lunedì 5 novembre 2012

AmeriKKKa: le elezioni presidenziali nel Paese delle Opportunità


Persone in fila davanti ad una panetteria. (Fonte: Real USA. Pardon, Real USSR.)

Da Bassa Finanza, uno scritto di Giuseppe Cloza pubblicato il 4 novembre 2012.
Il nome dello stato che occupa la penisola italiana compare nel testo originale: ce ne scusiamo come sempre con i lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.

Spero di non disturbarvi troppo, che magari in questo momento siete in una coda chilometrica, imbottigliati da un paio d’ore a passo d’uomo nel rientro dalle vacanze di Halloween. Mi raccomando: non vi distraete per leggere questa news sull’iPad, mentre tenete lo smart phone con l’altra e il volante con le ginocchia. A giudicare dai bollettini sul traffico pare che in vacanza ci fosse tutta l’Italia e oltre. Ovvio che la crisi è roba da catastrofisti. Me lo dicono sempre più spesso ultimamente. E in effetti, qualche volta me lo dico anch’io. Ad esempio, l’altro giorno ero a Roma, e vi posso garantire che non ho riscontrato alcun segno di crisi, impoverimento o stagnazione economica. Non so, forse il fatto che mi trovassi al quartiere Parioli avrà influito in qualche modo. Da lì sono passato a Via Veneto e, credetemi, la crisi dev’essere un’invenzione dei tiggì: una folla brulicante a Piazza di Spagna che non vi dico; tutta bella gente, con i wine bar tutti full. Tanto che per un apericena abbiam dovuto ripiegare sul roof garden del Baglioni con vista su Roma. Vedere il bicchiere mezzo pieno è sempre meglio; me lo dice sempre anche Tata Dolores (ma sarà sintomo di  ottimismo o etilismo?)    
Ad ogni modo, questo fatto mi fa tornare in mente un capitolo di un libro a caso[1] che mi sentirei proprio di consigliarvi. Per non farla troppo lunga vi cito solo l’inizio:
I-Depression, la psychocrisi
La maggior parte delle persone pensa che la crisi prima o poi finirà: che sia solo, in definitiva, una sospensione dell’ordine naturale delle cose, del loro stato normale. E che, una volta trascorsa, quello stesso ordine si ristabilirà. In buona sostanza, se ”stanno buoni” e si fanno piccoli, prima o poi la tempesta passerà. È un atteggiamento profondamente sbagliato e pericoloso.
Nulla tornerà come prima; e sta a noi, solo a noi, decidere come sarà la realtà del dopo.
Christian Caliandro

