venerdì 4 gennaio 2013

Viktor Kotsev - La corsa al ribasso in atto in Siria


Traduzione da Asia Times.

Nelle ultime settimane le testimonianze dalla Siria hanno fatto registrare un sensibile cambiamento. Se un mese fa il governo sembrava in rotta su tutti i fronti, la guerra civile sembra aver adesso preso un'altra piega, quella di una corsa al ribasso in cui la vittoria sorride a chi riesce a resistere di più anziché al più forte.
Sia le forze governative che i ribelli stanno affrontando sfide estremamente impegnative, che minacciano seriamente la loro stessa capacità di assolvere alle proprie funzioni, e questo spiega in parte come mai le previsioni dei vari analisti siano tanto divergenti. Intanto che l'inverno avanza e che il tasso delle perdite si impenna (le nazioni Unite le hanno fissate a sessantamila vittime, nel loro ultimo rapporto) sono i civili a pagare il prezzo più alto.
Molti osservatori continuano ad asserire che il governo del Presidente siriano Bashar al Assad sia giunto alle sue ultime battute. jeffrey White, dello Washington Institute for Near East Policy ha di recente predetto che "sembra avere davanti a sé solo poche settimane, prima che sopravvenga il crollo"[1]. Altri fissano questo termine in qualche mese, sottolineando tra le altre cose la gravità della situazione finanziaria.
"L'economia è alla base di tutto", ha detto al Time Magazine un economista siriano in esilio, sostenendo che il crollo del governo Assad dovrebbe avvenire nei prossimi tre o sei mesi (re Abdullah di Giordania si era già espresso in termini simili qualche tempo fa). "Senza servizi, senza corrispettivi, senza soldi non si può far nulla. Se il governo non può più sostenere finanziariamente l'esercito, [i soldati] abbandoneranno i loro posti".[2]
Nel corso degli ultimi mesi i ribelli hanno compiuto un'avanzata significativa: a seconda delle fonti contrillerebbero fra il quaranta ed il settantacinque per cento del territorio del paese. Hanno persio conquistato alcuni sobborghi della capitale Damasco e in varie occasioni sono stati in grado di impedire il funzionamento dei principali aeroporti internazionali del paese.
La debolezza dei governativi è un dato di fatto, ma è solo una delle facce della medaglia. Se Assad è sul punto di fare bancarotta, la maggior parte dei ribelli ha già ceduto, ed ha ceduto ormai da mesi. E' difficile poter amministrare mezza Siria in queste condizioni, cosa che di per sé costa ai ribelli, secondo lo stesso articolo del Time, qualcosa come cinquecento milioni di dollari al mese. Per giunta, non è questo il loro problema più serio.
Esiste un certo numero di rsoconti che indica che le forze governative hanno di proposito abbandonato dei territori facendo poca o punta resistenza. Questo sarebbe stato fatto per accorciare le linee di comunicazione e per tagliare alcune spese, ma anche per far sì che la popolazione potesse giovarsi di quella versione da incubo della libertà che avrebbe comprensibilmente condotto la maggior parte delle persone a scegliere il governo di Assad come il male minore. Con milioni di senzatetto in pieno inverno, la maggior parte dei quali si trova nelle aree controllate dai ribelli, cibo, acqua corrente e combustibile per cucinare che arrivano col contagocce, non è possibile considerare fuori questione un simile scenario.
Cosa ancora più importante, delle testimonianze recenti indicano che gli stessi ribelli potrebbero aver attivamente contribuito a questa situazione. I combattimenti tra fazioni, i saccheggi e le requisizioni arbitrarie sono roba d'ogni giorno in molte località. Aleppo, una ricca città mercantile dove si sono riversati insorti provenienti dalle più povere campagne, può costituire l'esempio più estremo ma non è certamente l'unico. L'inviato del Guardian Ghaith Abdul Ahad ha fornito prove di prima mano di quanto sta succedendo in due dei suoi ultimi scritti.
In un articolo del 28 dicembre 2012, l'inviato ha descritto un brutale comandante ribelle, Abu Ali, che afferma nero su bianco di star affrontando "due nemici, adesso. I battaglioni [ribelli avversari] e le forze governative". Abdul Ahad ha affrontato l'argomento del tentativo di molti civili -le cui abitazioni erano finite sotto il controllo di Abu Ali- di salvare qualcuno dei loro beni, e del trattamento che è stato loro riservato. "Ogni singola casa è stata saccheggiata", grida Abu Ali, "E l'esercito [governativo] non ha mai messo piede in questa zona. Siamo stati noi a saccheggiarle!"[3]
In un altro articolo del 27 dicembre, Abdul Ahad ha descritto in termini più generali come il livello senza precedenti raggiunto in termini di caos e di lotte intestine -cose che egli considera come caratterizzanti la nuova fase in cui è entrata la guerra- abbia finito per fermare l'avanzata dei ribelli ad Aleppo. "Il problema siamo noi", ha detto nel corso di una riunione un giovane combattente. "Ci sono battaglioni di stanza nelle aree liberate che istituiscono posti di blocco e prendono prigioniera la gente... Sono diventati peggio del governo".[4]
Un'altra sfida per i ribelli è rappresentata da quella che l'ex consigliere statunitense per la Siria Frederic Hof ha chiamato "la pillola velenosa del settarismo". Hof ha scritto:
Organizzando e scatenando gli ausiliari shabiha (in gran parte giovani alawiti poveri, coordinati da personale militare in servizio effettivo) il governo di Bashar al Assad ha iniettato il veleno del settarismo nella circolazione sanguigna della nazione... Assad ed il suo esercito personale intendono, in fin dei conti, far capire alle minoranze (specialmente quella alawita e quella cristiana) che soltanto il governo attualmente in carica si frappone tra loro e un successore arabo sunnita che potrebbe scegliere tra le varie opzioni comprese tra l'adozione di un orientamento settario, l'instaurazione della legge islamica e la loro espulsione e massacro. La prontezza con cui elementi di primo piano dell'opposizione hanno abboccato all'esca settaria del governo fa pensare a due possibilità: la prima è che il processo evolutivo durato sessantacinque anni verso la formazione di una cittadinanza siriana e di una unità nazionale sia stato del tutto illusorio; la seconda è che i leader rivoluzionari siriani non abbiano pensato ad immunizzare se stessi ed i propri seguaci contro l'inevitabile adozione di una strategia settaria crudelmente provocatoria da parte del governo.[5]
Non soltanto l'opposizione ha fallito nel rompere l'unità degli alawiti e delle altre minoranze che sostengono il governo, ma sembra che Assad, nonostante la natura settaria della guerra e la spietatezza delle tattiche con cui l'ha affrontata, sia riuscito ad impedire con successo che i sunniti facessero tutti fronte comune contro di lui. Secondo vari resoconti fino ad un terzo della popolazione sunnita, soprattutto nelle città più grandi, sostiene ancora Assad. E' molto difficile determinarne con accuratezza la consistenza numerica e le motivazioni, ma un ribelle siriano con cui Asia Times Online ha conversato di recente ha confermato che lui e i suoi compagni combattono di frequente contro altri sunniti.
Considerazioni come queste hanno spinto l'eminente esperto in questioni siriane all'Università dell'Oklahoma Joshua Landis a predire che "in assenza di un massiccio incremento di interventi esterni, Assad potrebbe essere ancora al suo posto nel 2014". Non è l'unico a pensarla così: l'inviato delle Nazioni Unite Lakhdar Brahimi ha di recente suggerito che il 2013 potrebbe rivelarsi un anno estremamente sanguinoso, ma non decisivo.
Soltanto gli avvenimenti futuri indicheranno chi ha ragione. Per adesso, non c'è alcun segno di un affievolirsi delle violenze, e milioni di siriani continuano a passare inumane sofferenze.


