sempre più ridicole nel loro prescindere da qualunque contatto con la realtà dei fatti: chiunque osi contraddire la הַסְבָּרָה‎‎ non può che essere un nostalgico dei campi di sterminio, e tanto basti.
La politica istituzionale ed il mainstream si sono immediatamente adeguati all'imperativo dei propagandisti; non resterebbe che assolvere al facilissimo compito di schierarsi dalla parte opposta, senza neppure curarsi troppo di indagare la natura della questione.
Le persone serie tuttavia non amano i sistemi tipici della
feccia da pallonaio; è meglio dunque soffermarsi sul testo della risoluzione, qui riproposto, ed arrivare poi con tutta calma alle relative conclusioni.
L'utilizzo delle espressioni "Israele" e "Stato d'israele" al posto di quella -usuale in questa sede- di "stato sionista" è nel testo originale.


Da Zeitun.info.


Traduzione da http://www.globalist.it/world/articolo/207146/unesco-ecco-il-testo-integrale-della-risoluzione-quot-palestina-occupata-quot.html [con alcune modifiche e correzione dei refusi da parte dei redattori di Zeitun].

Testo originale : http://unesdoc.unesco.org/images/0024/002462/246215e.pdf

Di seguito il testo della risoluzione “Palestina Occupata”, approvata dalla commissione dell’Unesco con 24 voti favorevoli, 6 contrari e 26 astensioni

Voti a favore: Algeria, Bangladesh, Brasile, Chad, Cina, Repubblica Domenicana, Egitto, Iran, Libano, Malesia, Marocco, Mauritius, Messico, Mozambico, Nicaragua, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Russia, Senegal, Sud Africa, Sudan e Vietnam.

Voti contrari: Estonia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti.

Astenuti: Albania, Argentina, Cameron, El Salvador, Francia, Ghana, Grecia, Guinea, Haiti, India, Italia, Costa d’Avorio, Giappone, Kenya, Nepal, Paraguay, Saint Vincent e Nevis, Slovenia, Korea del Sud, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Togo, Trinidad e Tobago, Uganda e Ucraina.

Assenti: Serbia e Turkmenistan.

Comitato Esecutivo

Sessione n. 200

Commissione programma e relazioni esterne (PX)

Oggetto 25: PALESTINA OCCUPATA

Discussione

Proposta da: Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan

IA Gerusalemme

Il comitato esecutivo,

    1. Avendo esaminato il documento 200EX/25,

    2. Richiamandosi alle quattro disposizioni della convenzione di Ginevra (1949) ed ai relativi protocolli (1977), alle regolamentazioni del Tribunale dell’Aia in territori di guerra, alla convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (1954) ed ai relativi protocolli, alla Convenzione sui mezzi per proibire ed impedire l’importazione, l’esportazione ed il trasferimento illegale di beni culturali (1970) e alla Convenzione per la protezione del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale (1972), all’inserimento della Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura tra i siti Patrimonio Culturale dell’Umanità (1972) e tra i siti del Patrimonio a Rischio (1982), oltre che alle raccomandazioni, risoluzioni e decisioni dell’UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale, così come alle risoluzioni e decisioni dell’UNESCO in riferimento a Gerusalemme, richiamandosi anche alle precedenti risoluzioni UNESCO in materia di ricostruzione e sviluppo di Gaza ed alle risoluzioni UNESCO relative ai siti palestinesi di Al-Kahlil/Hebron e Betlemme,

    3, Affermando l’importanza che Gerusalemme e le sue mura rappresentano per le tre religioni monoteiste, affermando anche che in nessun modo la presente risoluzione, che intende salvaguardare il patrimonio culturale della Palestina e di Gerusalemme Est, riguarderà le risoluzioni prese in considerazione dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e le risoluzioni relative allo status legale di Palestina e Gerusalemme,

    4, Condanna fermamente il rifiuto di Israele di implementare le precedenti decisioni UNESCO riguardanti Gerusalemme, in particolare il punto 185 EX/Ris. 14, sottolineando come non sia stata rispettata la propria richiesta al Direttore Generale di nominare, il prima possibile, un rappresentate permanente di stanza a Gerusalemme Est per riferire regolarmente quanto riguarda ogni aspetto di competenza UNESCO, né lo siano state le reiterate richieste successive in tal senso;

    5. Condanna fortemente il mancato rispetto da parte di Israele, potenza occupante, della cessazione dei continui scavi e lavori a Gerusalemme Est ed in particolare all’interno e nei dintorni della Città Vecchia, e rinnova la richiesta ad Israele, la potenza occupante, di proibire tutti questi lavori in base ai propri obblighi disposti da precedenti convenzioni e risoluzioni UNESCO;

