mercoledì 28 agosto 2013

Sulla via di Damasco


In AmeriKKKa a dieci anni di distanza dal precedente tentativo di export, qualcuno ha ritrovato sull'ultimo pancale del magazzino un po' di democracy avanzata.
E un campioncino di human rights.
Non c'era più un centesimo per il marketing, sicché gli slogan e i cartelloni pubblicitari sono sempre quelli. Tanto né i magazzinieri né il personale amministrativo sanno neppure dove stiano di casa i potenziali acquirenti.
Negli uffici commerciali stanno stampando gli ultimi documenti.
Poi si cercherà di sbolognare 'sta roba ai siriani.

lunedì 26 agosto 2013

La tutela delle minoranze linguistiche e dei "valori occidentali" nella Regione Istriana


L'Istra, Istarska županija, è una contea della Repubblica di Croazia.
Lo stato che occupa la penisola italiana ne controllò per una ventina d'anni il territorio nella prima metà del secolo scorso; due decenni in cui la regione fu sottoposta ad una politica di divorante alienazione culturale. Nel corso della seconda guerra mondiale lo stato che occupa la penisola italiana aggredì il Regno di Jugoslavia ed annesse ulteriori territori, proseguendo senza soluzione di continuità con le politiche su accennate.
La sconfitta in guerra portò a trattati di pace con la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia nata nel frattempo. Tra le altre condizioni i trattati posero la rinuncia ad ogni territorio annesso ed alla pressoché intera Istra.
La propaganda "occidentalista" nello stato che occupa la penisola italiana iniziò nei decenni successivi a costruire e divulgare una narrativa piagnucolosa e vittimista in cui non avevano e non hanno alcun limite le aneddotiche sulle sofferenze patite, mentre venivano con gran cura tralasciati tutti i validissimi motivi che portarono i vincitori a trattare gli sconfitti senza eccessivi riguardi. L'ultima campagna sull'argomento è stata in questa sede oggetto di numerose confutazioni con particolare riguardo al suo dispiegamento nella città di Firenze.
La realtà fiorentina costituisce da molto tempo un ambiente eccezionalmente ostico per le istanze "occidentaliste", e questo caso non ha fatto eccezione. In un contesto in cui soltanto pochi addetti ai lavori (e ancor meno diretti interessati) erano al corrente di cosa fossero le foibe, la propaganda "occidentalista" ha avuto l'unico effetto di insegnare nel dettaglio ai propri nemici un metodo economico e sbrigativo per liberarsi fisicamente dagli avversari politici.
Secondo la propaganda non vi sarebbero stati destino e condizione più infelici di quelli toccati a chi, in Istra, ha osato difendere la lingua e la cultura maggioritarie nello stato che occupa la penisola italiana.
L'assunto è ovviamente falso, come falso, menzognero e deliberatamente manipolato è d'altronde ogni elemento della propaganda "occidentalista"; una permanenza di pochi giorni nella Istarska županija ci ha permesso di riprendere le immagini che seguono, i cui soggetti sono stati d'altronde scelti per sapiente caso tra quelli maggiormente in grado di irritare la marmaglia "occidentalista" e i suoi gazzettieri.
Si tratta per giunta di testimonianze risalenti per l'appunto ai decenni in cui, a sentire gli "occidentalisti", maggiormente avrebbero infierito la repressione e l'alienazione culturale.

Gloria ai compagni caduti per la libertà.
Barbetti Otello (1918 - 6.12.1944) Xillovich Giulio (1926 - 6.12.1944)
Fiorido Antonio (1921 - 6.12.1944) Civitico Italo (1926 - 24.4.1945).

Tomba nel cimitero di Bale, Istra.


Via Matteotti a Rovinj, Istra.

Borbi za slobodu, mir i socijalizam u jedinstvu i bratstvu. Narod, oktobra 1964.
Alla lotta per la libertà, la pace e il socialismo nella fratellanza e unità. Il popolo, ottobre 1964.
Monumento a Vodnjan, Istra.

A questo punto si presenta un altro problema.
L'attenzione degli "occidentalisti" per le questioni storiche o sociali e più in generale per qualsiasi campo dello scibile poco adatto a procurare loro qualche utile immediato è risaputamente labile. Ci siamo premurati dunque di raccogliere anche altre immagini in grado di rassicurare gli "occidentalisti" sul trattamento su cui potrebbero contare in occasione di una più o meno lunga permanenza in Istra.

Pubblicazione in lingua croata fotografata a Šišan. 

Ristorante turistico di Pula.

