giovedì 12 novembre 2009

Di crisi, di odio e di uova


L'11 novembre 2009, a Firenze, alcune centinaia di studenti hanno occupato la sala dove si stava svolgendo la seduta del consiglio di amministrazione e del senato accademico.
Migliaia di agricoltori hanno tenuto un sit-in per denunciare lo stato di cose del loro settore, a detta di molti ai limiti del drammatico.
Poco lontano i seicento lavoratori di un'organizzazione che presta mano d'opera ai call center -sorta di filande del terzo millennio- non percepiscono un centesimo da mesi e sono tentati dal pietire la benevolenza di qualunque potentato -o presunto tale- che passi dalle loro parti.
A Roma le rimostranze dei "municipi" controllati dal piddì con la elle, stanchi di vedere troppe brutte facce in giro (la virtualizzazione dei rapporti interpersonali è arrivata al punto che mal si tollera chiunque non somigli alla scosciata in voga questa settimana), hanno indotto il borgomastro a troncare una faticosa mediazione prefettizia e a far deportare dalla gendarmeria centinaia di persone che vivevano in un campo nomadi.
In un paese dell'Abruzzo un trentasettenne viene ucciso in una rissa, sembra da un terzetto di nomadi zuppi di alcool. Manifestazione che diventa spedizione punitiva, fortunatamente solo a carico di cose e di oggetti. La pornografia travestita da "informazione" ci va a nozze: la stessa gazzetta che statuiva prima di ogni tribunale la colpevolezza dell'islamico Marzouk (colpevole in quanto islamico, nonostante che certi suoi trascorsi ne facessero invece un perfetto esempio di integrazione) strilla di rom killer e di rivolta. Contro i capri espiatori, si sa, è tutto lecito, e a cose fatte arriva anche la benedizione delle marmaglie redazionali.
La "politica" governativa che per qualsiasi criticità o problema fornisce pseudorisposte fatte di pseudoeccellenza, di pseudotrasparenza, di repressione, di tagli, di passerelle mediatiche e di marginalizzazione con le buone o (più spesso) con le cattive di ogni forma di un dissenso politico già privo da anni di referenti credibili nella politica di rappresentanza sta incontrando le prime vere difficoltà. La mancanza di qualunque controllo credibile della politica su un'economia di cui si postula la capacità di autoregolarsi è stata millantata per anni come la migliore delle conquiste dai cantori della dittatura liberista. Gli effetti collaterali rappresentati dall'ingiustizia sociale esplicitamente prevista (se non lodata) dall'ideologia imperante, dall'isolamento, dallo sradicamento di interi gruppi sociali considerati come non-enti dall'unica concezione del mondo presentata come accettabile per la quale i soli comportamenti leciti sono quelli dell'individualismo consumista sono ben conosciuti; non potendo -e non volendo- limitarne in alcun modo il verificarsi, la parodia di élite statale rappresentata da politicanti e detentori del potere mediatico non può far altro che manipolare l'informazione perché la gravità e l'onnipresenza della crisi in atto, che è sociale ed umana prima e ancora che economica, venga percepita dai sudditi con la maggiore difficoltà possibile. E che, in ogni caso, si possa incolparne qualcuno al di fuori del giro dorato.
Il meno che si possa far notare è che, per il cicaleccio gazzettiero, il governo attualmente in carica nello stato che occupa la penisola italiana non è mai colpevole di alcunché. All'esecutivo precedente si addossava abitualmente anche la diretta responsabilità di un'eruzione vulcanica in Nicaragua.
Per potere assolvere al loro ruolo i mass media non hanno alcuno scrupolo a truccare senza ritegno il loro rapporto con le fonti primarie: la raccolta delle informazioni e del materiale per la redazione di news denigratorie, parziali e distorte è sempre accompagnata da affannose dichiarazioni di imparzialità e neutralità: "stiamo facendo il nostro lavoro!".
I risultati del loro lavoro si vedono in prima serata e sulle gazzette, con buona pace di chi, stritolato e ridicolizzato in differita davanti a milioni di telesudditi in canottiera e col grugno immerso nella conca dei maccheroni, ha prestato il fianco a cameramen e gazzettieri ed è costretto a ringraziare la propria dabbenaggine, a tenere per sé l'indignazione e a tentare inefficaci correzioni con qualche smentita da settantesima pagina.