    6. Ringrazia il Direttore Generale per gli sforzi compiuti nel cercare di rendere effettive le precedenti risoluzioni UNESCO per Gerusalemme e nel cercare di mantenere e rinnovare tali sforzi;

IB Al-Aqsa Mosque/Al-Ḥaram Al-Sharif e dintorni

IB1 Al-Aqsa Mosque/Al-Ḥaram Al-Sharif

    7. Chiede ad Israele, la potenza occupante, di ripristinare lo status quo precedente al settembre 2000, in base al quale il dipartimento giordano “Awqaf ” (Fondazione religiosa) esercitava senza impedimenti autorità esclusiva sulla moschea Al-Aqsa/Al-Haram Al-Sharif ed il cui mandato si estendeva a tutte le questioni riguardanti l’amministrazione della moschea Al- Aqsa/Al-Haram Al-Sharif, inclusi il mantenimento, il restauro e la regolamentazione degli accessi;

    8. Condanna fortemente le sempre maggiori aggresioni israeliane e le misure illegali nei confronti dell’ Awqaf e del suo personale, e nei confronti della libertà di culto e dell’accesso dei musulmani alla loro moschea santa Al-Aqsa/Al-Haram Al-Sharif, e chiede ad Israele, la potenza occupante, di rispettare lo status quo storico e di porre fine immediatamente a dette misure;

    9. Deplora fermamente le continue irruzioni di estremisti israeliani di destra e delle forze armate alla moschea Al-Aqsa/Al-Haram Al-Sharif, e sollecita Israele, la potenza occupante, a mettere in atto le misure necessarie a prevenire violazioni provocatorie che non rispettino la santità e l’integrità della Moschea Al-Aqsa/Al-Haram Al-Sharif;

    10. Denuncia fermamente le continue aggressioni israeliane nei confronti dei civili, tra cui figure religiose e sacerdoti islamici, denuncia l’ingresso con la forza nelle varie moschee ed edifici storici del complesso Al-Aqsa/Al-Haram Al-Sharif da parte di funzionari israeliani, compresi quelli delle cosiddette “Antichità Israeliane” [IAA, l’autorità israeliana delle antichità, che dipende dal ministero della Cultura. Ndtr], l’arresto ed il ferimento di musulmani in preghiera e di guardie dell’Awqaf, e chiede ad Israele, la potenza occupante, di porre fine a queste aggressioni ed agli abusi che alimentano le tensioni sul terreno e tra le religioni;

    11. Disapprova le limitazioni imposte da Israele all’accesso alla Moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif durante l’Eid Al-Adha del 2015 e le conseguenti violenze, e chiede ad Israele, la potenza occupante, di cessare ogni sorta di abusi contro la Moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif;

    12. Condanna fermamente il rifiuto di Israele di concedere visti agli esperti UNESCO incaricati del progetto UNESCO presso il “Centro per i Manoscritti Islamici” di Al-Aqsa /Al-Ḥaram Al-Sharif, e chiede ad Israele di concedere il visto agli esperti UNESCO senza alcuna restrizione;

    13. Condanna i danni provocati dalle forze di sicurezza israeliane, specialmente a partire dall’agosto 2015, alle porte e finestre della Moschea al-Qibli all’interno del complesso Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif, e a tale proposito riafferma l’obbligo da parte di Israele di rispettare l’integrità, l’autenticità ed il patrimonio culturale della moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif, come stabilito dallo status quo tradizionale, in quanto sito islamico di preghiera e parte del patrimonio culturale mondiale;

    14. Esprime la propria profonda preoccupazione per il blocco israeliano ed il divieto di ristrutturare l’edificio della porta di “Al-Rahma”, una delle porte della moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif, e sollecita Israele, la potenza occupante, a riaprire tale porta e porre fine agli ostacoli posti per la realizzazione dei necessari lavori di restauro, per poter riparare i danni apportati dalle condizioni meteorologiche, specialmente dalle infiltrazioni d’acqua all’interno delle stanze dell’edificio.