Femmine poco vestite, spaghetti, pizza.
Anzi, Špageti Napoli e Pizza Vesuvio: solo il meglio del meglio, giustamente smerciato a prezzi di tornaconto.
L'espressione più genuina e costruttiva dei "valori occidentali", che è rappresentata dai maccheroni e dal meretricio, si presenta in Istra diffusa e tutelata in un clima di generale approvazione.

sabato 24 agosto 2013

Alastair Crooke - In Egitto è accaduto l'inevitabile


Articolo pubblicato su Al Monitor il 23 agosto 2013.

E' successo quello che ci si aspettava: il generale Abdel Fattah al Sissi ha massacrato i sostenitori dei Fratelli Musulmani con una tale ferocia che è possibile abbia pensato che i dimostranti, terrorizzati e stroncati psicologicamente, se ne sarebbero tornati a casa con la coda tra le gambe.
Eppure, nulla fa pensare che i Fratelli Musulmani abbiano intenzione di arrendersi. Mentre continuano gli arresti dei rimanenti capi dei Fratelli, la guida di quello che adesso è diventato un movimento nazionale di protesta islamico e populista inizierà a sparpagliarsi e a diffondersi fino a livello della strada; le conseguenze saranno sgradevoli, anche per i copti che erano a fianco di Sissi mentre dichiarava il colpo di stato in atto.
Gli Stati uniti e l'Unione Europea non hanno saputo tenere conto delle forze sul terreno. Hanno sottostimato l'odio viscerale nutrito dallo "stato profondo" -in Egitto e nei paesi del Golfo- verso i Fratelli Musulmani, e la sua ferma determinazione a toglierli di mezzo una volta per tutte. I segnali che questa antipatia stava diventando una componente fondamentale sono stati ignorati; si è preferito considerare il rovesciamento di Morsi come un "rinnovamento della democrazia" -e rassicurare i militari tramite questo linguaggio "imparziale"- e così gli Stati uniti e l'Unione Europea da una parte hanno fatto la figura degli idioti in Medio Oriente, e dall'altra hanno incassato in Egitto il disprezzo di tutti gli schieramenti.
Le conseguenze immediate di quanto successo non sono prevedibili perché la guida della protesta passa a capi della piazza di cui non si sa nulla; si possono comunque identificare alcuni indicatori di quanto attende in futuro l'Islam sunnita. Circa ventisei anni fa iniziò nell'imminenza del ritiro dell'Unione Sovietica dall'Afghanistan un dibattito sul futuro dell'Islam sunnita, e da questo dibattito nacque un'"idea".
I sanguinosi eventi di questa settimana al Cairo ci rimandano senza dubbio direttamente ai tempi in cui questa idea nacque, e all'abbandono da parte dei ranghi più giovani dell'interpretazione dello stato di cose presenti fin qui abbracciata dai Fratelli Musulmani.
L'idea di cui stiamo patrlando si basava sulla convinzione che il piano Sykes-Picot formulato per il Medio Oriente nel primo dopoguerra non sarebbe mai potuto diventare un "contratto sociale" tra popolo e governo. Gli "stati" mediorientali, all'epoca disegnati con tanta cura dalle potenze coloniali, sono andati contro il nucleo stesso del sistema delle credenze condiviso dal popolo, non hanno rispettato la storia e la cultura ed hanno ignorato la demografia. In altre parole, essi non avrebbero mai potuto arrivare ad una vera e legittima "comprensione" tra popoli e governi.
Si è verificata ed è a tutt'ora in essere una rottura del "contratto sociale" morale, evidente sin dagli anni Venti. In questa analisi, una conseguenza di questo è il fatto che i governi nati dal Sykes-Picot possono reggersi solo con la repressione e con la violenza esercitata dai loro apparati di sicurezza. La seconda componente che nutrì il dibattito furono lo shock e l'eccitazione con cui si assisté all'inattesa implosione di una superpotenza mondiale -l'Unione Sovietica- nel corso degli anni Ottanta. Da questa esperienza si concluse ovviamente che le due principali potenze erano comunque vulnerabili perché si erano allargate troppo sia sul piano plitico che sul piano finanziario, cosa che aveva fatto riporre ad esse troppa fiducia nelle illusioni presentate dalla loro narrativa; il venir meno della coesione interna e soprattutto il puro e semplice esaurirsi avrebbe fatto loro perdere la volontà necessaria a reggere l'elaborato meccanismo dell'egemonia globale.
I teorici del pensiero sunnita all'epoca pensarono che all'Unione Sovietica fosse successo qualcosa del genere. Da questo precedente conclusero che un deliberato programma di "vessazione e di esaurimento" condotto contro la potenza occidentale avrebbe avuto in potenza la capacità di far deflagrare le tensioni interne e di esacerbare le contraddizioni insite negli Stati Uniti, e che anch'essi al pari dell'URSS avrebbero dovuto gettare la spugna in Medio Oriente. In questo modo essi prospettarono un piano d'azione destinato a provocare e punzecchiare l'Occidente fino a spingerlo ad una reazione militare eccessiva, sproporzionata ed estremamente costosa in aperta contraddizione alla sua narrativa fatta di benevolenza, libertà e democrazia, e a minarne la coesione tramite uno sfruttamento deliberato delle contraddizioni interne al campo occidentale, mettendo così alla luce la natura illusoria dell'onniscienza statunitense. Una guerra psicologica di questo tipo, si pensò allora, avrebbe finito per portare all'esaurimento e al collasso l'influenza statunitense nella regione. Come corollario, ai musulmani sarebbe stato dato di assistere alla concomitante caduta degli alleati dell'Occidente, ivi compresi l'Arabia Saudita ed i paesi del Golfo.
E' bene che sia chiaro che questa concezione non ha mai previsto la cacciata degli occidentali dal Medio Oriente con l'uso della forza: questa idea è stata abbandonata. Si prevedeva piuttosto che gli Stati Uniti sarebbero stati costretti a voltare le spalle ai loro professati "valori" liberali per darsi invece ad una crescente militarizzazione, esasperando in questo modo le contraddizioni interne alla società statunitense. Gli Stati Uniti avrebbero finito per abbandonare il Medio Oriente perché esauriti sul fronte interno e per l'implosione della loro società.
