mercoledì 26 dicembre 2012

Repubblica Araba di Siria: ecco come la "libera informazione" ha "documentato" la "strage del pane a Natale".


Da Sibialiria.org uno scritto di Marinella Correggia che testimonia l'intraprendenza, l'obiettività e la professionalità della "libera informazione".
Nello stato che occupa la penisola italiana sono comportamenti che portano diritti all'erogazione di finanziamenti pubblici anziché alla stigmatizzazione ed al disprezzo, il che conferma, caso mai ce ne fosse bisogno, il grado di sovversione cui è giunta in esso ogni manifestazione della vita sociale ed economica.
Il vocabolo che nel linguaggio corrente indica lo stato che occupa la penisola italiana è presente nell'originale. Ce ne scusiamo come d'uso con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.   

 E’ troppo chiedere ai media di analizzare le denunce e i materiali video che ricevono, facendosi le classiche domande: chi, come, se, perché, cui prodest eccetera? Non lo hanno fatto, né in Italia né all’estero, di fronte alla cosiddetta “strage del pane” ad Halfaya, Siria, 23 dicembre: “Mig di Assad uccidono trecento persone mentre in mille facevano la fila per il pane”.
Gli oppositori dell’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra e dei Comitati di coordinamento locali hanno diffuso video che proverebbero un bombardamento dell'aviazione siriana (Mig russi) contro mille civili in coda per il pane ad Halfaya. Perché? Per ritorsione contro l’avanzata dell’opposizione armata, sostengono i media.
Mandare un aereo a massacrare per ritorsione persone inermi affamate e per di più intorno a Natale, sarebbe non solo un atto diabolico ma anche suicida. Quel che ci vuole per tirarsi addosso l’ira armata del mondo, alienandosi anche chi continua a sostenere il negoziato anziché interventi militari.
Tanto più che in Siria e dunque nel mondo infuria quel che l'emittente Russia Today  ha definito guerra chimica delle parole (con governo e gruppi armati a reciprocamente accusarsi dell’uso di armi vietate; ma solo le accuse dei gruppi armati sono tenute per buone). E tanto più che nello stesso giorno arrivava a Damasco l’inviato dell’Onu Lakdar Brahimi per parlare con il presidente Assad.
Eppure le notizie e i video sul 23 dicembre sono ripresi da tutti i media internazionali – e italiani – esattamente nella versione proposta dall’opposizione, senza avanzare dubbi di natura giornalistica sulle “prove video” le quali mostrano molte contraddizioni e nulla rivelano sui colpevoli, né sulla dinamica.
L’unica cosa certa, come per tantissime immagini e notizie su questa orrenda guerra fomentata, è che ci sono morti.


La guerra mediatica non si chiede "chi cosa come perché"

Madrina della “notizia” è stata la tivù satellitare saudita al Arabiya, con la cifra di 300 uccisi che ha rotto ogni argine nella diffusione della notizia. La tivù saudita non è nuova agli exploit: nel febbraio 2001 un suo twitter lanciò la enorme e tragica bufala dei “diecimila morti in Libia”, una strada senza ritorno. Nel poco tempo in cui l' Ansa ha dato per certo il numero di 300 morti la notizia – poi ridimensionata, questa è stata posta in testa alla home page del sito, dopo il ridimensionamento è tornata in una posizione meno visibile. Poche ore dopo, l’emittente qatariana al Jazeera metteva in evidenza la denuncia di “attivisti” di Homs per i quali sette persone sarebbero morte per aver inalato un gas sconosciuto.
In questi giorni (è una coincidenza?) i paesi del Golfo si sono incontrati e hanno parlato anche di Siria. Inoltre, nei giorni festivi o prefestivi ci sono meno notizie, addirittura mancano i quotidiani (a ferragosto e natale), le agenzie staccano almeno per qualche ora completamente. Quindi le notizie hanno una "persistenza" molto maggiore. Insomma una notizia in un giorno del tipo ferragosto, Natale, capodanno, può avere un impatto molto superiore a una notizia analoga uscita in un giorno feriale qualsiasi.
Oltre a ciò i media, non solo italiani, prendono per buone le denunce dell’opposizione senza cercarne le prove.
Per il Tg3: “Novanta morti secondo fonti ufficiali, oltre 300 secondo il canale satellitare al Arabiya”. Per il Tg3, dunque, “ufficiale” è la fonte dell’Osservatorio siriano di Londra.
Surreale anche il Fatto quotidiano (versione stampata) del giorno 24 dicembre: “Nessuno si aspettava che lo spietato regime siriano avrebbe fermato i suoi jet carichi di bombe e il lancio di scud, per concedere ai cittadini siriani di fede cristiana di prepararsi al Natale” (eppure, come tutti sanno, i cristiani in Siria sono nel mirino non dei Mig e degli Scud ma dei gruppi armati dell’opposizione islamista). Il Fatto online cita l’emittente saudita, con le sue fonti: testimoni oculari e attivisti anti-regime dei comitati locali (Lcc) e dall'Osservatorio per i diritti umani.
Qualche richiamo internazionale. Dall’agenzia Reuters: “Decine di persone uccise e molte altre ferite in un attacco aereo governativo contro una panetteria, domenica, secondo gli attivisti” (…); “se confermato, l’attacco ad Halfaya, presa dai ribelli la settimana scorsa, sarebbe no egli attacchi aerei più mortali nella guerra civile in Siria”. Come prova si citano i video e un “attivista” locale: “Quando sono arrivato sul posto c’erano pile di corpi a terra, e fra questi donne e bambini” (NB. L’attivista non parla di aerei) (…) “I residenti di Halfaya parlano di 90 morti, l’Osservatorio di Londra di 60”.
Cifre in libertà anche sulla Cnn (che almeno fin dal titolo precisa che è una denuncia dell’opposizione): secondo i Comitati di coordinamento locale – che riforniscono di notizie l’Osservatorio a Londra – “sono state uccise oltre 100 persone ma il numero è destinato a salire; un attivista ha visto la sepoltura di almeno 109 persone”. (…) L’attivista locale – sono sempre chiamati attivisti anche gli armati – spiega che “gli addetti dell’ospedale hanno dichiarato che l’area del panificio non era raggiungibile” (NB. Come mai se Halfaya è nelle mani dei gruppi armati?). Subito dopo lo stesso attivista sostiene che “gli ospedali non riescono a curare tutti i feriti”.
Ma le contraddizioni sarebbero state molto maggiori se i media si fossero dati la briga di analizzare per bene i video portati come prova…