    15. Chiede inoltre ad Israele, la potenza occupante, di consentire la messa in opera immediata di tutti i 18 progetti hashemiti [del re di Giordania. Ndtr.] di ristrutturazione di Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif;

    16. Deplora la decisione israeliana di costruire una funivia a doppio cavo a Gerusalemme Est ed il cosiddetto progetto “Liba House” nella Città Vecchia, cosi come la costruzione del cosiddetto “Kedem Center”, un centro per visitatori nei pressi del lato sud della moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif, la costruzione dell’edificio “Strauss” ed il progetto di un ascensore nella Piazza Al-Buraq “Plaza del Muro occidentale”, e invita Israele, la potenza occupante, a rinunciare ai progetti sopra citati e a fermare i lavori in conformità con i propri obblighi in base alle convenzioni, risoluzioni e decisioni dell’UNESCO;

IB2 La salita alla scalinata “Mughrabi” nella moschea Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif

    17. Ribadisce che la scalinata “Mughrabi” è parte integrante ed inseparabile del complesso Al-Aqsa/Al-Ḥaram Al-Sharif;

    18. Prende atto del sedicesimo verbale di monitoraggio e di tutti i verbali precedenti, insieme alle relative aggiunte preparate dal World Heritage Center, e dei verbali sullo stato di conservazione inoltrati al World Heritage Center dal regno di Giordania e dallo Stato di Palestina;

1. 19. Deplora le continue misure e decisioni unilaterali da parte israeliana in merito alla scalinata, inclusi gli ultimi lavori realizzati alla porta “Mughrabi” nel febbraio 2015, l’installazione di una copertura all’entrata e la creazione di una tribuna di preghiera ebraica a sud della scalinata nella piazza “Al-Buraq, o “piazza del Muro occidentale”, e la rimozione dei resti islamici del sito, e riafferma che nessuna misura unilaterale israeliana dovrà essere presa, conformemente al proprio status e agli obblighi derivanti dalla convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in presenza di conflitti armati.

    20. Esprime inoltre la propria forte preoccupazione riguardo alla demolizione illegale di resti omayyadi, ottomani e mamelucchi, così come per altri lavori e scavi intrusivi attorno al percorso della porta “Mughrabi” e inoltre chiede ad Israele, la potenza occupante, di fermare tali demolizioni, scavi e lavori e di attenersi ai propri obblighi in base alle disposizioni dell’UNESCO menzionate nel paragrafo precedente;

    21. Rinnova i propri ringraziamenti alla Giordania per la sua cooperazione e sollecita Israele, la potenza occupante, a cooperare con il servizio giordano dell'”Awqaf”, in conformità con gli obblighi imposti dalla convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in presenza di conflitti armati, e di agevolare l’accesso al sito da parte degli esperti giordani con i propri strumenti e materiali per permettere l’esecuzione del progetto giordano per la scalinata della porta “Mughrabi” in base alle disposizioni dell’UNESCO e del “Comitato per il Patrimonio Mondiale”, in particolare del 37 COM/7A.26, 38 COM/7A.4 and 39 COM/7A.27;

    22. Ringrazia il direttore generale per l’attenzione riservata alla delicata situazione in oggetto, e le chiede di intraprendere le adeguate misure per permettere la messa in pratica del progetto giordano;

IC Missione di monitoraggio attivo dell’UNESCO nella Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura ed incontro degli esperti UNESCO in merito alla scalinata “Mughrabi”

    23. Sottolinea ancora una volta l’urgenza della messa in pratica della missione di monitoraggio attivo nella Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura;

    24. A questo proposito ricorda la disposizione 196 EX/Dec. 26 che ha deciso, in caso di mancata realizzazione, di prendere in considerazione altri mezzi per garantirne la messa in pratica in conformità con le leggi internazionali;

    25. Sottolinea con forte preoccupazione che Israele, la potenza occupante, non ha rispettato nessuna delle 12 risoluzioni del comitato esecutivo né le 6 del “Comitato per il Patrimonio Mondiale” , che richiedono la realizzazione della missione di monitoraggio nella Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura.

    26. Segnala il continuo rifiuto da parte di Israele di agire in accordo con le decisioni dell’UNESCO e del “Comitato per il Patrimonio Mondiale” che chiedono un incontro con gli esperti UNESCO in merito alla missione di monitoraggio della Città Vecchia di Gerusalemme e delle sue mura;

    27. Invita il Direttore Generale ad intraprendere le misure necessarie per mettere in pratica il succitato monitoraggio in base alla disposizione 34 COM/7A.20 del “Comitato per il Patrimonio Mondiale” , prima della prossima riunione del comitato esecutivo, ed invita tutte le parti in causa ad adoperarsi per agevolare la missione e l’incontro con gli esperti;

    28. Chiede che il verbale e le raccomandazioni evidenziate dalla missione di monitoraggio ed il verbale dell’incontro tecnico riguardante la scalintata “Mughrabi” siano presentati a tutte le parti coinvolte;

    29. Ringrazia il direttore generale per i continui sforzi a sostegno della succitata missione di monitoraggio congiunto dell’UNESCO e delle decisioni e risoluzioni dell’UNESCO in merito;