Questi pensatori hanno previsto con chiarezza le violente convulsioni sociali che sarebbero scaturite da un appropriato utilizzo delle tattiche di "vessazione e di esaurimento" e dai tentativi di opporsi ad esse ricorrendo alla forza militare. Ma avevano anche intuito che il collasso e il crollo previsti avrebbero lasciato spazio politico e geografico per l'emersione di comunità islamiche locali autonome, che in seguito e con una certa grandiosità sarebbero state chiamate "emirati". Queste società islamiche spesso isolate e composite sarebbero sopravvissute, così si pensava, all'epoca dello sbando e dei disordini nella società civile destinata a sfociare nel collasso dello stato-nazione; questi sporadici embrioni di società islamica avrebbero allora potuto fondersi in un'unica e più ampia identità.
A sostegno della loro tesi i pensatori precisavano che la vittoria contro gli stati crociati sarebbe stata raggiunta proprio per mezzo di emirati musulmani separati e privi almeno all'inizio di ogni coordinamento -ma alla fine destinati ad unirsi contro i crociati- piuttosto che per mezzo di una singola forza come quella guidata da Saladino nei suoi ultimi anni. Un colpo d'occhio sul Medio Oriente, Siria, Libano, Sinai, Libia, Yemen... permette di notare senza difficoltà che la fase dell'instaurazione di embrioni di emirati autonomi, secondo quanto previsto dall'idea, è già a buon punto.
Questa idea, in Occidente, è stata chiamata Al Qaeda.Ha ottenuto qua e là una sorta di spuria istituzionalità che di fatto non le compete, perché nel corso del suo sviluppo essa non contava più di duecento o duecentocinquanta appartenenti; il suo pensiero invece ha fatto il giro del mondo. Non è difficile in effetti impadronirsi del concetto di base, e la sua struttura non necessita neppure di una costruzione istituzionale come si pensa in Occidente. E' più una questione di proselitismo che non di edificazione istituzionale intesa in senso occidentale.
Dapprincipio in Medio Oriente furono in molti a vedere in questa concezione la via maestra per liberarsi dalle pastoie dell'egemonia occidentale. Poi però si è verificata in esso una forte controreazione. E il pensiero dei Fratelli Musulmani, che risale alla crisi degli anni Venti, è venuto prepotentemente alla ribalta. Dopo l'undici settembre molti musulmani si sono accorti che l'implosione dell'Unione Sovietica aveva lasciato un'unica superpotenza più forte e più pericolosa. La maggior parte dei musulmani ha pensato che la reazione occidentale all'undici settembre abbia peggiorato ovunque le condizioni dei credenti.
L'idea dei Fratelli Musulmani che si potesse arrivare alla stanza dei bottoni invadendo senza violenza e poco per volta le arterie del potere si è presentata allora come un modo ampiamente accettato per affrontare i gravi problemi della regione. Detto ancora più chiaramente, anche se i movimenti che si rifanno ai Fratelli Musulmani sono stati in aspro disaccordo coi metodi propugnati dall'idea e specialmente con la sua propensione ad accettare i danni collaterali che la sua azione avrebbe causato ai musulmani, ed anche se di contro i simpatizzanti dell'idea hanno sprezzantemente disapprovato i metodi dei Fratelli, entrambe le parti erano d'accordo sulla natura della malattia, che è rappresentata dagli esiti dell'accordo Sykes-Picot, sull'obiettivo ultimo rappresentato dall'instaurazione della legge sacra e sull'emulazione, letterale o virtuale che fosse, delle prime comunità di credenti intese come modello per la società contemporanea.
Questo, fino ad oggi.
Al momento attuale i Fratelli Musulmani sono completamente allo sbando in Egitto ed altrove: la loro dottrina che prevedeva un quieto progredire verso il raggiungimento del potere con la cauta benedizione di un Occidente mezzo riluttante è ridotta in briciole. Dopo l'Algeria, dopo Hamas nel 2006 e dopo il loro spodestamento in Egitto, i Fratellil devono affrontare un coro di "Ve l'avevamo detto: dobbiamo distruggere il sistema e poi ricostruirlo". Con tanquillità, molti giovani e disillusi appartenenti ai Fratelli Musulmani saranno adesso spinti a guardare verso l'idea con altri occhi. Possono benissimo arrivare a convincersi del fatto che Abdallah Azzam e gli altri avessero ragione quando dicevano che gli avamposti e gli alleati dell'Occidente non avrebbero mai lasciato il potere di propria volontà e che Azzam sia stato buon profeta nel prevedere l'imminente collasso degli Stati Uniti e il venir meno della loro influenza. E' chiaro anche che l'idea adesso si sta evolvendo secondo due nuove tendenze: una resta propensa a ricambiare sangue con sangue, l'altra è Ansar al Sharia (i sostenitori della legge sacra), il potere morbido, che si muove con più riguardo per le popolazioni musulmane coinvolte nei conflitti e che predica una maggiore "tolleranza e comprensione" per i musulmani che ricadono sotto il governo degli "emirati".
Quello che colpisce maggiormente, in questo processo di rovesciamento dell'egemonia in cui si passa da una generalmente accettata supremazia della dottrina dei Fratelli Musulmani ad una crescente ma ancora minoritaria identificazione con l'idea -che è poi lo jihadismo salafita, verso il quale negli ultimi due anni l'equilibrio si sta spostando in misura semrpe maggiore- è che circa venticinque anni fa l'Arabia Saudita e i paesi del Golfo sostenevano di proposito gli islamisti contro una superpotenza laica, che era l'Unione Sovietica. Adesso, nel 2013, l'Arabia Saudita è sorprendentemente alleata ai laici e alla sinistra nell'intento di distruggere uno dei filoni maggioritari dell'Islam, che per giunta ha stretti legami con lo wahabismo "autorizzato".
Fin dall'inizio, uno dei principali obiettivi di chi ha aderito all'idea è quello di rovesciare la Casa dei Saud. Se gli Eventi in Egitto condurranno, come fino ad oggi è stato, ad ulteriori sommovimenti nel mondo sunnita, non è improbabile che gli appartenenti all'idea vedranno l'Arabia Saudita scoprire di essersi esposta troppo in Egitto, arrivando a esasperare le contraddizioni interne che minano una sua narrativa di supremazia nel mondo islamico in cui si appoggiano gli islamici in Siria ma se ne appoggia la repressione in Egitto; non è improbabile che la vedranno mostrare segni di esaurimento sottoforma di eccessivi timori nei confronti dei Fratelli Musulmani e della sollevazione araba. Se giungeranno a questa conclusione, è probabile che l'idea suggerirà ai propri simpatizzanti che è adesso il turno dell'Arabia Saudita a fare da bersaglio per le tattiche di "vessazione e di esaurimento".


