venerdì 13 novembre 2009

Università di Firenze: ripristiniamo la legalità!


Firenze, Facoltà di Scienze della Formazione (non di Scienze Politiche, come ritenevamo). L'undici novembre 2009 una task force per la denigrazione mediatica composta da una troupe televisiva e da un Tommaso Villa qualunque (uno che scalda una poltrona, al momento non abbiamo ben presente quale) è stata disturbata nel suo intento, e con pieno successo, dalla contromossa di alcuni occupanti; stando alle gazzette, troupe e micropolitico al séguito sarebbero stati attirati in una delle aule occupate ed ivi accolti da una gragnuola di uova.
Dal punto di vista strettamente operativo, non è nulla che non si rimedi con un po' di detersivo e con un buon lavaggio in acqua fredda.
Dal punto di vista strategico è una mezza tragedia: abituati a trattare mustad'afin, minoranze, disperati e nemici designati come se fossero sparring partner, né il micropolitico né i telegazzettieri avevano messo in conto che un meccanismo tanto usato, tanto collaudato ed elettoralmente tanto produttivo fallisse così clamorosamente il suo scopo.
Insomma: a farsi linciare in televisione gli attivisti politici, gli occupanti, i non allineati, i lavoratori, in una parola i vivi, non ci stanno più. Ci hanno messo una decina d'anni a dir poco, ma alla fine almeno questo lo hanno imparato.
Dal giorno seguente comincia comunque la rivendita mediatica dell'accaduto: piagnistei sulle gazzette più accomodanti, interrogazioni in Consiglio comunale, eccetera: è chiaro che se i mestieranti della denigrazione cominciano a rischiare in proprio, le cose rischiano di complicarsi. Il "lavoro" quotidiano della politicanza "occidentalista" comincia a richiedere ai suoi praticanti un salto di qualità che comporta la cosciente assunzione di rischi più o meno palesi per l'incolumità personale: dai gilet schizzati di tuorlo di gallina alle camicine spiegazzate.
Un nostro confidente ci ha fatto sapere che in tempi più normali, e proprio dalle parti di via Laura, ostentare agli scrittori di tazebao il proprio look firmato significò per un malcapitato "occidentalista" ante litteram essere agguantato a sei mani, finire addossato alla parete ed essere firmato sul serio, sulla schiena con un grosso pennarello nero, venendo poi cacciato con l'esortazione "Vah, guarda un po' che bella camicia firmata hai adesso...!".
Dalle dichiarazioni di circostanza appare chiaro che gli "Studenti per la libertà", una ininfluente congrega probabilmente non estranea ad una certa pensata che denunciammo a suo tempo come esempio tipico della ributtante viltà delatoria con cui si fa carriera nella politica contemporanea, contano sui loro mèntori istituzionali per arrivare al "ripristino della legalità".
Bene. Mostriamola un po', questa "legalità".
La foto che riproduciamo qui si riferisce ad un caso che dovrebbe entusiasmare tutti i (pochi, ma sempre troppi) Tommaso Villa della città.
Nel luglio del 1999 a Tehran fu chiuso un giornale "riformista". Nulla di strano: Hitler soffocò l'opposizione in pochi mesi, Mussolini ci mise qualche anno, Stalin non dovette praticamente porsi il problema. Nella "dittatoriale" Repubblica Islamica dell'Iran sono trent'anni che si chiudono (e si riaprono) giornali, il che getterebbe anche una luce per lo meno interessante sulla vitalità politica di un paese caratterizzato da un sistema di governo che solo sulle gazzette "occidentaliste" viene chiamato regime. Ora, un politicante "occidentalista" chiede ai servi gazzettieri di procurargli nemici da schiacciare, non questioni da comprendere; lasciamo dunque la questione a questo punto, e proseguiamo.

Ahmad Batebi

La notte del nove luglio 1999 la protesta fu soffocata dai bassij e dagli ansar-e-hezbollah. Secondo le informazioni a disposizione, confermate anche da una testimonianza da noi raccolta nel 2006 da una testimone oculare, un dormitorio universitario di Tehran fu letteralmente espugnato ed alcuni studenti addirittura scagliati a sfracellarsi nei cortili dai piani alti dell'edificio.
Il risultato? Legalità ripristinata alla velocità della luce, con sistemi che sono musica per le orecchie di chi, telecomando alla mano e scodella dei maccheroni sotto il grugno, ha applaudito alla mattanza genovese del luglio di due anni più tardi; per chi ha creduto, sostenuto e diffuso l'insistente rumour secondo il quale il sangue sulle pareti della scuola Diaz era salsa di pomodoro.

Nella foto (fonte: fouman.com) si vede Ahmad Batebi con la maglia insanguinata di un compagno di studi. Catturato e condannato a morte, Batebi ebbe la pena ridotta a quindici anni. Evaso nel 2008 approfittando di un permesso per motivi di salute, da New York può adesso mandare a dire ai suoi persecutori che le loro mani non lo sfioreranno mai più.
Noi riteniamo gli "occidentalisti" fiorentini capacissimi di auspicare un Batebi anche in via Laura, a mezzo "ripristino della legalità" effettuato con la gendarmeria. Vi sarebbero, certo, delle differenze sostanziali: uno Ahmad nostrano verrebbe accusato di aver macchiato con la conserva la maglia che mostra: la sua vita verrebbe minuziosamente dragata per cercare qualche cosa di spendibile per demolirlo, gli studenti vittime dei gendarmi incrementerebbero in modo per lo meno sorpendente il numero di "cadute accidentali dalle scale" nell'androne della facoltà...

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