Le smentite ignorate

Naturalmente quasi nessuno riporta la smentita del governo di Damasco, veicolata dalla agenzia Sana. Eccola, per un po’ di par condicio: “Gruppi terroristi hanno attaccato la cittadina di Hilfaya e commesso crimini contro la popolazione (…) per poi girare video in modo da accusare l’esercito siriano di questi crimini. Residenti di Hilfaya hanno accusato i gruppi armati di aver attaccato il dispensario e la municipalità” (NB. Un video mostra armati trionfanti sui tetti di questi edifici). “Gli abitanti hanno detto di aver chiamato l’esercito il quale ha affrontato i terroristi eliminandone un gran numero”. La Syrian Tv ha analizzato i video sottolineando le incongruità nelle denunce verbali che accompagnavano le immagini e le non corrispondenze fra lo stato e il numero dei corpi (e l’essere questi tutti uomini) e la denuncia di un massacro per via aerea su una folla enorme di donne e bambini.


Analisi dei video. Cos'è successo davvero ad Halfaya, e non solo?

Gruppi di persone sparse in diversi paesi (Siria inclusa) si sono permesse il lusso di ignorare entrambe le versioni (essendo esse di parte) e di studiare i video. Tutte le loro versioni – e il buon senso – concordano nel dire che a) i video non sono credibili perché sono contraddittori, b) i video non portano alcuna prova sul colpevole e sulle circostanze. 
Rileviamo quanto segue.
- Non c’è traccia di passaggio di aerei e nessun segno che possa indicare chi ha sparato e in quale circostanza e contro chi.
- Non ci sono donne e bambini fra gli uccisi, i quali ultimi sembrano meno numerosi di quanto denunciato.
- Nessun indizio per capire che si tratti di un panificio, anzi… un particolare mostrerebbe la messinscena: nel video un uomo depone per terra un pane tondo tradizionale, sul sangue. Per mostrare al mondo che si trattava di una panetteria? Poco dopo un’altra mano raccoglie il pane. Ma come ha tradotto il Tg1 della Rai sul suo sito? "Uno scatto fra gli altri testimonia la strage, quello di un ribelle che raccoglie una tradizionale pita, il pane siriano, da una pozza di sangue". A conclusioni simili sono arrivati anche gli attivisti europei di Mediawerkgroep Syrië
Ed ecco l’analisi del sito siriano Syriatruth che non è governativo né sostiene l’opposizione armata: “Anche volendo trascurare la solita "coincidenza" tra la strage e l'arrivo di Brahimi a Damasco, da una prima analisi dei filmati emergono alcune incongruenze rispetto alle notizie poi diffuse:
- non si vedono donne o bambini, eccetto una donna e un ragazzo, forse solo dei passanti; e tutte le vittime sono uomini adulti.
- Il numero massimo delle vittime dovrebbe essere tra i 20 e i 30 (cifra ben distante dai 90 di cui si parla, figuriamoci dai 300!).
Se i primi due elementi possono ridimensionare la tragedia, ma non diminuirne la gravità, il terzo sembra più significativo:
- dalle immagini non risultano macerie tali da far pensare a un bombardamento aereo, non ci sono tracce dell'impatto della bomba o missile lanciato dal presunto Mig, ma solo un foro sull'edificio e rovine di piccola entità, più facilmente riconducibili a un ordigno di modesta portata. Questo particolare genera un altro quesito: da dove arrivano le macerie visibili sotto l'edificio? Non certo dall'unico foro che sembra visibile.
- Ulteriore interrogativo: se, come si racconta, sono state colpite delle persone in fila per il pane, perché si vedono solo corpi al di fuori della struttura e l'interno non è quasi inquadrato? E come mai è ancora quasi perfettamente integro?
- Un altro particolare riguarda la data: in un video più volte si ribadisce che è sabato 21 dicembre; mentre in un altro si parla del 23 dicembre.
- Il luogo, poi, è pieno di gruppi armati, alcuni in uniforme, altri in abiti civili, ma comunque armati (in una scena è chiaramente visibile che uno di loro toglie un Kalashnikov dalle mani di un cadavere)”.