lunedì 12 agosto 2013

Alma minha gentil, que te partiste


 

Alma minha gentil, que te partiste
Tão cedo desta vida descontente,
Repousa lá no Céu eternamente,
E viva eu cá na terra sempre triste.

Se lá no assento etério, onde subiste,
Memória desta vida se consente,
Não te esqueças daquele amor ardente
Que já nos olhos meus tão puro viste.

E se vires que pode merecer-te
Alguma cousa a dor que me ficou
Da mágoa, sem remédio, de perder-te;

Roga a Deus que teus anos encurtou,
Que tão cedo de cá me leve a ver-te,
Quão cedo de meus olhos te levou.  


Luís Vaz de Camões

domenica 4 agosto 2013

Scene di guerra civile nello stato che occupa la penisola italiana


Il mese d'agosto è durissimo per il giornalame, disposto a tutto pur di chiudere ogni numero. Nel 2013 uno dei molti elegantoni inutili che bivaccano nella penisola italiana invoca per motivi tutti suoi "lo spettro della guerra civile" aiutando molte redazioni a venire a capo di questo angoscioso problema.
La preparazione e la competenza di questi vicegazzettieri in qualsivoglia campo dello scibile ha il pregio di costituire una vera garanzia.
In attesa che qualcuno gli insegni -magari con una dimostrazione pratica- come distinguere un fucile d'assalto da un piatto di fettuccine, avanziamo con l'immagine allegata un'ipotesi di quale sia il concetto "occidentalista" di guerra civile.

sabato 3 agosto 2013

Conflicts Forum sul Medio Oriente di fine luglio 2013


Hassan Rohani, presidente della Repubblica Islamica dell'Iran.