Gli uomini non possono sopportare troppa realtà.
Carl Gustav Jung

L’unico motivo per cui non si vedono per strada le file per il pane come in quelle foto in bianco e nero degli anni ’30 è che il sussidio di povertà viene accreditato in automatico da un computer sull’apposita carta di credito. Negli Usa il sussidio di chiama food stamp (che un tempo erano dei bollini – stamp – da consegnare ai negozianti) e oggi lo ricevono in 46 milioni. Ci sono 46 milioni di persone su una popolazione di circa 300 che hanno bisogno dei food stamp per comprare il pane e i pannolini, solo che invece di far la fila in qualche centro di distribuzione, vanno al centro commerciale e usano la carta di credito. Così non ce ne accorgiamo.
Non ci sono le file agli uffici di collocamento perché le richieste si fanno online. Si manda una e-mail con l’i-Pad acquistato con l’incentivo statale per rilanciare i consumi.
E non ci sono molte famiglie per la strada semplicemente perché molte banche preferiscono non espropriare chi non paga più le rate del mutuo. Meglio aspettare piuttosto che dover ammettere che i bilanci non rappresentano la realtà. Le banche sono piene di crediti (i mutui) basati su valori delle case ormai astronomici. Ma le regole contabili gli consentono di usare ancora quelli, così come possono dichiarare che i titoli di stato in portafoglio hanno un valore più alto di quello attuale perché “tanto li teniamo fino alla scadenza”. Quanto vale in realtà il credito di 200.000 dollari (il mutuo erogato nel 2007, al top della bolla) se quando espropri la casa la puoi vendere a 100.000? Meglio rinunciare a qualche rata ma continuare a scrivere “ho un credito che vale 200.000” nel bilancio. Così i conti sembrano migliori e siamo tutti più tranquilli. E la famiglia risparmia sulla rata che non paga più. Magari si rimette a consumare un po’ e compra il nuovo smart phone così stimola l’economia. Bisogna fare di tutto affinché la gente non si metta a risparmiare preoccupata, riducendo i consumi. Così siamo in una i-Depression virtuale dove si rischia di credere che la crisi sia in un altro pianeta, che invece qui su Facebook va tutto bene. Dobbiamo stare tranquilli. Guai a pensare che in banca i soldi non ci sono, altrimenti si entra nella psycocrisi…”
Fine della citazione. A proposito dei food stamp. Qui su Bassa Finanza se ne parlava un paio di anni fa, mentre ovviamente i tiggì erano invece impegnatissimi a imbottirci con le boiate dei “germogli della ripresa”. Mi ri-cito (sorry) dall’articolo “Shopping di mezzanotte - La fila per il pane elettronico” del 18 ottobre 2010”:[2]
Nel frattempo negli Usa, l’apposito Istituto Governativo che misura la salute dell’economia (il Nber) fa sapere che la recessione è finita… nel giugno 2009. Avete letto bene, 2009. Può darsi che anche loro abbiano sbagliato un po’ i calcoli, perché da allora il numero di americani che vive con i sussidi alimentari è cresciuto ininterrottamente, superando oggi i 40 milioni.
I Food Stamp non sono più i bollini per la spesa di antica memoria; si tratta di carte prepagate che alla mezzanotte dell’ultimo giorno del mese vengono caricate automaticamente da Sky-net con il contributo governativo. Così, al di là dei calcoli statistici e delle elucubrazioni degli economisti, per avere un’idea della realtà è forse meglio ascoltare l’Amministratore delegato di Wal Mart, la più grande catena di supermercati negli Usa (e probabilmente nel mondo). Traduco ciò che riporta Bloomberg:
“Dovreste andare in uno dei nostri negozi la notte dell’ultimo giorno del mese e osservare, verso le 23 l’arrivo di clienti in gran numero, che cominciano a riempire i carrelli con prodotti di prima necessità: latte, pane, uova, pappe e alimenti per neonati – e continuano a far la spesa e girellare nel negozio fino alla mezzanotte, quando la carta elettronica del governo viene caricata. E così vanno tutti alla cassa".
Fine della citazione. A questo punto, per svuotare il nostro bicchiere mezzo pieno, ecco alcune statistiche, tanto per farsi un’idea di cosa potrebbe esserci dietro l’angolo (Via Veneto inclusa)[3].
Nel 2011 gli USA hanno speso circa 72 miliardi di dollari solo per i sussidi “food stamps”. Il che corrisponde a 36 super Tir (quei camion a 18 ruote) carichi ognuno di 2 miliardi, cioè 20 pancali di banconote da 100 dollari, dal peso di 1 tonnellata ciascuno (yes, 1 miliardo di dollari in banconote da 100 pesa 10 tonnellate, mentre un pancale tiene 100 milioni che pesano una tonnellata; ovvio che i numerini nei computer sono più comodi… ). Ci potrebbe poi interessare il fatto che il 47% dei destinatari dei food stamp sono bambini; così, se invece delle carte elettroniche avessimo le file per il pane, come negli anni ’30, queste sarebbero composte per metà, appunto, da bambini. In fila per due, tenendo per mano un adulto. E se i centri di distribuzione del cibo fossero i 3.050 mega store di Wal Mart sparsi negli Usa (quegli iper mercati che ci vuole l’autobus per passare a un reparto all’altro), la doppia fila di adulti e bimbi davanti a ognuno di essi sarebbe lunga oltre 6 chilometri.
Così, tanto per dare un’idea.
Buona bevuta. 

[1] www.siamofritti.biz
[2] http://www.bassafinanza.com/index.php?id=49
[3] Grazie a http://demonocracy.info/infographics/usa/food_stamps/food_stamp_nation-SNAP.html

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