Non si sa dunque cosa sia successo. Le ipotesi sono diverse e nessuna per ora verificabile, ma la più assurda è proprio che un Mig bombardi sotto gli occhi del mondo mille persone in fila per il pane. Le vittime potrebbero essere come in altri casi (ad esempio il “massacro di Tremsheh”), membri di gruppi armati utilizzati per creare un altro possibile casus belli contro il governo siriano. Il sito potrebbe in effetti essere stato bombardato dall’esercito, negli scontri che avvengono quotidianamente con l’opposizione armata, in ambito anche urbano, là dove la guerra è stata portata. Poiché non ci sono prove che fosse un centro per la distribuzione del pane al momento della tragedia, potrebbe essere stato uno spazio preso dai gruppi armati pe r fabbricare esplosivi ed essere esploso. C’è poi chi (come la radio Irib) sostiene che potrebbe essersi trattato di un colpo portato da una delle fazioni dell’opposizione all’altra, piazzando un ordigno in piena città.
Non si sa. Quel che è certo è che a causa della guerra, delle sanzioni, dei furti il pane scarseggia.
Abbondano invece le “notizie” di bombardamenti aerei su file per il pane e panifici: il Consiglio nazionale siriano, un po’ detronizzato dalla neonata Coalizione di Doha, denuncia alla tivù satellitare saudita un attacco a Homs con dieci bambini morti; e i Comitati di coordinamento di Homs parlano di un bombardamento aereo a Talbise, anche lì colpito un panificio (e un ospedale da campo)  con vari morti fra cui bambini e donne. Anche lì, sul “chi, come, se, perché” non ci sono prove.
La disinformazione legittima l’ingerenza anche militare e quest’ultima aumenta la guerra e i morti, in un perfetto circolo vizioso.


Casi precedenti: gli aerei di Gheddafi e il mercato di Sarajevo

Ricordiamo en passant che la guerra Nato in Libia dovette molto, nella fase di preparazione anche mediatica, alle denunce senza prove circa i Mig governativi che massacravano  manifestanti pacifici. Tutto falso, si è scoperto. Ben presto, ma troppo tardi.
Ricordiamo anche alcuni episodi a Sarajevo negli anni 1990. Citando Michel Collon, giornalista belga da tempo attivo sulle “menzogne di guerra”:
“Il 27 maggio 1992 una bomba uccide almeno sedici persone che facevano la coda davanti a una panetteria a Sarajevo; un centinaio i feriti. Subito vengono accusati gli assedianti serbi. Il Consiglio di Sicurezza Onu decreta sanzioni economiche contro  quel che rimane della Jugoslavia, ovvero Serbia e Montenegro, accusata di appoggiare i serbi di Bosnia. Un’inchiesta sui responsabili, effettuata in seguito all’Onu, non verrà mai pubblicata. Il giornale britannico The Independent spiegò in seguito: ‘I responsabili delle Nazioni Unite e alti funzionari occidentali ritengono che alcuni dei peggiori massacri a Sarajevo, e anche la strage del pane, siano stati compiuti dai musulmani, difensori della città, e non dagli assedianti, per forzare un intervento militare occidentale’.  (…) I due attentati che colpirono il mercato di Sarajevo nel febbraio 1994 e nell’agosto 1995 si possono far risalire alla stessa strategia. Il primo arrivò giusto per far fallire il piano di pace proposto dagli europei di fronte all’intransigenza degli Usa e del leader musulmano della Bosnia, Izetbegovic (la percentuale degli statunitensi favorevoli a un attacco armato contro i serbi passò d’un colpo da un terzo a oltre la metà). Il secondo legittimò i massicci attacchi contro le postazioni serbe intorno a Sarajevo”. Aggiungiamo che mesi dopo la prima strage di Markale, 5 febbraio 1994, Jasushi Akashi, delegato speciale ONU per la Bosnia, dichiarò  alla Deutsche Presse Agentur che un rapporto segreto Onu aveva attribuito da subito ai musulmani la paternità della strage, ma che il Segretario Generale Butrous Ghali non ne aveva parlato per ragioni di opportunità politica. Poco tempo dopo Akashi venne rimosso dall'incarico.

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