Traduzione da Conflicts Forum.

La prossima e dfficile fase nella repressione dei Fratelli Musulmani in Egitto sta venendo alla luce in questi giorni. Nel caso qualcuno avesse qualche dubbio, il generale Sisi ha detto chiaro e tondo chi è che comanda in Egitto, almeno secondo lui: "Chiedo che venerdi tutti gli egiziani onesti ed affidabili sentano il dovere di uscire (per dimostrare nelle piazze)". "Per quale motivo?" "Devono manifestare per affidarmi il mandato e il preciso impegno di affrontare la violenza e il potenziale terrorismo". Sisi non fa menzione di alcuna carica governativa: chiede soltanto che gli vengano dati, e vengano dati a lui in persona, i poteri per reprimere i Fratelli. Secondo fonti dello stato sionista quando l'amministrazione statunitense ha obiettato ammonendo severamente del rischio di una guerra civile, il generale Sisi è rimasto sulle sue posizioni e ha detto agli statunitensi che ora come ora il non fare niente rappresenta il comportamento più pericoloso.
Anche i Fratelli manifestano in piazza venerdi. Devono capire che questo espone i Fratelli, se non sarà oggi sarà domani, alla vecchia tattica usata da Mubarak di infilare provocatori violenti tra manifestanti altrimenti pacifici, così da fornire al generale Sisi il miglior pretesto di cui ha bisogno per inasprire la repressione. Il fatto che i Fratelli abbiano deciso di fare contromanifestazioni nella stessa giornata, comunque, fa pensare che tra di essi serpeggi la fatalistica convinzione che il prossimo confronto sia comunque inevitabile, in un modo o nell'altro.
Siamo a conoscenza di qualche elemento in più sulla "verità" dei Fratelli circa gli avvenimenti che hanno portato al colpo di stato. A fornirla è Esam al Amin che si è sempre rivelato un narratore affidabile. La sua storia torna indietro fino ai disordini del 2011: l'11 aprile Mohammad bin Zayed (principe ereditario negli Emirati Arabi Uniti) assieme ai capi dei suoi servizi ammonì con decisionen il re saudita che a meno che l'insurrezione popolare non fosse stata prevista e messa in condizioni di non nuocere, nessuna delle monarchie del Golfo sarebbe riuscita a sopravvivere. Lo stesso perentorio messaggio è stato ripetuto tre settimane dopo, al convegno della Comunità degli Stati del Golfo convocato in tutta fretta proprio per diffondere le apocalittiche ammonizioni di bin Zayed. Dall'incontro uscì la decisione di assegnare a bin Zayed e al principe Bandar il compito di mettere in pratica le mosse necessarie. Qualche tempo dopo anche la Giordania si è allineata a questo consesso, mentre ne è stato escluso il Qatar a causa dei presunti legami che lo univano ai Fratelli. Ahmad Shafiq, esponente favorevole a Mubarak e candidato sconfitto alle presidenziali egiziane successivamente trasferitosi negli Emirati Arabi, assunse il compito di stratega e coordinatore; il suo primo compito fu quello di mettere insieme un gruppo di esponenti dello "stato profondo" e di unificare l'opposizione sotto un ombrello laico e liberale. Il finanziatore dell'opposizione è stato il miliardario Sawiri, e con lui gli Emirati Arabi e il Kuwait. A novembre 2012 il piano per rovesciare Morsi destabilizzando il paese e fomentando le proteste popolari era in fase di avanzata messa a punto. Qualche tempo dopo, Bandar avvertì la CIA, che non offrì alcun sostegno ma neppure espresse obiezioni. Secondo altri gli Stati Uniti si sono trovati indecisi tra due istanze inconciliabili, quella di mantenere la stabilità e i loro rapporti con l'esercito e quella di sostenere la democrazia, rimanendo così di fatto inattivi. Fin da subito un elemento chiave nel progetto di Bandar e di bin Zayed era la necessità di neutralizzare qualsiasi obiezione statunitense ed europea al colpo di stato: a sbrigare la faccenda sono stati El Baradei, che ha avuto successo con l'Unione Europea, e Tony Blair, che ne ha avuto un po' meno coi mass media. Ingredienti della manovra destabilizzatrice erano la costruzione di una narrativa in cui i Fratelli Musulmani erano incompetenti ed arroganti -e qui c'era qualcosa da costruire- l'esaurimento coordinato della disponibilità di carburante, i black out, i sondaggi che mostravano il calo di popolarità di Morsi e petizioni populiste nello stile di Avaaz.
Nella visione dei Fratelli Musulmani, perché mai Morsi non avrebbe dovuto reagire? Secondo il ben informato al Amin, Morsi credeva alle rassicurazioni di Sisi e dell'ambasciatore statunitense, e ha pensato che in qualche modo sarebbe riuscito a imbrigliare le forze scatenate contro di lui.
In altre parole, si è comportato da ingenuo.
Non è importante che la narrativa dei Fratelli Musulmani sia più o meno esatta in ogni dettaglio: si tratta della loro verità, è una verità abbastanza plausibile e soprattutto fa pensare esattamente al perché i Fratelli dovrebbero sentirsi sicuri del fatto che gli eventi siano destinati a muoversi verso una repressione sanguinosa. I capi dei Fratelli Musulmani che non sono ancora in stato di detensione stanno con insistenza parlando di restaurazione della legittimità, non tanto per Morsi ma per la legittimità in se stessa (si legga qui). Quello che europei e statunitensi stanno servendo loro è a tutti gli effetti il ritorno allo status quo precedente l'uscita di scena di Mubarak: la legalità per il loro partito, lo status di organizzazione non governativa per il loro movimento... nonché l'accettazione del colpo di stato e più probabilmente alla consuetudine delle elezioni pilotate in stile Mubarak.
Qualunque cosa succeda oggi o nelle prossime settimane, il percorso della situazione politica in Egitto appare ormai fissato. Lo stesso si potrebbe dire della crisi economica: secondo Hassan Heikal, un uomo d'affari egiziano, l'Egitto sta perdendo oggi un miliardo di sterline egiziane al giorno, due miliardi di dollari al mese. Negli ultimi due anni l'Efitto ha perso quaranta miliardi dalle proprie riserve e il suo debito è arrivato a cinquanta miliardi mentre il tasso di povertà -le famiglie che guadagnano meno di due dollari al giorno- resta superiore al 40%. Secondo le stime di Heikal l'Egitto avrebbe bisogno di altri cinquanta miliardi di dollari, oltre alla cifra già coperta dai paesi del Golfo, cui si dovrebbero aggiungere aiuti internazionali per venticinque milardi, e tutto questo solo per sottrarsi alla stagnazione economica. Resta da v edere se gli stati del Golfo saranno dell'idea di addossarsi un impegno tanto gravoso.