II RICOSTRUZIONE E SVILUPPO DI GAZA

    30. Condanna gli scontri militari all’interno ed intorno alla Striscia di Gaza e le vittime civili da essi provocati, compresi l’uccisione ed il ferimento di migliaia di civili palestinesi, tra cui bambini, ed il continuo impatto negativo nel campo di competenza dell’ UNESCO, gli attacchi contro scuole ed altri edifici culturali ed educativi, incluse le trasgressioni all’inviolabilità delle scuole dell’ “United Nations Relief” [UNRRA, organizzazione ONU per il soccorso alle popolazioni vittime di conflitti. Ndtr.] e della “Works Agency for Palestine Refugees” in Medio Oriente (UNRWA) [organizzazione dell’ONU che si occupa dei profughi palestinesi. Ndtr.];

    31. Condanna fortemente il continuo blocco israeliano della Striscia di Gaza, che condiziona pesantemente il libero flusso di personale e degli aiuti umanitari, così come l’intollerabile numero di vittime tra i bambini palestinesi, gli attacchi alle scuole e ad altri edifici educativi e culturali, e la negazione del diritto all’istruzione, e chiede ad Israele, la potenza occupante, di porre immediatamente fine al blocco;

    32. Rinnova la richiesta al direttore generale di ripristinare, il prima possibile, la presenza dell’UNESCO a Gaza per poter assicurare la rapida ricostruzione di scuole, università, siti culturali, istituzioni, centri di comunicazione e luoghi di culto che sono stati distrutti o danneggiati nelle successive guerre contro Gaza;

    33. Ringrazia il direttore generale per l’incontro informativo tenutosi nel marzo 2015 sull’attuale situazione a Gaza riguardo alle competenze dell’UNESCO e per il risultato dei progetti condotti dall’UNESCO nella Striscia di Gaza-Palestina, e la invita ad organizzare, al più presto, un nuovo incontro informativo sulle stesse questioni;

    34. Ringrazia inoltre il direttore generale per le iniziative che sono già state portate avanti a Gaza nel campo dell’educazione, della cultura, dei giovani e per la sicurezza dei reporter, ed auspica che continui il coinvolgimento attivo nella ricostruzione dei siti culturali ed educativi di Gaza;

III I DUE SITI PALESTINESI DI AL-ḤARAM AL IBRĀHĪMĪ/TOMBA DEI PATRIARCHI AD AL-KHALĪL/HEBRON E DELLA MOSCHEA BILĀL IBN RABĀḤ /TOMBA DI RACHELE A BETLEMME

    35. Riafferma che i due siti in oggetto, situati ad Al-Khalil/Hebron ed a Betlemme sono parte integrante della Palestina;

    36. Condivide la convinzione affermata dalla comunità internazionale secondo cui i due siti sono importanti dal punto di vista religioso per ebraismo, cristianesimo e islam;

    37. Disapprova fortemente l’attuale prosecuzione di scavi, lavori e costruzione di strade private per i coloni da parte di Israele e di un muro di separazione all’interno della  città vecchia di Al-Khalil/Hebron, che danneggia l’integrità del sito, e condanna il conseguente impedimento alla liberta di movimento e di accesso a luoghi di preghiera. Chiede ad Israele, la potenza occupante, di porre fine a tali violazioni in base alle disposizioni delle importanti convenzioni, decisioni e risoluzioni dell’UNESCO.

    38. Deplora profondamente il nuovo ciclo di violenza, iniziato nell’ottobre 2015, nel contesto di una costante aggressione da parte dei coloni israeliani e di altri gruppi estremisti verso i residenti palestinesi, inclusi studenti, e chiede ad Israele di impedire tali aggressioni;

    39. Denuncia l’impatto visivo del muro di separazione nel sito della Moschea Bilal Ibn Rabaḥ Mosque/Tomba di Rachele a Betlemme, così come l’assoluto divieto di accesso per i fedeli cristiani e musulmani palestinesi al sito, e chiede alle autorità israeliane di riportare il paesaggio all’aspetto originale e rimuovere il divieto di accesso;

    40. Condanna decisamente il rifiuto da parte di Israele di dare compimento alla disposizione 185 EX/Dec. 15, che impone ad Israele di rimuovere i due siti palestinesi dal proprio patrimonio nazionale e chiede alle autorità israeliane di agire in base a tale decisione;

IV

    41. Decide di includere questi argomenti di discussione sotto il titolo di “Palestina Occupata” nell’agenda della 201° sessione, ed invita il direttore generale a sottoporre ad essa un rapporto aggiornato sulla situazione a riguardo.