Nello stato che occupa la penisola italiana l'unico "lavoro" della sedicente "informazione" si concretizza nel linciaggio. Un lavoro che molti sanno imparando a tenere nella considerazione che merita, come testimonia un episodio sì marginale -solo "Il Giornale della Toscana" ne ha ovviamente fatto un caso- ma rivelatore di una disposizione d'animo ben più diffusa.
Prima di arrivare ai fatti, cerchiamo di darne una sommaria contestualizzazione.
Mentre le gazzette "occidentaliste" dànno risalto alla "vittoria elettorale" di liste studentesche di "centrodestra" per organismi elettivi nelle scuole superiori di cui la totalità dei sudditi ignora perfino l'esistenza, il resto del mondo si ostina ad ignorare certi doppioni elettronici e virtuali, e continua a funzionare esattamente come prima: il che significa facoltà occupate e sacrosante proteste per un anno accademico all'insegna di un'ebefrenia normalizzata e generale che non riuscirono ad ottenere neppure con la capillare diffusione dell'eroina alla fine degli anni Settanta.
Tanto per fare un esempio, il clima organizzativo universitario è passato in pochi anni da quello di un laboratorio culturale discutibile quanto si vuole, ma critico e vivace, a quello di un perfetto specchio del Nulla "occidentale", in cui agli studenti vengono richieste cifre da risata in faccia anche solo per proiettare un film in uno spazio comune. Il denaro, misura di tutto, metro di ogni cosa, percepito in questa funzione come tanto più insultante quanto più ne passa, secondo la consolidata tendenza in corso, dalle tasche di chi ne ha poco o punto a quelle di chi ne ha molto.
La legittimazione della responsabilità politica ed organizzativa di chi ha fermamente voluto questo stato di cose deve passare, come ormai prassi, non dal fornire e diffondere una giustificazione almeno passabile per le demenziali decisioni prese, ma dalla delegittimazione della controparte, attuata per tramite del mainstream compiacente.
E' così che il micropolitico Tommaso Villa si fa accompagnare dalla troupe di un "TgT" non meglio identificato a "documentare" -come dicono loro- le condizioni di un'occupazione universitaria nella facoltà di scienze politiche in via Laura.
Questa volta gli è andata buca. Intanto che riprendevano le cose veramente importanti per i loro scopi -presumibilmente i'ddegrado e le minacce alla sihurezza, incarnate in questo caso da qualche cartaccia fuori posto e da qualche scritta sul muro- pare siano stati attirati con una scusa all'interno di un'aula occupata ed ivi accolti con un fitto lancio di uova.
Fresche, speriamo.
Abbiamo motivo di credere, stante la caterva di casi passati in cui simili operazioni denigratorie sono giunte in porto assolutamente incontestate, che la disponibilità dei dissidenti politici capaci di esprimere ancora un'opposizione vera e non di facciata a prestare il fianco ai propri carnefici mediatici sia finalmente giunta al termine.
La cosa in sé non può che essere accolta con soddisfazione ed il piagnisteo "occidentalista" per il mancato scattare di una di quelle trappole alle quali si è fatto abituale ricorso per molto, troppo tempo al nobile fine di fornire pezze d'appoggio a legislatori da stato di polizia rafforza la nostra soddisfazione.
Dalle dichiarazioni rilasciate si capisce che autentici casi umani eretti a "coordinatori cittadini" di non si sa bene cosa vedrebbero volentieri un intervento della gendarmeria in stile cileno: occupare facoltà e ingaggiare scontri di piazza va bene a Tehran, a Firenze no.
Eccessivo ed irritante credito, sulle gazzette, viene dato in queste occasioni anche ad una certa associazione giovanile "occidentalista" dalla zero capacità di mobilitazione ma politicamente contigua all'esecutivo dello stato che occupa la penisola italiana.
Un'organizzazione che ha mutuato il nome da un'associazione sovversiva ottocentesca.
Il leader di quella associazione fu costretto giovanissimo all'esilio per le attività rivoluzionarie condotte: lontano dalla penisola italiana reclutò e convertì altri individui ed organizzò insurrezioni armate contro il potere costituito, secondo un modello comportamentale che per la marmaglia "occidentalista" lo ascriverebbe all'istante nel nòvero dei terroristi da bombardare, da estradare, su cui accanirsi con ogni metodo e con ogni scusa.
Siamo sicuri che Giuseppe Mazzini non avrebbe gradito affatto che gente del genere si fregiasse del nome della sua creatura.

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