Difficile prevedere il corso degli eventi nelle aree popolate dai curdi; tuttavia è importante provarci perché la questone potrebbe fornire alla Turchia il pretesto per intervenire direttamente in Siria contro il Partito dell'Unione Democratica. Se si dovesse arrivare a questo, è probabile che le conseguenze sarebbero di vasta portata. Due ordini di eventi hanno fatto negli ultimi tempi salire alle stelle la tensione. Uno è la sconfitta militare che il Partito dell'Unione Democratica, che è la filiazione siriana del PKK, ha inflitto al Fronte di al Nusra nel nord della siria: al Nusra non controlla più i principali passaggi di frontiera che dividono le aree curde siriane da quelle turche. L'altro è l'annuncio del Partito di alcune, prudenti mosse verso la costituzione di aree curde autonome nel nord della Siria. I politici turchi, primo tra tutti Erdogan, considerano potenzialmente disastrosi entrambi gli eventi. La sconfitta di quella al Nusra che i turchi speravano controllasse il nord est della Siria al posto dei curdi significa che adesso le aree curde della Siria sono contigue a quelle turche e che l'aspirazione all'autonomia dei curdi siriani può diffondersi alla loro controparte turca, causando a Erdogan un grattacapo formidabile in materia di politica interna. Inoltre il Partito dell'Unione Democratica ha strappato il controllo del principale valico di frontiera con l'Iraq al maggiormente filoturco Barsani, aprendo al PKK un passaggio verso l'Iraq. Il Partito dell'Unione Democratica è ai ferri corti con il partito curdo di Barsani e a partire da maggio ne ha arrestato in Siria svariati iscritti. Di particolare rilevanza per Erdogan sono le ripercussioni di tutto questo sul dialogo con Abdallah Ocalan, il leader curdo detenuto. Erdogan non dispone in parlamento dei voti sufficienti a trasformarsi, alla scadenza del mandato da primo ministro che non permette la sua rielezione, a presidente con poteri da repubblica presidenziale, tramite alcune modifiche alla costituzione. Sia i curdi che i turchi pensano che l'unico modo che Erdogan ha per raggiungere lo scopo di emendare la costituzione in senso presidenziale sia quello di far passare la cosa in parlamento, in mezzo ad un pacchetto che comprenda anche le modifiche volute dai curdi in materia di lingua e di educazione come minimo e che nascerebbe da un "processo di pace" con Ocalan che fosse coronato da successo. L'affermarsi di dinamiche separatiste in Siria ed in Iraq potrebbe minare le speranze di Erdogan di rimanere in politica come presidente, una volta esauriti i mandati come primo ministro.
Erdogan si trova davanti ad una serie di sfide: la sua politica in Siria si è in larga parte rivelata frutto di errori di calcolo; il ruolo di caso da emulare e di modello per i Fratelli Musulmani se lo era autoattribuito, e ha subito un rovescio umiliante con i fatti del Cairo; infine, le manifestazioni di piazza in Turchia e l'arrogante risposta che ha fornito ad esse hanno nel minore dei casi fatto sì che cadesse il velo dal suo vero volto, sia in Occidente che in Medio Oriente.