Note.
1. Is the End Near in Damascus?, The Washington Institute for Near East Policy, 21 dicembre 2012.
2. Assad's Cash Problem: Will Syria's Dwindling Reserves Bring Down the Regime?, Time, 21 dicembre 2012.
3. 'The people of Aleppo needed someone to drag them intothe revolution', Guardian, 28 dicembre 2012.
4. Syrian rebels sidetracked by scramble for spoils of  war, Guardian, 27 dicembre 2012.
5. Syria 2013: Will The Poison Pill of Sectarianism Work?, Atlantic Council, 3  gennaio 2013.



Viktor Kotsev è un giornalista ed analista politico.

1 commento:

  1. Il punto è che i ribelli potrebbero vincere anche se non necessariamente sul campo. Anche se abbandonassero ora la lotta, hanno ottenuto l'obiettivo principale: la devastazione e il caos. Una siria debole e devastata sarà di fatto e automaticamente preda del primo invasore organizzato, che sia uno dei miserabili leccapiedi sauditi o una coalizione di maiali euro-Nato (come è avvenuto per la Libia) o persino gli ameri-cani in persona. Comunque complimenti al tribalismo idiota dei musulmani: invece di capire che il peggior musulmano è migliore del miglior non credente, invece di fare semplicemente fronte comune su base religiosa, sono lì a darsele fra loro. Se non è stupidità questa. Andassero a vedere come invece per esempio i sionisti anche di variabilissima estrazione e credo fanno muro fra loro anche se si sbudellerebbero a vicenda, ma agiscono appunto compatti come se il non sionista o persino il non ebreo sia comunque feccia rispetto al loro più grande nemico in casa, ma correligionario.

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