Gli Stati Uniti, lo stato sionista e un Abu Mazen piuttosto isolato tornano al processo di pace. Si tratta di un ritorno al "processo di pace in Medio Oriente", sia pure sotto altre spoglie: è rivelatore che gli Stati Uniti tornino all'approccio dei tardi anni Novanta, con l'AmeriKKKa che cerca di tenere insieme le fila dei negoziati. Se si deve credere a quello che si dice in giro e per quanto incredibile possa sembrare, le persone che stanno mandando avanti questo "nuovo" processo sono le stesse che sono state responsabili di quell'approccio unilaterale alla questione che già condusse al fallimento il processo di pace. Abed Rabbo che fa il negoziatore per Abu Mazen e gli ex appartenenti allo AIPAC Martin Indyk (!) e Rob Malley a braccetto con un generale dei marines in pensione, che come tutte le volte deve assicurarsi che i palestinesi sottostiano alle condizioni in materia di sicurezza. Circola anche in questo caso il solito discorso sionista-statunitense ad asserire che stavolta è tutto differente, che questa volta Netanyahu è "davvero entusiasta" e seriamente intenzionato. Non c'è dubbio che la leadership palestinese non è mai stata più debole o disorganizzata da qualunque punto di vista: Netanyahu sa anche che la maggior parte degli abitanti dello stato sionista non vedranno la necessità di offrire alcuna concessione a palestinesi tanto indeboliti. Perché mai dovrebbero? Lo stato sionista -nell'ottica generalmente diffusa tra i suoi abitanti- sta a guardare intanto che il Medio Oriente si fa a brandelli da solo; i palestinesi sono qualcosa di cui devono occuparsi gli arabi e grazie a Obama lo stato sionista non è mai stato così forte dal punto di vista militare; perché offrire loro qualcosa, a meno che essi non siano puramente e semplicemente pronti ad alzare bandiera bianca?
Tutto questo sa di già visto e gli Stati Uniti ci mettono del loro cercando un'altra volta di rimettere insieme un'alleanza sunnita moderata che protegga lo stato sionista. Non c'è dubbio che è stata questa chimera a pesare molto sul bilancio, quando gli Stati Uniti hanno deciso di "darsi una mossa" dopo il colpo di stato al Cairo e di "affrontare la realtà".

Intanto che l'Unione Europea si prepara ad umiliare la cerimonia per l'insediamento del nuovo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran tenendo la propria rappresentativa entro i limiti del minimo possibile (i diplomatici già presenti in Iran) il Presidente Putin si recherà in visita ufficiale nel paese il dodici agosto, per incontrare il Presidente Rohani. Dopo la perentoria presa di posizione di Putin sul conflitto in Siria, non ci sarebbe da sorprendersi se adesso si esprimesse in modo deciso anche sul nucleare iraniano. La sua visita giunge in un momento in cui il Daily Telegraph (gazzetta conservatrice del Regno Unito) riferisce che gli insorti siriani stanno iniziando a cedere le armi e ad accettare l'offerta governativa di amnistia, e che i profughi stanno iniziando a rientrare nelle loro case nelle aree controllate dal governo. La sensazione che la guerra per cacciare Assad sia fallita e stia per giungere alla conclusione è forte, a Damasco. Se la sensazione si rivelerà esatta, avrà risvolti strategici importanti e altrettanto importanti ne avrà ogni iniziativa seria dedicata a risolvere la questione nucleare iraniana. Se le due questioni arriveranno al culmine contemporaneamente, il Medio Oriente ne sarà scosso. Si prevede che Iran, Iraq e Siria inizieranno il mese prossimo la preparazione tecnica per il gasdotto da dieci miliardi di dollari che deve unire il giacimento di South Pars al mar Mediterraneo: un progetto che se arrivasse allo stato operativo lascerebbe a bocca asciutta Qatar e Turchia. Non è probabile che Putin vorrà tenere questa prospettiva fuori dalla stategia russa in materia di gas e di petrolio, e per la Russia le opportunità commerciali della ricostruzione in siria e gli investimenti nell'asse Iran-Iraq-Siria offrirebbero ottime occasioni, specialmente adesso che l'Europa si è di fatto chiamat afuori dalla partecipazione a questo ricco asse del petrolio e del gas.

venerdì 2 agosto 2013

L'esercito delle dodici scimmie


Secondo la gazzetta che l'ha pubblicata, si tratterebbe di sedicente Esercito di Silvio.

giovedì 1 agosto 2013

Roberto Saviano studioso della Torah. Uno scritto di Baruda.net


Una raffigurazione satirica di Roberto Saviano pubblicata -con molte altre dello stesso genere- sul Libro dei Ceffi.

Roberto Saviano è un signore che da qualche anno si adopera, agevolato in tutto, all'allineamento dell'intero panorama delle gazzette e della politica rappresentativa a posizioni "occidentaliste".
Si è già avuto occasione di scriverne un paio di volte; in un caso ne abbiamo evidenziato le sue competenze in materia di sinologia, in un altro abbiamo espresso un certo numero di obiezioni ad una sua "lettera ai ragazzi del movimento" pubblicata in occasione delle furibonde proteste dell'autunno del 2010 che causarono a Roma danni insignificanti ma pur sempre sufficienti ad agevolare il lavorìo delegittimante dei fogliettisti.
L'estate è una stagione in cui gli argomenti possono scarseggiare, persino nel mare magnum di ciance rovesciate addosso a tutti dalle videogazzette telematiche; Roberto Saviano ha già fornito ampia prova delle sue competenze di sionista di complemento, sicché deve aver pensato che forse era il momento di sfoggiare anche la sua preparazione in campo più propriamente biblico. La cosa ha attirato l'attenzione della blogger Baruda, peraltro già latrice nei confronti di Saviano di una certa disistima, fondata come si vedrà su basi piuttosto solide. Se ne riportano per intero le considerazioni.

Un uomo da 500.000 copie di tiratura (poi se ne son vendute la metà ma questo è un altro discorso), che scrive editoriali letti e commentati in tutto il paese su praticamente ogni argomento, che ha dirette televisive di ore, dove recita (male) la figura del grande intellettuale minacciato…
Anche un uomo di cui in questo blog siamo stati costretti a parlare molto, visto il suo vizio di denunciare per diffamazione se si portano a galla le menzogne che racconta tipo profeta perseguitato, onniscente e soprattutto onnipresente e amico di tutti, Come nella squallida storia sulla telefonata con la mamma di Peppino Impastato, di cui trovate in queste pagine ogni dettaglio, e che è costata un po’ più di reclusione a chi già recluso era [...].
I link per chi non conosce la cosa:
- Peppino Impastato, mamma Felicia e le bugie di Saviano
- Saviano risponde sulla telefonata
- La risposta di Luisa Impastato
- L’intervista di Radio Blackout a Paolo Persichetti
- Amore morboso per le divise
- Saviano perde di nuovo: 2 a 0 per Persichetti! La telefonata con la mamma di Peppino Impastato è un’invenzione
- L’ordinanza di archiviazione
- Non c’è diffamazione

Ed eccolo eh, dopo una probabile insolazione estiva a sfondo religioso!
Dopo Felicia Impastato ora è sbucato un nuovo “amico”… anzi, addirittura una figura di cui probabilmente sente di aver bisogno malgrado i tanti uomini di scorta che ha sempre con lui: il supereroe.
Quindi facciamocele insieme queste due risate, che stavolta son straordinarie.
A voi le parole del grandisssssssimo intellettuale italiano Roberto Saviano ai microfoni di “Sorgente di Vita” (programma dell’Unione delle comunità ebraiche italiane su RaiDue), pubblicate oggi sul sito del Fatto Quotidiano:

“Non ho mai visto Mosè come una una severa figura, la più importante dell’ebraismo, ma l’ho visto quasi come un alleato, una di quelle figure a cui parlare come un amico immaginario [...]I racconti biblici di mio nonno per me sono stati fondamentali. Quando ero bambino, Mosè era davvero un supereroe. Accanto a Batman, Superman, Spiderman, l’Uomo Tigre, c’era Mosè. Lui era il balbuziente che guida un intero popolo, sbaglia di continuo, viene punito sempre per il minimo errore. [...]Ci penso spesso a Mosè e penso spesso a me bambino che guardava a Mosè come qualcuno che, anche se sbagliava, sapeva che poteva farcela e poteva farcela a trovare un senso alle cose”

Chissà poi che scorta poteva averci oh, uno come Mosè!